I conciliari riabilitano il gesuita eretico Teilhard de Chardin

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di Tomas de Torquemada

Niente di nuovo, tutto in continuità con la follia conciliare. L’iniziativa è ufficiale. Il 18 novembre l’Assemblea plenaria dell’istituzione conciliare “Pontificio Consiglio della cultura” ha approvato la richiesta a Bergoglio di rimuovere il Monitum della Cattolica Sacra Congregazione del Sant’Uffizio sulle opere di padre Pierre Teilhard de Chardin, S.J. , che ha chiesto al non-papa, occupante il Soglio di S. Pietro, di «considerare la possibilità di revocare il Monitum che dal 1962 è stato imposto dalla Congregazione per la Dottrina della Fede (già Sant’Uffizio) sugli scritti del P. Pierre Teilhard de Chardin SJ».

Nel comunicato di questo istituto conciliare, presieduto dal giornalista Gianfranco Ravasi, si legge: «Riteniamo che un tale atto non solo riabiliterebbe lo sforzo genuino del pio gesuita nel tentativo di riconciliare la visione scientifica dell’universo con l’escatologia cristiana, ma rappresenterebbe anche un formidabile stimolo per tutti i teologi e scienziati di buona volontà a collaborare nella costruzione di un modello antropologico cristiano che, seguendo le indicazioni dell’Enciclica Laudato Si’, si collochi naturalmente nella meravigliosa trama del cosmo».

Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955) fu un religioso gesuita che si distinse per l’eterodossia della sua concezione filosofica e teologica e per l’inconsistenza della sua preparazione scientifica.

Il fulcro del suo pensiero è l’adorazione della Materia, su cui egli fonda una cosmogonia evoluzionista e panteista. Jacques Maritain definì la sua cosmogonia «una grande fiaba»; per Etienne Gilson, Teilhard contrappone «al Cristo storico del Vangelo, un Cristo cosmico al quale non crede alcuno scienziato»; per il cardinale Journet, Teilhard dissolve le nozioni cristiane di «creazione, spirito, male, Dio, peccato originale, croce, resurrezione, parusia, carità».

Nel Monito del 30 giugno 1962 del Sant’ Uffizio si affermava che «vengono diffuse alcune opere, anche postume, del Padre Teilhard de Chardin, che ottengono non poco successo. A prescindere dal giudizio su quanto riguarda le scienze positive, risulta abbastanza chiaramente che dette opere abbondano di ambiguità, e, persino, errori gravi in materia filosofica e teologica, tali da offendere la dottrina cattolica». Per questo motivo il Sant’Uffizio esortava tutte le autorità ecclesiastiche«a difendere efficacemente gli animi, soprattutto degli studenti, dai pericoli insiti nelle opere di Padre Teilhard de Chardin e dei suoi seguaci».

Quando, il 10 giugno 1981, apparve sull’Osservatore Romano una lettera inviata il 12 maggio, a nome del non-papa Giovanni Paolo II, dal suo Segretario di Stato, il non- cardinale Agostino Casaroli a “mons”. Paul Poupard, Rettore dell’Institut Catholique di Parigi in occasione del centenario della nascita di Teilhard, nove cardinali (Francesco Carpino, Pietro Parente, Giusepe Paupini, Mario Nasalli Rocca di Corneliano, Paul Pierre Philippe, Pietro Palazzini, Ferdinando Giuseppe Antonelli, Mario Luigi Ciappi, Giuseppe Caprio) reagirono con una lettera indirizzata al cardinale Franjio Seper, allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede conciliare, ricordando che il Monito aveva un valore permanente, perché parlava di ambiguità e gravi errori filosofici e teologici negli scritti di Teilhard e chiesero fermamente alla Santa Sede di intervenire per negare che la lettera del cardinal Casaroli «possa interpretarsi come una ritrattazione del Monito, il quale pertanto rimane, qual è, giusto e valido atto del Magistero della Chiesa».

Il 12 luglio un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede, seppur occupata dai modernisti, apparso in prima pagina sull’Osservatore Romano, confermò come il Monito del Sant’Uffizio fosse ancora in vigore e che nessuna sua revisione fosse autorizzata dalla lettera del cardinal Casaroli.

Rimuovere il Monitum significa riabilitare ufficialmente il gesuita eretico, di cui è stata sottolineata l’influenza sull’enciclica Laudato sì del non-papa Bergoglio. A riprova, se ce ne fosse ancora bisogno, del fatto che chi occupa i Sacri Palazzi non è cattolico, ma un occupante abusivo appartenente alla Chiesa conciliare ed alla Religione ecumenista conciliare.

