La sinistra ha perso il popolo. La destra ha perso.

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Un recente interessante saggio di Luca Ricolfi ha come titolo Sinistra e popolo; la tesi di fondo è l’abbandono, da parte della sinistra politica e culturale, dei ceti e degli interessi che in altre stagioni si chiamavano popolari. Il professore torinese è di formazione filosofica ma insegna Analisi dei dati. L’intreccio di due conoscenze tanto diverse rende il suo approccio sociologico particolarmente suggestivo. Esponente della sinistra liberalriformista, il suo libro più conosciuto “Perché siamo antipatici?” aveva già sollevato il velo, da “insider”, sulla supponenza, il compiacimento narcisistico, il senso di superiorità etico-culturale della sinistra occidentale dopo, e nonostante, la fine del comunismo reale novecentesco.

Con l’ultimo saggio va più a fondo, riflettendo sull’abisso che si è scavato tra la “sinistra” ed il popolo. Usiamo le virgolette per sottolineare l’ormai scarsa capacità di certe parole a rappresentare concretamente dei concetti. Destra e sinistra, lo riconosce anche Ricolfi, sono inadatti a descrivere il mondo del XXI secolo, neppure esiste un uso condiviso della coppia oppositiva. Ciononostante, conservano una capacità evocativa che ha improntato un secolo, l’intero Novecento, ed un significato segnaletico non ancora tramontato.

Rinviamo una riflessione organica sull’argomento, a partire da un’articolata liquidazione dei due termini, da rimuovere come inservibili dalla cassetta degli attrezzi di un XXI secolo giunto al suo quarto lustro. Accettiamo tuttavia per comodità il linguaggio corrente, stante l’urgenza di dire qualcosa sull’altro polo in questione, ovvero la Destra. La sinistra, anzi le sinistre, hanno perso il contatto con il loro popolo, o meglio hanno profondamente mutato ceti, interessi ed ambienti sociali di riferimento. La destra, lo sosteniamo con convinzione, semplicemente ha perso.

Un’intervista di Ernesto Galli della Loggia ad un quotidiano legato a quell’area politica, nonché una severa critica di Marcello Veneziani contenuta in una recensione del libro di Ricolfi, offrono lo spunto per svolgere considerazioni a sostegno della sconfitta storica della cosiddetta destra.

G.B. Vico definì eterogenesi dei fini l’esito imprevisto, spesso opposto alle aspettative, di idee ed accadimenti. La nostra convinzione è che la sconfitta della destra (politica e culturale) risalga almeno alla fine degli anni Settanta del secolo passato, allorché, terminati gli effetti del dopoguerra, esaurita la spinta delle politiche economiche keynesiane, iniziato il declino dello stato sociale sull’altare delle crisi energetiche, Ronald Reagan e Margaret Thatcher inauguravano, con entusiasmo unanime delle destre planetarie, la stagione delle grandi privatizzazioni.

Entrambi i leader furono preceduti da un gran fracasso di parole d’ordine della destra civica e morale. Promettevano di porre al centro delle loro politiche i principi che si definiscono conservatori. Patriottismo, rispetto per la religione, centralità della famiglia, ordine morale come cornice di un ritrovato ordine sociale ed economico. Realizzarono unicamente, attraverso un grande trasferimento economico verso i potentati privati (industriali e finanziari) una nuova dorata stagione dell’economia di mercato, anzi, procedettero a tappe forzate verso una società di mercato. Posero cioè le premesse per la definitiva affermazione della dimensione economica su tutto il resto della vita degli uomini.

Furono i campioni baciati dal successo del liberalismo ortodosso. Sfugge a molti, specialmente a destra, che un venerato maestro del liberalismo, Friedrich Von Hajek scrisse un libro nel 1960 il cui titolo era chiarissimo: Perché non sono conservatore. Il liberalismo, infatti, è dottrina politica, economica e sociale molto lontana dall’orizzonte della destra politica. Ciò che importa ai liberali è il diritto di proprietà privata e soprattutto di impresa. Detestano lo Stato, che secondo loro dovrebbe limitarsi a funzioni di polizia, ovvero a difendere gli interessi degli imprenditori, ceto dominante, ed a riscuotere modeste tasse per mandare avanti una baracca che peggio funziona meglio è. Sono indifferenti alle religioni, tutt’al più le accettano come fatto privato o come alleate momentanee se c’è da mantenere il loro ordine. Difendono le identità nazionali solo fino a quando costituiscono un mercato abbastanza grande da soddisfare i loro appetiti, ed in quanto ai valori familiari, intralciano la trasformazione dell’uomo in consumatore.

Negli Stati Uniti, l’unico vero esperimento politico di destra fu la candidatura presidenziale perdente di Barry Goldwater nel 1964. Il mondo della “right nation”, giusta e nazione proprio perché di destra, tuttavia, non si basava soltanto sulla libertà economica, la polemica antiburocratica ed antifiscale. Credeva in un mondo nel quale la proprietà privata fosse ampiamente diffusa, per diffondere l’etica della responsabilità, il gusto dell’iniziativa personale ed il desiderio di miglioramento, era fortemente legata ad una visione etico morale cristiana, vedeva la famiglia come pilastro della società, rispettava ed innalzava il codice dell’onore, del dovere compiuto nei confronti dei propri cari, della comunità, dello Stato, della Patria.

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