Marzo, il mese di San Giuseppe

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Redatto da: Sodalitium

 

Preghiera a San Giuseppe Patrono della Chiesa Universale

A Voi o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo, e fiduciosi invochiamo il Vostro patrocinio, dopo quello della Vostra SS. sposa. Deh! Per quel sacro vincolo di carità che Vi strinse all’Immacolata Vergine Madre di Dio; e per l’amore paterno che portaste al fanciullo Gesù, riguardate, Ve ne preghiamo, con occhio benigno, la cara eredità che Gesù Cristo acquistò col suo sangue, e col Vostro potere ed aiuto sovvenite ai nostri bisogni.
Proteggete, o provvido custode della divina Famiglia l’eletta prole di Gesù Cristo; cessate da noi, o padre amantissimo, cotesta peste di errori e di vizi che ammorba il mondo; assisteteci propizio dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre o nostro fortissimo protettore; e come un tempo scampaste dalla morte la minacciata vita del pargoletto Gesù, così ora difendete la Santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità, estendete ognora sopra ciascuno di noi il vostro patrocinio, acciocché col vostro esempio e mercé il vostro soccorso possiamo virtuosamente vivere, piamente morire e conseguire l’eterna beatitudine in cielo. R. Così Sia.
Ind. 3 a.; 7 a. al mese di ottobre, dopo la recita del rosario; 7 a. quals. mercoledì; plen. s.c. (solite condizioni) p.t.m. (se si recita ogni giorno per un mese intero).

Litanie di San Giuseppe
Kyrie, eleison,
Christe, eleison
Kyrie, eleison,
Christe, audi nos,
Christe, exaudi nos,
Pater de coelis Deus, miserere nobis
Fili Redemptor mundi Deus,
Spiritus Sancte Deus,
Sancta Trinitas, unus Deus,
Sancta Maria, ora pro nobis
Sancte Joseph
Proles David inclyta,
Lumen Patriarcharum
Dei Genitricis Sponse,
Custos pudice Virginis,
Fili Dei nutricie,
Christi defensor sedule,
Almae Familiae praeses,
Joseph justissime,
Joseph castissime,
Joseph prudentissime,
Joseph fortissime,
Joseph oboedientissime,
Joseph fidelissime,
Speculum patientiae,
Amator paupertatis,
Exemplar opificum,
Domesticae vitae decus,
Custos Virginum,
Familiarum columen,
Solatium miserorum
Spes aegrotantium,
Patrone morientium,
Terror daemonum,
Protector Sanctae Ecclesiae,
Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, parce nobis, Domine,
Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, exaudi nos, Domine,
Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, miserere nobis.
Ora pro nobis, Sancte Joseph
Ut digni efficiamur promissionibus Christi.
OREMUS
Deus qui ineffabili providentia beatum Joseph sanctissimæ Genitricis tuæ sponsum eligere dignatus es: præsta quæsumus, ut quem protectorem veneramur in terris, intercessorem habere mereamur in coelis. Qui vivis, ecc.
Il Sacro Manto a San Giuseppe
Il Sacro Manto è un particolare omaggio reso a San Giuseppe, per onorare la Sua persona e per meritare il Suo patrocinio. Si consiglia di recitare queste orazioni per 30 giorni consecutivi, in memoria dei trent’anni di vita vissuti da San Giuseppe in compagnia di Gesù Cristo, Figlio di Dio. Sono senza numero le grazie che si ottengono da Dio, ricorrendo a San Giuseppe. Santa Teresa d’Avila (1515 – 1582) ha lasciato scritte queste parole illuminanti: “Chi vuol credere, faccia la prova, affinché si persuada.”

Discorso di Pio XII ai parroci di Roma per la Quaresima

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Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza

Comunicato n. 18/24 del 19 febbraio 2024, San Gabino

Discorso di Pio XII ai parroci di Roma per la Quaresima


Discorso di Sua Santità Pio XII ai Parroci di Roma e ai Predicatori della Quaresima, 6 Febbraio 1940

Una cara e veneranda consuetudine Ci porge la gioia e il conforto di vedere, all’approssimarsi del tempo quadragesimale, riuniti intorno a Noi i Parroci e gli oratori sacri dell’Urbe. In mezzo a voi proviamo una vicinanza e un affetto antico e nuovo; sentiamo come la responsabilità di Supremo Pastore e l’amore di Padre comune, che Ci uniscono con tutte le diocesi del mondo, Ci legano in più stretto vincolo e si ravvivano con il clero della città Nostra natale, ora affidato a Noi dallo Spirito Santo, il quale nella sua infinita degnazione Ci ha posto a reggere la Chiesa di Roma e a un tempo l’universale Chiesa di Dio (Act., XX, 28).

Ma le gravi sollecitudini sempre crescenti per il governo della Chiesa universale obbligano i Sommi Pontefici, oggi ancor più che nei tempi passati, a porre con fiducia in altre esperte mani le cure giornaliere della diocesi romana; onde in questa felice circostanza godiamo di esprimere e altamente manifestare dinanzi a voi gratitudine e sommo riconoscimento al Nostro carissimo e Venerabile Fratello il Cardinale Vicario e ai suoi collaboratori per lo zelo illuminato e indefesso con cui Ci coadiuvano nel ministero episcopale. Perciò mentre Ci rallegriamo, o diletti Figli, di salutarvi qui presenti, vogliamo ringraziare anche voi e, poiché conosciamo le vostre opere, le vostre fatiche e la vostra costanza (Apoc., II, 2), bramiamo di significarvi l’intima Nostra soddisfazione per la vostra commendevole attività.

Che se questo Nostro compiacimento Ci offre ora l’occasione d’intrattenerCi con voi su alcune esigenze della cura parrocchiale in Roma, desideriamo che nelle Nostre parole vediate e sentiate soprattutto un’approvazione per quello che avete conseguito o a cui aspirate, un paterno incoraggiamento a proseguire nella via iniziata, un’assicurazione che voi e Noi siamo animati e mossi dalle stesse intenzioni e dai medesimi disegni. Non è forse vero che noi tutti, sacerdoti, siamo costituiti mediatori di riconciliazione fra Dio e gli uomini? Mediatori, bensì, subordinati a Cristo, unico Mediatore fra Dio e gli uomini «unus mediator Dei et hominum homo Christus Iesus», che diede se stesso in redenzione per tutti, e per il quale Dio ci ha a sé riconciliati e ha dato a noi il ministero della riconciliazione «dedit nobis ministerium reconciliationis », e ci ha incaricati della parola di riconciliazione «posuit in nobis verbum reconciliationis. Pro Christo ergo legatione fiingimur» (I Tim., II, 5 -6; II Cor., V, 18-20). Siamo ambasciatori per Cristo in mezzo al mondo, come se Dio esortasse gli uomini per bocca nostra. A quest’alto concetto sacerdotale propostoci dal Dottore delle Genti solleviamo, diletti Figli, il nostro sguardo, le nostre aspirazioni e i nostri intendimenti; e con l’operoso nostro zelo esaltiamo e rendiamo in mezzo al popolo cristiano veneranda la nostra dignità di mediatori e ambasciatori di Cristo. Ma nella sacra gerarchia chi è mai più vicino al popolo se non il parroco, la cui missione caratterizzano e definiscono tre parole: apostolo, padre, pastore?

Siete cooperatori del Vescovo, successore degli Apostoli, col quale costituite un’unità morale, sicché anche per ognuno di voi vale il mandato della grande missione di Cristo; siete padri dei vostri parrocchiani, e potete ripetere loro le parole dell’Apostolo ai novelli Cristiani : «Filioli mei, quos iterum parturio, donec formetur Christus in nobis» (Gal., IV, 19); siete pastori del vostro gregge, secondo le impareggiabilmente belle ed esaurienti descrizioni e l’irraggiungibile modello del Buon Pastore, Gesù Cristo. Attorno a queste parole di così densa comprensione: apostolo, padre, pastore, vogliamo esporvi alcuni brevi punti, che concernono il benessere e la prosperità della Nostra diocesi di Roma.