Segnaliamo qui un articolo molto interessante, pubblicato e diffuso dal Centro Studi Federici:

LA MESSA DI LUTERO

“Negare la tradizione significa distruggere la strada che la chiesa, i cristiani come noi, con molto studio e sacrificio, anche della vita, hanno aperto nella vegetazione delle aberrazioni umane” (Orsola Nemi, “I Cristiani dimezzati”)
A partire dal 30 novembre 1969, prima domenica d’Avvento, il Santo Sacrificio della Messa fu sostituito in quasi tutte le chiese del mondo con il rito di Paolo VI, la “messa di Lutero” (mons. Lefevbre). Ricordiamo il tristissimo anniversario con un articolo della scrittrice e traduttrice Orsola Nemi (Firenze, 11.6.1903 – La Spezia, 8.2.1985), collaboratrice di diversi quotidiani (L’Osservatore Romano, Il Tempo, La Gazzetta del Popolo) e riviste (Il Borghese e La Torre).
Sulle colonne de “Il Borghese” curava la rubrica “Taccuino di una donna timida”, da cui è tratto il presente articolo. Nel 1972 scrisse il libro “Cristiani dimezzati”, in cui criticò il modernismo del nuovo corso “conciliare”. Il presente articolo si riferisce alle Messe celebrate ancora con il rito di San Pio V ma rivoluzionate dalle diverse riforme che precedettero quella del cambio di messale (e di religione).
Taccuino di una donna timida (Il Borghese del 2 novembre 1969)
LA NUOVA liturgia della Messa, che doveva essere iniziata a novembre col principio dell‘Avvento, per quest’anno ci è stata risparmiala. Forse, le alte gerarchie hanno verificato che le modifiche già imposte non hanno dato risultati soddisfacenti; come, senza sforzo, verifica il semplice fedele che frequenta la Messa domenicale. Le chiese, purtroppo, sono sempre più vuote. La domenica, per colpa dell’automobile; gli altri giorni, la gente deve lavorare. La vita è tutta qui, fra il lavoro e l’automobile. Poi, dopo avere bene o male tessuto i giorni su questo ordito, si muore; finalmente, il silenzio. E che c’è in questo silenzio? Chi ci ha mai pensato? Forse avendo avuto un poco di silenzio anche da vivi, si sarebbe arrivati a questo pensiero; ma non l’abbiamo avuto, questo silenzio, nemmeno in chiesa l’abbiamo trovato. La Chiesa (coloro che la occupano, ndr) ci ha tolto il silenzio durante la Messa, ha tolto la possibilità del colloquio segreto, intimo, di ciascuno con Dio, durante la mezz’ora che per il cristiano è la più importante, la più sacra, la più misteriosa della giornata. Che cosa è, questa cosiddetta partecipazione alla Messa, se non un atto di profonda sfiducia verso l’opera segreta di Dio nelle anime, un intervento dell’uomo fra il credente e Dio? I risultati sono palesi e tristi. Durante la Messa non più con Dio: ci dicono, dobbiamo unirci, ma fra noi. Però la Fede, la Speranza, la Carità sono atti individuali, non possiamo compierli senza la Grazia; non ameremo il prossimo se prima non avremo conosciuto Dio. E Dio si manifesta nel silenzio. Ora, durante la Messa non c’è un attimo di raccoglimento. Ci si alza e ci si siede a comando, si ripetono ad alta voce le preghiere, non so con quale partecipazione, poi si ascolta la predica, infine ci sono i canti; e questo è il momento peggiore. Non si possono onestamente chiamarli canti. I grandi inni che avevano attraversato i secoli, che ci afferravano, si impadronivano di noi con le possenti parole, ci scrollavano come il vento scuote gli alberi liberandoli dal seccume, sono ammutoliti, scomparsi. Si odono cantilenare frasi di questo genere: «…evitiamo di dividerci fra noi, via le liti maligne, eccetera…», espressione da comizio o da giornalismo scadente che per la loro miseria sfuggono a qualsiasi apprezzamento. A questo è ridotta la nostra Chiesa, ricca di un tesoro liturgico e poetico che era di per sé una forza, la sua forza d’attacco, la prima che vinceva gli increduli. Si può essere certi che nessuno si convertirà a sentire le nostre cantilene domenicali. Nemmeno durante la Comunione c’è silenzio. La gente in piedi, in attesa di ricevere l’Ostia, canta; i più zelanti, subito dopo averla ricevuta, riprendono a cantare. Si vorrebbe umilmente chiedere alle alte gerarchie, al Sinodo episcopale, a tutti i preti vescovi e cardinali che si radunano e discutono, di ridarci il silenzio durante la Messa. Si vanno, ricercando innovazioni liturgiche, debitamente commentate da eruditi riferimenti, ma non serviranno a nulla, se non ci sarà restituito il silenzio durante la Messa, se in quella mezz’ora in cui il pane diventa Carne e il vino diventa Sangue, e noi, con disperata umiltà, per essere detti beati, crediamo quello che non vediamo, non potremo ascoltare nel silenzio il nostro Dio e Redentore, riconoscere nel silenzio la Sua Presenza Reale, non fosse che per un attimo. Se non abbiamo questo, possiamo anche spegnere la lampada rossa, sbarrare la porla delle chiese e andare per i fatti nostri. E non ci si venga poi a parlare di unione fra noi, se quella lampada sarà spenta.

Una Risposta

  • Com’ebbe a dire Pio IX in morte di Vittorio Emanuele II, in questo panegirico del “pio gesuita” hanno dimenticato una virtù : DILEXIT CASTITATEM!

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