1) Ogni parroco è un apostolo; ma soprattutto colui, che svolge l’opera sua in una grande città, deve sentire in sé le fiamme dello spirito apostolico e missionario e dello zelo conquistatore di un San Paolo. Se considerate i tempi moderni coi loro eventi politici e religiosi e col multiforme disviarsi dell’indagine filosofica e scientifica e dell’istruzione ed educazione civile dalle credenze religiose, voi non tarderete a vedere come si siano talmente mutate le antiche condizioni spirituali della società, che neanche in questa Nostra diletta Roma può più parlarsi di un terreno puramente, intieramente e pacificamente cattolico; perché, accanto a coloro — e sono magnifiche legioni — rimasti fermi nella fede, non mancano in ogni parrocchia circoli di persone, le quali, fattesi indifferenti o estranee alla Chiesa, costituiscono quasi un territorio di missione da riconquistare a Cristo.
Di tale duplice aspetto del suo popolo è dovere del parroco di formarsi con pronto ed agile intuito un quadro chiaro e minutamente particolareggiato, vorremmo dire topograficamente strada per strada, — cioè, da un lato, della popolazione fedele, e segnatamente dei suoi membri più scelti, da cui trarre gli elementi per promuovere la Azione Cattolica; e dall’altro, dei ceti che si sono allontanati dalle pratiche di vita cristiana. Anche questi sono pecorelle appartenenti alla parrocchia, pecorelle randage; e anche di queste, anzi di loro particolarmente, siete responsabili custodi, Figli dilettissimi; e da buoni pastori non dovete schivare lavoro o pena per ricercarle, per riguadagnarle, né concedervi riposo, finché tutte ritrovino asilo, vita e gioia nel ritorno all’ovile di Gesù Cristo. Tale è per il parroco il significato ovvio ed essenziale della parabola del Buon Pastore, di quel Pastore che è insieme Padre e Maestro. Tale è l’apostolo della parrocchia, il quale, al pari di Paolo, « Si fa debole coi deboli per guadagnare i deboli, e si fa tutto a tutti per far tutti salvi » (I Cor., IX, 22).

2) Il parroco è pastore e padre, pastore di anime e padre spirituale. Dobbiamo tener sempre presente, diletti Figli, che l’azione della Chiesa, tutta rivolta al regno di Dio che non è di questo mondo, se non vuol essere sterile, ma svolgersi vivificante, sana ed efficace, ha da tendere allo scopo che gli uomini vivano e muoiano nella grazia di Dio. Istruire i fedeli nel pensiero cristiano, rinnovare l’uomo nella sequela e nella imitazione di Cristo, spianare la via, pur sempre angusta, al regno del cielo e rendere veramente cristiana la città, tale è la missione propria del parroco come maestro, padre e pastore della sua parrocchia.
Nell’adempimento di questi doveri non lasciate distogliere e inceppare il vostro zelo dai lavori di amministrazione. Forse non pochi di voi hanno giornalmente a condurre aspra lotta per non restare oppressi dalle occupazioni amministrative e trovare il modo e il tempo indispensabile per la vera cura di anime. Ora, se l’organizzazione e l’amministrazione sono pure senza dubbio mezzi preziosi di apostolato, debbono però essere adattate e subordinate al ministero spirituale e al verace e proprio ufficio operosamente pastorale.

3) Per divino consiglio, anche il sacerdote, come ogni Vescovo «ex hominibus assumptus, pro hominibus constituitur in iis quae sunt ad Deum, ut offerat dona et sacrificia pro peccatis» (Hebr., V, I); e perciò il sacro carattere di lui, intermediario tra Dio e gli uomini, si palesa, si svolge, si espande, si innalza e pienamente si sublima circondato e avvolto dalla suprema e somma luce del suo ministero, nel sacrificio della Santa Messa e nell’amministrazione dei Sacramenti. All’altare, al fonte battesimale, al tribunale di penitenza, alla mensa eucaristica, alla benedizione degli sposi, al letto degli infermi, all’agonia dei morenti, fra i fanciulli avidi ,del futuro e del cammino della vita, nelle famiglie e nelle scuole, negli asili del dolore e nelle case agiate, sul pulpito e nelle pie adunanze, dai sorrisi e dai vagiti delle candide culle ai silenti cimiteri dei riposanti nell’aspettazione di una rinascita immortale, il sacerdote è, nelle mani di Dio, il ministro, lo strumento più operante della poema, dell’amore, del perdono, della redenzione largita all’uomo decaduto per sottrarsi alla schiavitù e alle insidie di Satana, e ritornare al Padre celeste, come pellegrino rigenerato, rivestito di grazia, erede del cielo, ristorato dal viatico di un pane più vivo e salutifero che non fosse il frutto dell’albero della vita piantato in mezzo all’Eden. Tanto piacque al Figlio di Dio, Redentore del mondo, di esaltare a salute degli uomini il suo sacerdote!
Ponete quindi cura che la vostra dignità risplenda sempre innanzi al vostro popolo, e che questo del Santo Sacrificio e dei Sacramenti che amministrate conosca e comprenda con viva fede il significato e il valore, di guisa che con intelligente e personale partecipazione possa seguirne le mirabili cerimonie, come pure tutte le ineffabili bellezze della sacra liturgia. Ci è perciò di sommo conforto e letizia che quest’anno i Santi Sacramenti saranno, o diletti quaresimalisti, il tema centrale della vostra predicazione.
Voi tutti dunque, come certamente avete fatto sinora, celebrate con dignitosa e intima devozione i Santi Misteri, evitando con ogni sollecitudine che i riti sacri, per così dire, inaridiscano nelle mani del sacerdote. Senza dubbio non dipende dal personale merito del ministro l’effetto essenziale dei Sacramenti e si correrebbe il pericolo di ridurli a un mero atto esterno, se si attribuisse importanza principalmente alla loro efficacia psicologica. Ma proprio per stimolare i fedeli ad accostarsi a queste fonti soprannaturali e disporli a riceverne la grazia, dovete tenere come vostro sacro dovere il celebrare il Santo Sacrificio e l’amministrare i Sacramenti con quel profondo rispetto, con quella cosciente riverenza, con quell’interiore pietà che rendono le sacre funzioni esempi di edificazione e incitamenti di devozione. Premuto dalle dure contingenze della vita giornaliera, quando l’ora o la campana della parrocchia lo invitano, e destano, in mezzo al tumulto dei suoi affetti, il pensiero di Dio e il palpito dello spirito, allorché mette il piede sul limitare del tempio ed entra ad accomunarsi coi fedeli per assistere ai Sacri Misteri ed ascoltare la parola di Dio, che cerca mai, che desidera il cristiano? Che vuole il popolo? Esso vuole trovare alimento e ristoro anzitutto e soprattutto nella grazia che lo conforta, ma anche — e questo pure è volontà di Cristo — nell’effetto elevante che la magnificenza della casa di Dio e il decoro degli offici divini offrono all’occhio e all’orecchio, all’intelletto e al cuore, alla fede e al sentimento.
Dopo il Santo Sacrificio, il vostro atto più grave e rilevante è l’amministrazione del sacramento della Penitenza, che fu detto la tavola di salvezza dopo il naufragio. Siate pronti e generosi a offrire questa tavola ai naviganti nel procelloso mare della vita. Insistetevi con speciale zelo e piena dedizione; sedete in quel divino tribunale di accusa, di pentimento e di perdono, come giudici che nutrono in petto un cuore di padre e di amico, di medico e di maestro. E se lo scopo essenziale di questo sacramento è di riconciliare l’uomo con Dio, non perdete di vista che a raggiungere così alto fine giova potentemente quella direzione spirituale, per la quale le anime, più vicine che mai alla paterna voce del sacerdote, versano in lui le loro pene, i loro turbamenti e i loro dubbi e ne ascoltano fiduciose i consigli e gli ammonimenti; perché il popolo sente acuto il bisogno di confessori, che per virtù e per scienza teologica e ascetica, per maturità e ponderatezza, valgano a fornire illuminate e sicure norme di vita e di bene in maniera semplice e chiara, con tatto e benevolenza.

4) Quanto abbiamo detto fin qui riguarda specialmente il devoto e vigile ministero del parroco; ma oltre a questo, è suo stretto dovere di annunziare la parola di Dio (Can., 1344), dovere essenziale dell’apostolo, al quale viene affidato il «verbum reconciliationis» non meno che il «ministerium reconciliationis» (II Cor., V, 18-19). «Vae enim mini est, si non evangelizavero» (I Cor., IX, 16). Perché «fides ex auditu, auditus autem per verbum Christi . . . Quomodo credent ei, quem non audierunt? Quomodo autem audient sine praedicante?» (Rom., X, 14-17). Come l’intelletto preluce alla volontà, così la verità è la lampada della buona azione. La parola è il veicolo della verità, e pur troppo anche dell’errore, che battono alla porta dell’intelletto e della volontà. Voi comprendete perché le ammonizioni dell’Apostolo connettano fede e udito, udito e predicatore, e perché, a sanare la cecità del mondo nel conoscere Dio parlante dalla sapienza lucente nell’universo «placuit Deo per stultitiam praedicationis salvos facere credentes» (I Cor., I, 21). Sublime stoltezza è questa; giacché la stoltezza di Dio è più saggia degli uomini (I Cor., I, 25) e il « disonor del Golgota » è la gloria di Cristo. Queste verità convengono pure, al pari degli ammonimenti dell’Apostolo, ai nostri tempi, in cui profonda è l’ignoranza religiosa e gravida di pericoli. Predicate la dottrina, le umiliazioni e le glorie del Salvatore divino; e poiché specialmente ogni domenica e nel tempo della quaresima numerosissimi cristiani si adunano intorno ai pulpiti, si offre a voi un’occasione unica, — che viene osservata con gelosia dagli araldi di altre concezioni — per rendere più potente e salda e profonda la fede nel popolo; e chi non si giovasse con ardente zelo di un’ora così opportuna, mancherebbe del senso d’illuminata responsabilità nel promuovere il bene, tanto necessario al vivere cristiano, dell’istruzione sacra.
Rendete con la predicazione familiari la persona e gli esempi dell’Uomo-Dio, poiché la vita religiosa dei singoli sboccia e si sviluppa con divina freschezza nella personale relazione e unione con Gesù Cristo. Predicate i misteri della fede; predicate la verità nella sua purezza e integrità fino nelle sue ultime conseguenze morali e sociali: di questo ha fame il popolo. Predicate con semplicità, mirando a quel senso pratico che arriva alla mente e si fa guida dello spirito. Non la scintillante e ricercata facondia conquista, oggi specialmente, le anime, bensì la parola con-vinta che parte dal cuore e va al cuore.
Coi grandi e coi maturi siate, ad immagine dell’apostolo Paolo, padri e dottori di perfezione; coi piccoli e coi giovani fatevi piccoli a guisa di madri «tamquam si nutrix foveat filios suos» (I Thess., II, 7). Non crediate coi piccoli e con gl’ignoranti di umiliarvi: uguale in valore alla predica è la catechesi, l’istruzione dei fanciulli come l’istruzione degli adulti. In tale ufficio il clero della parrocchia può certo contare sull’appoggio e sul concorso dell’Azione Cattolica; e a tutti quelli, che a così santa opera collaborano, Noi con sentimento paterno lieti mandiamo il Nostro profondo ringraziamento e la Benedizione Apostolica. Questa importante missione non dimenticate che i sacri canoni (1329-33) la suppongono come naturale e prima cura, a cui debba por mano colui che è messo curatore di anime. Lo zelo del sacerdote e la sua abilità sarà stimolo e modello ai collaboratori laici; e l’ora di catechismo offrirà al parroco propizia occasione di ritrovarsi con la giovane generazione della parrocchia. Non vi lasciate sfuggire l’occasione di preparare personalmente, quando vi riuscirà possibile, i fanciulli alla prima confessione e comunione : è il primo segreto incontro di voi e di Cristo, il divino amante dei piccoli, con anime ingenue che si accostano a voi e all’altare e si aprono, come fiori di primavera ai primi raggi del sole, e ne serbano indimenticato il ricordo attraverso il corso fluttuante della vita.

5) Non vogliamo infine tralasciare un tratto caratteristico della figura del Buon Pastore, il quale, oltre ad essere la Luce vera che illumina ogni uomo, veniente in questo mondo, nella verità, nella via e nella vita, prodigava fuori di sé la virtù sanatrice anche dei corpi e di ogni miseria umana «benefaciendo et sanando omnes» (Act., X, 38), e lasciando ai suoi Apostoli e alla sua Chiesa il mandato dell’amore misericordioso ai poveri, ai sofferenti, ai derelitti; perché la vita di quaggiù è un flusso e riflusso di beni e di mali, di pianto e di gioia, di bisogni e di soccorsi, di cadute e di risorgimenti, di lotte e di vittorie. Ma l’amore verso i fratelli tutti redenti da Cristo è il misterioso balsamo di ogni dolore e miseria.
Sull’inizio del secondo secolo, come voi ben sapete, S. Ignazio di Antiochia alla Chiesa di Roma, il cui anfiteatro egli, quasi leone morente fra i ruggiti dei leoni, stava per consacrare col suo sangue, dava già il titolo di «προκαζημένε τησ αγάπης»: espressione in cui, tra l’altro, si manifesta un riconoscimento onorevole e nobile della carità di lei, vale a dire che essa « ha il primato (anche) nell’amore » (Epist. ad Rom., II). La carità romana non è mai venuta meno nei secoli : essa brillò nelle catacombe, nelle case dei cristiani, negli ospedali, nei ricoveri dei pellegrini, degli orfani, nei randagi figli del popolo, nei pericoli delle famiglie e delle fanciulle, nei mille aspetti della sventura. Mostratevi degni dei vostri avi. Non vi è parrocchia, dove non vi sia penuria da sollevare; né può disinteressarsene una vita parrocchiale fiorente. Non conoscete voi ogni giorno quanto cresca il bisogno e la povertà, dove manifesta, dove occulta? Organizzate l’operosità della beneficenza, perché si svolga in maniera ordinata, giusta, uguale, vasta; animatela con vivo spirito d’amore, con rispetto delicato, con provvido sguardo verso coloro che senza colpa sono caduti nell’indigenza : qui miseretur, ammonisce S. Paolo, lo faccia in hilaritate (Rom., XII, 8), «con quel tacer pudico, che accetto il don ti fa» (Manzoni, Pentec.).
Attingete il coraggio e la luce nella storia della città e della diocesi di Roma. Per le sue grandezze, le sue decadenze e durezze di eventi, Roma non ha simili, e, in pari tempo, per le potenti manifestazioni della misericordia di Dio non ha uguali. Quanta è la dignità di questo colle Vaticano e di queste sponde del Tevere! Quanta è la gloria delle parrocchie e dei sacri titoli romani, dalle cui pareti mille ricordi e lapidi parlano e ammoniscono chi li contempla! Che se è pur dovere che gli animi nostri restino consapevoli della grave ed aspra ora che volge, la nostra vita e l’ardore nostro vogliono essere sostenuti dalla fiducia che la forza di Dio creerà anche oggi opere grandi e perfette; perché ogni sufficienza nostra viene da Lui: «Sufficit tibi gratia mea; nam virtus in infirmitate perficitur» (II Cor., III, 5 ; XII, 9).
Rivolgete in alto i vostri sguardi agli innumerevoli uomini, ché col loro sangue, come testimoni di Cristo, hanno abbeverato il suolo di questa città, agli eroi dello zelo, della parola e della carità, che con la santità della vita lo hanno reso fertile e rigoglioso, dai Principi degli Apostoli e dai Protomartiri della Chiesa romana sotto Nerone ai ministri di Dio, sacerdoti, religiosi, prelati e Pontefici, che in quest’Urbe furono lucerne ardenti e lucenti in secoli a noi più vicini. Con piena fiducia nella loro intercessione e specialmente in quella della Santissima Vergine, aiutandovi vicendevolmente con fraterno spirito sacerdotale, consacrandovi con piena e assidua dedizione all’opera di Cristo e della sua Chiesa, fate che questa città, diocesi Nostra particolare e anche cura vostra, tanto ampliatasi in pochi decenni e cresciuta, con straordinaria rapidità, di popolazione e splendore, sia, in faccia al mondo che qui conviene da ogni paese, modello di profonda fede, di costume cattolico e di cristiana carità.

Per questo impartiamo, diletti Figli, a voi e ai vostri collaboratori, a tutte le speranze e le intenzioni vostre, ai vostri parrocchiani, e specialmente alla gioventù, dalla pienezza del Nostro cuore paterno l’Apostolica Benedizione.

 

Articolo completo: https://www.centrostudifederici.org/discorso-di-pio-xii-ai-parroci-di-roma-per-la-quaresima%E2%80%A8/?fbclid=IwAR33jrNNwQ3YY6bEVDpbA4pSvEaSaGZpQ1BZosU9Rkpb8Swo7zybNVPVBQU

I Magi nel commento del biblista Salvatore Garofalo

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Segnalazione del Centro Studi Federici
Dal Vangelo secondo Matteo
Cap. 2 – 1 Nato Gesù in Bethlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco che dei Magi, venuti da Oriente, si presentarono a Gerusalemme dicendo: 2 « Dov’è il re dei Giudei ch’è nato? Poichè abbiamo veduto la sua stella ad oriente e siamo venuti ad adorarlo ». 3 Udito ciò, il re Erode si turbò, e tutta Gerusalemme con lui; 4 e radunati tutti i gran sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro dove dovesse nascere il Messia. 5 Ed essi gli risposero: « In Bethlemme di Giudea; così, difatti, è stato scritto dal profeta:
6 E tu, Bethlemme, terra di Giuda,
in nessun modo sei minima fra le grandi città di Giuda:
da te, infatti, nascerà un capo,
che sarà pastore del mio popolo, Israele ».
7 Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece precisare il tempo dell’apparizione della stella e, inviandoli a Bethlemme, disse: 8 « Andate e informatevi accuratamente del bambino; e, quando lo avrete trovato, fatemelo sapere, affinchè anch’io venga ad adorarlo ». 9 Udito il re, quelli partirono. Ed ecco la stella che avevano veduta all’oriente li precedeva, finchè, giunta sul luogo dov’era il bambino, si fermò. 10 La vista della stella li rallegrò di grandissima gioia. 11 Ed entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre e, prostratisi, lo adorarono; poi, aperti i loro scrigni, gli presentarono in dono oro, incenso e mirra. 12 E, divinamente avvertiti in sogno di non tornare da Erode, ritornarono per altra via al loro paese.
Note di Salvatore Garofalo
Cap. 2 Nel racconto dei Magi, l’attenzione dell’evangelista si concentra sulle prime reazioni ufficiali dell’ambiente ebraico alla nascita di Gesù, che viene indicata appena di scorcio (cfr. invece Lc. 2, 1-20). Erode morì nel 27 marzo-11 aprile del 750 di Roma, cioè nel 4 a. C. L’èra cristiana che fissa il primo anno d. C. al 754 di Roma procede da un errore di calcolo dovuto al monaco Dionigi il Piccolo del VI sec. Le antiche fonti greche parlano con molta stima dei Magi, di origine persiana. Dal sec. II d. C. essi cominciano ad esser confusi con gli indovini e gli astrologhi di provenienza babilonese ed egiziana (cfr. Atti 13, 6 ss.; 8, 9), considerati come fattucchieri e imbroglioni. Nell’antica tradizione persiana i Magi erano i più fedeli ed intimi discepoli di Zoroastro e custodi della sua dottrina; nei tempi più vicini al Cristo essi avevano una parte di primo piano nella religione ed anche nella politica. Mt. parla solo vagamente del loro paese di origine e nulla dice nè del loro numero esatto nè del nome nè della loro dignità regale. Sulla loro patria, gli studiosi non sono concordi; le preferenze si dividono tra l’Arabia (praticamente la regione ad est del mar Morto e del Giordano) e la Persia. Su Bethlemme cfr. Lc. 2, 4 nota.
2 Il fatto che i Magi si rivolgano alla corte di Gerusalemme può essere un indice del loro alto rango sociale. Re dei Giudei è un titolo spontaneamente inteso come corrispondente a Messia (v. 4; cfr. 27, 37). La stella del Messia (sua) è un segno nei cieli in relazione con l’attesa e la venuta del redentore. Una vera e propria stella non può assolvere le funzioni dell’astro veduto dai Magi (v. 9), perciò viene intesa piuttosto come un fenomeno verificatosi nella zona dell’atmosfera ma di tale natura che, ovviamente, non poteva essere indicato che come una stella. La tradizione religiosa persiana parlava di un « soccorritore » destinato a portare nel mondo la definitiva perfezione e il cui avvento era messo in relazione con fenomeni astronomici. Per il Messia-stella cfr. Num. 24, 17. Adorare, nell’antichità, indica in genere rendere omaggio, alla maniera orientale, con la prostrazione al suolo; se questa sia ispirata anche a un motivo religioso dipende dal contesto.
3 Erode fu sempre ferocemente geloso della sua corona acquistata a gran prezzo e non dubitò di sopprimere chiunque gliela insidiasse, fossero anche uomini del suo sangue. Il turbamento di Gerusalemme è dovuto all’entusiasmante annunzio dato dagli stranieri dell’avvenuta nascita del Messia aspettato da secoli.
4 Il re convoca l’assemblea competente in questioni religiose. I gran sacerdoti possono essere o i sommi sacerdoti scaduti di carica o i membri delle grandi famiglie sacerdotali fra le quali si sceglieva il sommo sacerdote o i rappresentanti delle ventiquattro classi sacerdotali (cfr. Lc. t, 5). Gli scribi erano i dottori, gli esperti della legge. Insieme con gli anziani del popolo, notabili laici, queste tre classi costituivano il gran consiglio o sinedrio, supremo tribunale ebraico. Poichè l’espressione « scribi del popolo » è insolita, si pensa che il testo primitivo del Vangelo sia stato: « i gran sacerdoti, gli scribi e gli anziani del popolo ».
5 La tradizione ebraica aveva sempre visto nel testo di Michea (5, 1 testo ebr.) una profezia messianica. Bethlemme è detta di Giudea per distinguerla da un omonimo villaggio di Galilea.
9 La stella non guidò i Magi dal loro paese alla Giudea ma riapparve solo sulla strada da Gerusalemme a Bethlemme, che distava dalla capitale ca. due ore di cammino. La direzione è nord-sud, contraria, quindi, al moto delle stelle.
11 La casa suppone che Giuseppe abbia provveduto a ricoverare in luogo più proprio (cfr. Lc. 2, 7) Gesù e Maria; tanto più che il tempo della visita dei Magi distava notevolmente da quello della nascita del Bambino (v. 16). Il racconto del Vangelo lascia intendere che l’« adorazione » dei Magi ebbe un contenuto anche religioso, dal momento che Dio non aveva risparmiato prodigi per condurre i sapienti alla culla del Messia. L’etichetta orientale esigeva che la visita a un personaggio di riguardo fosse accompagnata da doni proporzionati alla dignità di chi visitava e di chi era visitato. I Magi scelgono doni di grande valore in quel tempo. L’incenso e la mirra erano profumi adibiti ad usi sia sacri che profani. La tradizione cristiana attribuisce ai doni un significato simbolico: l’oro indica la regalità, l’incenso la divinità e la mirra l’umanità del Messia; quest’ultima, infatti, era usata in modo particolare nella imbalsamazione dei cadaveri.
12 Per potersi portare fuori del territorio soggetto ad Erode, i Magi ebbero certamente bisogno di due o tre giornate di marce forzate in direzione del mar Morto.
Tratto da: La Sacra Bibbia, vol. III, Marietti, Torino 1961, pagg. 14.15.

Un anno dopo la morte del neomodernista Joseph Ratzinger

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Segnalazione del Centro Studi Federici

“È stato l’errore dell’età confessionale aver visto per lo più soltanto ciò che separa, e non aver percepito in modo esistenziale ciò che abbiamo in comune nelle grandi direttive della Sacra Scrittura e nelle professioni di fede del cristianesimo antico” (discorso di Benedetto XVI ai rappresentanti del Consiglio della Chiesa Evangelica di Germania, Erfurt, 23.09.2011)
Il 31 dicembre 2023 moriva Benedetto XVI, uno dei protagonisti del neo-modernismo condannato da papa Pio XII con l’enciclica “Humani generi” del 12.08.1950”, sulla scia dell’enciclica “Pascendi Dominici gregis”dell’8.09.1907, con la quale il papa san Pio X condannò il Modernismo.
Per l’occasione ripubblichiamo un dossier sugli errori dottrinali affermati e insegnati da Joseph Ratzinger insieme ai comunicati dell’Istituto Mater Boni Consilii sulla famosa rinuncia e sull’elezione di Jorge M. Bergoglio e il discorso tenuto da B. XVI alla delegazione della massoneria ebraica dei “B’nai B’rith”.
Dossier Ratzinger: quando il Reno si gettò nel Tevere
La rinuncia di Joseph Ratzinger
In merito all’elezione di Jorge M. Bergoglio
Discorso di Benedetto XVI  a una delegazione di “B’nai B’rith International”
Fonte: 

Fervorini per l’Ora santa e Te Deum di fine anno (31/12/2023)

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Torino, Oratorio del S. Cuore (I.M.B.C.)

31 dicembre 2023

Primo fervorino, sull’Adorazione

Secondo fervorino, sull’Espiazione delle colpe

Terzo fervorino, “Il segreto della felicità”,
sulla Preghiera d’impetrazione

Quarto fervorino, sul Ringraziamento,
“espressione vivissima dell’Amore”:

 

Per ascoltare i fervorini, cliccate su: https://www.sodalitium.biz/fervorini-per-lora-santa-e-te-deum-di-fine-anno-31-12-2023/

L’Adorazione dei Magi

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Segnalazione di Schola Palatina

a cura della Prof. Sara Magister

Tra le splendide collezioni nobiliari seicentesche, che contribuiscono alla gloria della città di Roma, quella della Galleria Borghese spicca su tutte. Perché è stata una delle prime, generando poi un processo di imitazione – emulazione. E soprattutto perché con le scelte coraggiose e geniali del suo ideatore, il cardinal nipote Scipione Borghese, ha svecchiato il panorama romano del primo Seicento, offrendo anche ad altri collezionisti l’occasione di aprire i loro orizzonti di interesse a nuovi linguaggi e ambiti di produzione artistica.

E così scorrono nelle sale della Galleria non solo le opere del divino Raffaello, di Botticelli e dei grandi classici toscani e romani esaltati nelle Vite di Giorgio Vasari, ma anche di pittori inusuali per le collezioni dell’epoca. Come alcuni artisti attivi nel Nord Italia, scovati dall’occhio attento e curioso del cardinale non solo nelle grandi città, ma anche nella fiorente provincia.

Un ruolo rilevante, ad esempio, è svolto da quel territorio posto al confine tra il ducato di Milano e la Repubblica veneta, che pur nelle continue contese politiche è stato in grado di generare un linguaggio originale, ben distante dalle sublimi idealizzazioni dei grandi del Rinascimento, ma non per questo meno denso di significato.

Jacopo da Ponte, detto il Bassano per il paese di origine – Bassano del Grappa –, è un artista che si era ben inserito in questo modo di guardare alla realtà, con un certo successo di pubblico. Si era formato a Venezia, dove aveva appreso la potenza emotiva del colore e della luce e la poetica dei sentimenti espressa attraverso i gesti e gli sguardi, mentre dagli artisti nord-europei aveva tratto quell’interesse per i dettagli, per la natura e per la trasposizione di soggetti sacri in contesti di vita quotidiana, che amplificherà nelle sue opere, fondando una scuola che sarà fondamentale per la formazione del filone naturalista dell’arte barocca, primo fra tutti Caravaggio.

Non un Re, ma un bimbo

Esemplare in questo senso è la tela dell’Adorazione dei Magi, databile attorno al 1576 circa, e prima versione di un soggetto ripetuto in almeno una ventina di altri esemplari simili, a conferma del suo ampio apprezzamento.

La composizione non è centralizzata ma spostata tutta sulla destra, verso la Sacra Famiglia, che è posta al margine di una tela molto affollata di persone, ma anche di oggetti e di animali. La fantasia dell’artista ha voluto immaginare, oltre ai protagonisti citati nelle Sacre Scritture, anche il corteo ricco ed esotico dei re persiani, talmente imponente che gli ultimi sono ancora in cammino, mentre i magi in primo piano hanno già deposto la corona ai piedi del Salvatore.

Un corteo dove tutti i suoi partecipanti, paggi, inservienti, animali da soma, cammelli, asinelli, cavalli, una scimmietta e persino qualche cagnolino subito si danno da fare per tirare fuori dai bauli oggetti preziosi di ogni genere: vasi dorati, ciotole e piatti tintinnanti, pietre preziose. Ma sono molto confusi, su quale sia il migliore regalo da offrire.

Si erano preparati bene, infatti, pensando che sarebbero giunti al cospetto di un re potente, seduto su un trono. E invece ora non sanno che fare, perché quella meta che hanno a lungo inseguito è in realtà un semplice bambino nudo, protetto solo dal tetto di una stalla diroccata, seduto sulle gambe della mamma e con gli occhi tutti per lei. Il contrasto tra le loro aspettative e la realtà è fortissimo e suscita la curiosità dei locali. Un bimbo sbuca da dietro il muro della stalla per guardare, ma senza capire molto.

In ginocchio di fronte al Mistero rivelatoChi capisce tutto sono invece i saggi persiani. Il primo a dimostrarlo è il più anziano dei tre che, deposta la corona a terra, s’inginocchia di fronte al Mistero rivelato, e offrendogli l’ampolla d’oro ne riconosce la dignità regale. Il broccato della mantella dell’anziano saggio riflette la luce divina, che brilla attorno al capo del piccolo Gesù. Gli altri due magi attendono il loro turno, stringendo i doni prescelti, quelli che denoteranno Gesù come Sacerdote (incenso) e Unto del Signore (mirra) e, confermandosi reciprocamente a bassa voce che era proprio quel piccolo bambino, colui che avevano a lungo cercato nel loro viaggio.

Come è tipico dell’arte veneziana, anche Jacopo Bassano gioca sui contrasti. In questo caso tra il lusso delle suppellettili e delle stoffe di seta e damasco delle vesti dei Magi e dei loro paggi e, di contro, la povertà estrema della Sacra Famiglia e del contesto architettonico che la ospita. Ma è proprio in quella povertà così disarmante che si manifesta il vero re e che si concentra una luce che poi si espande fino in lontananza, investendo anche gli elementi naturali, oltre che le persone.

Un denso simbolismoLa tradizionale attenzione per la natura, tipicamente veneziana, viene amplificata da Bassano a tal punto da far dire al biografo Raffaello Borghini, nel 1584, che nelle sue tele i protagonisti sembrano essere «spezialmente gli animali e le varie masserizie della casa». Ma quella che al primo impatto sembra essere un’umile scena pastorale, si carica invece di un denso simbolismo.

Gli animali presenti in questa scena, infatti, non servono solo a denotare il carattere esotico del corteo o il contesto campestre, ma segnalano ulteriori livelli di significato. La scimmia indica l’incapacità di comprendere dei paggi inutilmente indaffarati, il pavone in primo piano sul tetto della stalla, invece, indica la superbia della ricchezza, letteralmente deposta, insieme alla corona, dal saggio anziano, di cui spicca il capo nudo, come è nudo il corpo del piccolo Gesù.

FONTERadici Cristiane n. 140

Natale è ogni giorno Gesù Bambino nell’Eucarestia

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di Matteo Castagna*

A Natale si fa il Presepio per ricordare che nell’Eucarestia c’è sempre – vivo e vero – il Bambino Gesù.

Mons. Giuseppe Angrisani (1894 – 1978) fu il vescovo di Casale Monferrato dal 1940 al 1971. Riunì, nel 1956, in un volume “Regem Venturun Dominum”…(meritoriamente ripubblicato dalla Casa Editrice Sodalitium, Verrua Savoia, 2022 eu.16,00) prediche e meditazioni per la Novena di Natale, che ebbero immediato imprimaur ecclestico per la loro Fede autentica che ci dona tesori spirituali di attuale ed eterno valore.

Se non vi fosse stato il rigido inverno conciliare (1962-1965), è probabile che molti elementi dottrinali sarebbero conosciuti, almeno dalla maggioranza del clero. Il quale non si potrebbe permettere le blasfemie che, ogni anno, purtroppo sconvolgono i credenti e provocano il ghigno del Demonio, come quello dei tanti “anticristi” di svariate ideologie o semplicemente atei. Sua Eccellenza osserva , in uuna di queste omelie, che “non soltanto in un unico luogo della terra, non soltanto una volta all’anno, ma ogni giorno, ogni ora, il vero Bambino Gesù, in carne ed ossa, rinasce e dimora, dovunque vi sia un altare sul quale il Sacerdote celebri la Santa Messa”. E poi prosegue: “E’ verità di fede che nel Sacramento dell’Eucarestia vive lo stesso Gesù che nacque in terra da Maria Vergine”.

“Visus, tactus, gustus, in Te fallitur” canta S. Tommaso d’Aquino. I nostri sensi e la nostra ragione non riescono a comprendere pienamente. La scienza, chiamata in causa, lo ignora, anzi compatisce chi crede.

Su cosa, dunque, posso fondare la mia fede? Mons. Angrisani prende in mano il Vangelo di S. Giovanni e legge il miracolo della motiplicazione dei pani e dei pesci per le cinquemila persone che seguivano Gesù. Non solo ci fu da mangiare per tutti, ma coi soli avanzi si riempirono dodici ceste. “Questo miracolo era così sbalorditivo e potente che gli uomini, lì per lì, si accordarono di nominare Gesù loro Re”. Il mattino seguente, non vedendo più Gesù tra loro, si misero a cercarlo e lo trovarono dall’altra parte del lago, nei pressi di Cafarnao. Il Messia fece un discorso che va meditato molto attentamente: “Mi cercate perché ieri vi ho dato da mangiare. Ma ora vi dico: Non accontentatevi di questo pane che si tritura e che si consuma. Cercate, invece, il pane che può darvi la vita eterna. E prosegue: “Io sono il pane di vita. Chi viene a me non avrà più fame, e chi crede in me non avrà più sete” (35). (…) “io sono il pane vico venuto dal cielo. Se qualcuno mangerà di questo pane, vivrà eternamente, e il pane che darò è la mia carne, che sarà offerta per la vita eterna” (47-52).

Quello che Cristo aveva promesso a Cafarnao, lo mantiene e lo dà all’Ultima Cena, il giovedì Santo. San Paolo, che è stato il primo a parlare della Divina eucarestia, scrive così: “Fratelli, quello che ho detto a voi io l’ho ricevuto dal Signore, che la notte in cui fu tradito, prese il pane e dopo aver reso grazie a Dio, lo spezzò e disse;” Prendete e mangiate: questo è il mio corpo che sarà immolato per voi. Fate questo in mio ricordo. e parimenti, dopo cenato, prese il calice dicendo: “questo calice è il nuovo patto nel mio sangue, e tutte le volte che ne berrete, voi ricorderete la morte del Signore fino a che egli venga” (I, Cor. XI,24).

Lo stesso infelice apostata Lutero, che osava definire la Santa Messa “l’impostura abominevole di Babilonia” scriveva, in un momento di sincerità, al suo amico Melantone: “E’ inutile! Quelle parole sono troppo chiare. Non posso credere che abbiano soltanto un valore simbolico”.

Il Modernismo, in linea con la somma di tutte le eresie, ha scritto il Novus Ordo Missae assieme a sei pastori protestanti, fra i quali Max Thurian della Comunità di Taizé, che dichiarò: «Uno dei frutti del nuovo Ordo sarà forse che le comunità non cattoliche potranno celebrare la Santa Cena con le stesse preghiere della Chiesa cattolica. Teologicamente è possibile» (La Croix, 30 maggio 1969). Immediatamente i Card. Ottaviani e Bacci inviarono a Montini il “Breve Esame Critico del Novus Ordo Missae” scritto dal teologo domenicano Michél Guerard de Lauriers. Teologicamente, si faceva presente che la riforma aveva ridotto il sacrificio eucaristico a semplice “memoriale” della morte di Gesù, rendendo la reale presenza di Cristo nel pane e nel vino una presenza solo simbolica. 

Di qui, si susseguirono decenni di “messe” invalide in tutto il mondo. La riforma dei riti di consacrazione episcopale del 1968 rese assolutamente invalidi e certamente nulli “i nuovi vescovi” e, per conseguenza, “i nuovi preti”. La formula essenziale del vero vescovo, così come infallibilmente sancito da Papa Pio XII nella “Sacramentum Ordinis” del 30/11/1947 omette molte frasi del rito tradizionale. In particolare sbianchetta la frase: “Un vescovo giudica, interpreta, consacra, ordina, offre, battezza e conferma” per lasciare il posto ad un vago “Spirito governante”, che non implica inequivocabilmente i poteri dell’episcopato.

Il castigo per i peccati del mondo, soprattutto contro il Primo e Secondo Comandamento è stato il Vaticano II, che ha trasformato la Chiesa cattolica in una Onlus ecumenista e mondialista, con laici che non possono consacrare validamente, a presiedere le loro funzioni.

Questa drastica riduzione della dimensione visibile della Chiesa, che non verrà mai meno per il dogma dell’indefettibilità, riduce le Messe e l’Eucarestia valide e legittime. Potrebbe essere questa drastica riduzione del Santo Sacrificio dell’Altare ad aver scatenato le forze del male e inebetito quelle del bene, privandole della Grazia santificante della sicura Presenza Reale, consacrata da un vero prete. E non esiste, di fronte alla nullità degli Ordini post 1968 alcun “ex opere, operato”  poiché nessun laico può validamente consacrare l’Ostia e il vino.

Serve, dunque, molta Fede, preghiera e azione degna del Cattolico nel cercare vescovi e sacerdoti certi, che in Italia non mancano. Sia tutto ciò spunto di riflessione per questo Santo natale, in vista di un 2024 che ci deve vedere pronti, realmente santificati, desiderosi di combattere per la Buona Battaglia.

 

 

*Responsabile Nazionale del Circolo Christus Rex-Traditio, Comunicatore Pubblico e Istituzionale

Sodalitium.it: Come fare per avere dei funerali cattolici?

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Segnalazione www.sodalitium.it 

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PER AVERE UN FUNERALE CATTOLICO

Come fare per avere dei funerali cattolici?

Per rispondere alle vive preoccupazioni dei fedeli e delle loro famiglie, consigliamo le disposizioni che devono essere prese per esigere una cerimonia secondo il rito delle Esequie che si trova nel Messale Romano codificato da S. Pio V e nel Rituale Romano.

Per evitare dei procedimenti sempre spiacevoli nei confronti del clero o dei propri familiari, quali regole si devono osservare per ottenere delle esequie conformi alla propria fede?

È consigliabile prevedere un testamento distinto da quello che regola il lascito dei propri beni, perché molto spesso quest’ultimo viene aperto solo dopo i funerali. Questo testamento di cui stiamo parlando deve essere obbligatoriamente scritto di pugno dell’interessato in due o tre esemplari.

1 – Consegnare questo testamento ad una, o meglio a parecchie persone che godono della vostra completa fiducia e che saranno avvisate del vostro decesso molto rapidamente.

Indicare se possibile nel testamento:

Io nomino mio esecutore(i) testamentario (i) incaricato di occuparsi dello svolgimento dei miei funerali e della cerimonia religiosa:
1° Il signor (o la signora) X … , nato (a) il… a… (città, provincia) (per le signore sposate indicare anche il cognome da signorina), residente a ….
Soltanto in caso di una pluralità di esecutori testamentari:
2° Il signor Y (stesse indicazioni);
3° Il signor Z (stesse indicazioni);
Ciascuno degli esecutori testamentari suddetti potrà agire anche da solo.

2 – Non indicare il luogo dei funerali. Scrivere per esempio, secondo il sacerdote (o i sacerdoti) che sceglierete: “Voglio che i miei funerali siano celebrati da un sacerdote dell’Istituto Mater Boni Consilii, o da un sacerdote indicato dall’Istituto Mater Boni Consilii”, e darne una copia al sacerdote (o ai sacerdoti).

3 – Indicare l’indirizzo dell’Istituto:

Istituto Mater Boni Consilii
Località Carbignano, 36
10020 Verrua Savoia TO
tel. 0161-839335; fax 0161-839334
info@sodalitium.it

• Se è la famiglia (o altri aventi diritto sul defunto) ad opporsi ai funerali, è necessario saperlo il più presto possibile. Bisogna ricorrere ad un ufficiale giudiziario che farà un’“ingiunzione” all’oppositore. In attesa di questa risposta scritta, scegliere un avvocato (facoltativo, ma più sicuro).

Pervenuta la risposta, l’avvocato o il richiedente si rivolge al giudice per conoscere l’ora fissata per il giudizio. In seguito l’ufficiale giudiziario fa una citazione a comparire davanti al tribunale d’Istanza.

Dopo il giudizio, si dovrà fare un verbale e farlo eseguire.

• Conclusione: Tutto si può fare in un giorno ma è una corsa contro il tempo. Di qui la necessità per gli esecutori testamentari di essere avvisati del decesso il più presto possibile.

Qui di seguito trovate un modello di disposizioni testamentarie, da ricopiare a mano, in più esemplari se necessario, modificandolo secondo le vostre esigenze, da datare per esteso (ad es. quattro maggio duemiladieci) e da firmare.

• Pensate a lasciare disposizioni per la celebrazione di S. Messe per la vostra anima (non è detto che gli eredi ci pensino e provvedano loro necessariamente…). Se potete provvedete a dare disposizione per le “Messe gregoriane” (si tratta di 30 Messe celebrate di seguito, alla fine delle quali l’anima, se vi si trova, è liberata dalle fiamme del purgatorio secondo una rivelazione di Papa S. Gregorio Magno). [L’elemosina per una Messa è di € 15, e per le gregoriane di circa € 500]

Modello di disposizioni testamentarie da adattare.

Io sottoscritto…, nato a…, il…., residente a…, desidero che i miei funerali si svolgano nel modo seguente.

Designo come mio(i) esecutore(i) testamentario (i) incaricato di eseguire le mie volontà qui sotto espresse (per le donne indicare i due cognomi da nubile e da sposata):

sig. x (stato civile, domicilio)

sig. y (stato civile, domicilio)

sig. z (stato civile, domicilio).

Ciascuno dei suddetti esecutori testamentari designati e in possesso di una copia di queste disposizioni potrà agire da solo.

Desidero che la Messa dei miei funerali sia una Messa di S. Pio V, in latino, secondo il rito in vigore nella Chiesa cattolica, celebrata da un sacerdote dell’Istituto Mater Boni Consilii (ricopiare le coordinate complete dell’Istituto e i telefoni, come sulla prima pagina) o da un sacerdote designato dall’Istituto. Il comune e il cimitero in cui sarò inumato saranno indicati dai miei esecutori testamentari.

Mi oppongo formalmente alla cremazione.

Le modalità della mia sepoltura (luogo di celebrazione della Messa, luogo dei funerali, condizioni e luogo di inumazione, scelta dell’impresa di pompe funebri, tipo di tomba, di sarcofago, ecc.) saranno stabilite dai miei esecutori testamentari.

Il costo del funerale, inumazione e tomba, saranno prelevati sul totale del mio attivo successorio, prima di ogni ripartizione legale o convenzione tra i miei eredi, o rimborsate dai miei aventi diritto alla prima richiesta dei miei esecutori testamentari se essi lo hanno anticipato. Saranno ugualmente rimborsati ai miei esecutori testamentari, alle stesse condizioni, tutti gli onorari legali di qualsiasi specie, erogati a titolo di semplice consultazione o consiglio, nell’ambito di procedimenti giudiziari, ogni attività di ufficiale giudiziario e più in generale tutte le spese che i miei esecutori testamentari avranno giudicato necessarie o utili per giungere a eseguire le mie volontà.

Scritto interamente di mio pugno, nel pieno possesso delle mie facoltà, in X copie originali consegnate a ciascuo dei miei X esecutori testamentari sopra designati, a…, il… (la data in lettere).

NB: Il testamento deve essere scritto interamente dalla mano del testatore, in più esemplari, con data per esteso in lettere, e firmato.

Indulgenze per le anime dei defunti
Trovate sul nostro sito i dettagli relativi alle indulgenze che possono essere lucrate, in favore delle anime dei defunti, nel corso dell’anno, e quelle proprie al mese di novembre.
Approfondire
Prossimo appuntamento
XIX convegno di studi Albertariani:
“I moderati contro
i cattolici integrali”
(Milano, 18 novembre 2023)
Sabato 18 novembre 2023 ore 15,00, presso l’Hotel Andreola di Milano, via Domenico Scarlatti 24. Relatore don Francesco Ricossa.
Programma e informazioni

Paolo VI, 24 maggio 1976: “Il nuovo Ordo è stato promulgato perché si sostituisse all’antico”

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Celebriamo oggi la Patrona (insieme ai SS. Pietro e Paolo e a San Pio V) del Sodalitium Pianum, associazione fondata da monsignor Umberto Benigni nel 1909 per contrastare i nemici interni ed esterni della Chiesa, in particolare per applicare il programma antimodernista tracciato da san Pio X (programma del Sodalitium Pianum: http://www.sodalitium.biz/documenti/programma-del-sodalitium-pianum/ ).

In tale occasione il Centro Studi don Paolo de Töth intende rendere gloria alla SS. Madre di Dio, Aiuto dei Cristiani, proponendo la lettura e la riflessione di un Discorso tenuto durante un Concistoro da ‘San Paolo VI’ (per noi card. G.B. Montini) proprio il 24 maggio 1976, nel quale imponeva la ‘Nuova Messa’ e vietava conseguentemente la precedente.

Chi colpevolizza oggi Bergoglio di vietare la Messa ‘in latino’ sappia che ‘Francesco’ è in perfetta continuità ed armonia con un suo Santo predecessore e chi accusa quello accusa anche questo, accusando così un Santo Papa della Chiesa, che avrebbe promulgato una Messa cattiva, insegnato errori, imposto Riti inaccettabili, etc. E l’assurdo è che tutto questo sarebbe affermato da veri Cattolici…

Anche il semplice Sagrestano nella famosa Tosca di pucciniana memoria, affermava più volte, rimbrottando il Cavaradossi, con la sua peculiare voce da basso: “Scherza coi fanti, ma lascia stare i Santi!!”, che sono tali, ovviamente, solo se canonizzati da Legittimi Successori di san Pietro, aggiungiamo noi.

 

Dal DISCORSO AL CONCISTORO
DEL SANTO PADRE PAOLO VI
(lunedì, 24 maggio 1976):

 

«…coloro che, col pretesto di una più grande fedeltà alla Chiesa e al Magistero, rifiutano sistematicamente gli insegnamenti del Concilio stesso, la sua applicazione e le riforme che ne derivano, la sua graduale applicazione a opera della Sede Apostolica e delle Conferenze Episcopali, […] si allontanano i fedeli dai legami di obbedienza alla Sede di Pietro come ai loro legittimi Vescovi; si rifiuta l’autorità di oggi, in nome di quella di ieri. E il fatto è tanto più grave, in quanto l’opposizione di cui parliamo non è soltanto incoraggiata da alcuni sacerdoti, ma capeggiata da un Vescovo, da Noi tuttavia sempre venerato, Monsignor Marcel Lefebvre.

È tanto doloroso il notarlo: ma come non vedere in tale atteggiamento – qualunque possano essere le intenzioni di queste persone – porsi fuori dell’obbedienza e della comunione con il Successore di Pietro e quindi della Chiesa?

Poiché questa, purtroppo, è la conseguenza logica, quando cioè si sostiene essere preferibile disobbedire col pretesto di conservare intatta la propria fede, di lavorare a proprio modo alla preservazione della Chiesa cattolica, negandole al tempo stesso un’effettiva obbedienza. E lo si dice apertamente! Si osa affermare che il Concilio Vaticano II non è vincolante; che la fede sarebbe in pericolo altresì a motivo delle riforme e degli orientamenti Post-conciliari, che si ha il dovere di disobbedire per conservare certe tradizioni. Quali tradizioni? È questo gruppo, e non il Papa, non il Collegio Episcopale, non il Concilio Ecumenico, a stabilire quali, fra le innumerevoli tradizioni debbono essere considerate come norma di fede! Come vedete, venerati Fratelli nostri, tale atteggiamento si erge a giudice di quella volontà divina, che ha posto Pietro e i Suoi Successori legittimi a Capo della Chiesa per confermare i fratelli nella fede, e per pascere il gregge universale (Cfr. Luc. 22, 32; Io. 21, 15 ss.), che lo ha stabilito garante e custode del deposito della Fede.

E ciò è tanto più grave, in particolare, quando si introduce la divisione, proprio là dove congregavit nos in unum Christi amor, nella Liturgia e nel Sacrificio Eucaristico, rifiutando l’ossequio alle norme definite in campo liturgico. È nel nome della Tradizione che noi domandiamo a tutti i nostri figli, a tutte le comunità cattoliche, di celebrare, in dignità e fervore la Liturgia rinnovata. L’adozione del nuovo “Ordo Missae” non è lasciata certo all’arbitrio dei sacerdoti o dei fedeli: e l’Istruzione del 14 giugno 1971 ha previsto la celebrazione della Messa nell’antica forma, con l’autorizzazione dell’ordinario, solo per sacerdoti anziani o infermi, che offrono il Divin Sacrificio sine populoIl nuovo Ordo è stato promulgato perché si sostituisse all’antico, dopo matura deliberazione, in seguito alle istanze del Concilio Vaticano II. Non diversamente il nostro santo Predecessore Pio V aveva reso obbligatorio il Messale riformato sotto la sua autorità, in seguito al Concilio Tridentino.

La stessa disponibilità noi esigiamo, con la stessa autorità suprema che ci viene da Cristo Gesù, a tutte le altre riforme liturgiche, disciplinari, pastorali, maturate in questi anni in applicazione ai decreti conciliari. Ogni iniziativa che miri a ostacolarli non può arrogarsi la prerogativa di rendere un servizio alla Chiesa: in effetti reca ad essa grave danno».

(https://www.vatican.va/content/paul-vi/it/speeches/1976/documents/hf_p-vi_spe_19760524_concistoro.html)

Invocazione di San Giovanni Bosco a Maria Ausiliatrice

O Maria, vergine potente, tu sei grande e sublime difesa della Chiesa; tu mirabile aiuto dei cristiani; tu sei terribile come una schiera ordinata a battaglia; tu che da sola sbaragliasti tutte le eresie nel mondo intero; tu nelle afflizioni, nella guerra, nelle difficoltà difendici dal nemico e nell’eterna gioia accoglici nell’ora della morte. Così sia.

La devozione per il Papa, secondo S. Giovanni Bosco

Infine riportiamo, in questo giorno così caro a don Bosco, i suoi insegnamenti e le testimonianze della sua vita a riguardo del Papa. Allora come adesso se un Papa è un vero Papa, Legittimo Successore di San Pietro, Vicario di Cristo etc, ecco come dobbiamo rapportarci a lui, se siamo veri cattolici e non un qualsivoglia protestante.

 

Tratto da: San Giovanni Bosco, meditazioni per la novena, le commemorazioni mensili e la formazione salesiana. Autore: Sac. Domenico Bertetto SDB

Il grande amore e la indefettibile fedeltà di Don Bosco verso il Papa sono fondati sulla viva fede che lo illuminava, circa la dignità e le prerogative del Papa, facendogli vedere in lui il Vicario di Gesù Cristo, il Maestro infallibile, il supremo Pastore a cui Gesù ha affidate tutte le pecorelle del suo mistico Gregge, e che lo Spirito Santo assiste e dirige con specialissima provvidenza nel governo della Chiesa, affinché non abbia ad errare, ma invece assolva fedelmente al suo altissimo ufficio.

Un giorno Pio IX domandò a Don Bosco: «Mi amano i vostri giovani?». «Santo Padre, se vi amano? — rispose Don Bosco — vi hanno nel cuore. Il vostro nome lo portano intrecciato con quello di Dio». (VIII , 719).

La frase è ardita, ma vera. Infatti il Papa è Dio sulla terra. Gesù, dopo aver compiuta la sua missione redentrice, se ne partì, ma al suo stesso posto lasciò il Papa. E’ vero che Gesù torna e rimane in mezzo a noi nell’Eucaristia, ma in essa resta muto; ci nutre, ma non parla e non ci governa in modo visibile. A parlarci e a governarci lasciò il Papa, «il dolce Cristo in terra».

Gesù ha posto il Papa:

al di sopra dei profeti: perché questi preannunziano Gesù, mentre il Papa è la voce di Gesù;

al di sopra del Precursore: perché S. Giovanni Battista diceva: «Io non sono degno di sciogliergli i calzari», mentre il Papa deve dire: «Deo exhortante per nos, Dio parla per mezzo nostro»;

al di sopra degli angeli: a quale degli angeli ha detto: Siedi alla mia destra? A S. Pietro invece ed agli apostoli Egli ha detto: Voi sederete a giudicare le dodici tribù d’Israele.

Gesù ha collocato il Papa al livello stesso di Dio. Egli infatti dice a Pietro e ai suoi successori: «Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi, disprezza me; e chi disprezza me, disprezza Colui che mi ha mandato». (Luca, 10, 16).

Perciò al Papa non si deve solo rispetto, ma venerazione, tenendo conto della sua eccelsa dignità e delle sue prerogative di Maestro infallibile e Pastore supremo, di cui Gesù lo ha insignito.

Se i fedeli genuflettono alla sua presenza, non fanno che tradurre all’esterno il sentimento che domina la loro anima: rendere omaggio a Gesù Cristo, presente nel suo Vicario in terra.

Conoscere il Papa, far conoscere il Papa: ecco l’impegno costante di Don Bosco nei suoi studi teologici, nei suoi scritti (basta pensare ai numerosi fascicoli delle Letture Cattoliche dedicati a questo argomento), nelle sue prediche e parlate ai giovani. Ho lo stesso interesse per il Papa? Mi dò premura di conoscere i documenti pontifici? I giovani trovano in me anzitutto un maestro illuminato e convinto, che fa loro conoscere il Papa?

Amare il Papa

Ecco i sentimenti professati costantemente da Don Bosco verso il Romano Pontefice: «Se mai la mia voce potesse giungere a quell’angelo consolatore: Beatissimo Padre, io direi, ascoltate e gradite le parole di un figlio povero, ma a Voi affezionatissimo. Noi vogliamo assicurarci la via che ci conduce al possesso della vera felicita; perciò tutti ci raccogliamo intorno a Voi come Padre amoroso e Maestro infallibile. Le Vostre parole saranno guida ai nostri passi, norma alle nostre azioni. I Vostri pensieri, i Vostri scritti, saranno accolti con la massima venerazione e con viva sollecitudine diffusi nelle nostre famiglie, fra i nostri parenti, e se fosse possibile, per tutto il mondo. Le Vostre gioie saranno pur quelle dei Vostri figli e le Vostre pene e le Vostre spine saranno parimenti con noi divise. E come torna a gloria del soldato, che in campo di battaglia muore per il suo sovrano, così sarà il più bel giorno di nostra vita, quando per Voi, o Beatissimo Padre, potessimo dare sostanza e vita, perché morendo per Voi, abbiamo sicura caparra di morire per quel Dio che corona i momentanei patimenti della terra con gli eterni godimenti del cielo». (XII, 171).

«Confesso altamente che fo miei tutti i sentimenti di fede, di stima, di rispetto, di venerazione, di amore inalterabile di S. Francesco di Sales verso il Sommo Pontefice». (XVIII, 277).

L’amore di Don Bosco verso il Papa si effondeva in fervide esortazioni per suscitare tale amore anche negli altri.

«Amiamoli i Romani Pontefici — egli diceva con convinzione ed ardore — e non facciamo distinzione del tempo e del luogo in cui parlano; quando ci danno un consiglio e più ancora quando ci manifestano un desiderio, questo sia per noi un comando». (V, 573).

«Volete voi essere forti per combattere contro il demonio e le sue tentazioni? Amate la Chiesa, venerate il Sommo Pontefice». (VI, 347).

Il programma di Don Bosco fu sempre questo: tutto col Papa, pel Papa, amando il Papa. (I, 12).

Con ragione gli stessi giornali liberali scrivevano: «In Don Bosco l’arte di innamorare al Papato è tutto e si può dire che in ciò vale mille maestri clericali». (XIV, 189).

Ecco quindi il programma che Don Bosco mi affida: far ardere nel mio cuore i grandi amori che hanno infiammato il suo: Gesù Sacramentato, Maria Ausiliatrice e il Papa.

Che cosa posso fare per amare di più il Papa? Come adoperarmi per suscitare nelle anime a me affidate l’amore al Papa. Con l’occhio agli esempi di Don Bosco e il cuore dilatato dai palpiti d’amore che da essi si sprigionano, non avrò certo difficoltà a regolare pensieri, affetti e opere, in modo che risulti chiaro il mio amore al Papa e divampi dal mio nel cuore di quanti da me dipendono.

Servire il Papa

L’amore al Papa si deve tradurre nella piena e incondizionata fedeltà a tutte le sue direttive.

«Il mio sistema — afferma Don Bosco — è quello di professare la Dottrina Cattolica, e seguire ogni detto, ogni desiderio, ogni consiglio del Romano Pontefice». (XV, 251).

«Io sottometto ogni detto, scritto o stampa a qualsiasi correzione, decisione o semplice consiglio della Santa Madre, la Chiesa Cattolica», ossia al suo capo, il Papa. (XVII, 265).

«Io sono attaccato al Papa più che il polipo allo scoglio». (VIII, 862). «Col Papa intendo rimanere da buon cattolico fino alla morte». (VI, 679).

In questa nobilissima consegna Don Bosco ha impegnato tutti i suoi figli, avendo fondata la Congregazione salesiana per la difesa del Papa. «Scopo fondamentale della Congregazione… fin dal suo principio fu costantemente sostenere e difendere l’autorità del Capo supremo della Chiesa nella classe meno agiata della società e particolarmente della gioventù pericolante». (X, 762).

«Intendo che gli alunni dell’umile Congregazione di S. Francesco di Sales non si discostino mai dai sentimenti di questo gran Santo verso la Sede Apostolica; che raccolgano prontamente e con semplicità di mente e di cuore, non solo le decisioni del Papa circa il dogma e la disciplina, ma che nelle cose stesse disputabili abbraccino sempre la sentenza di Lui». (XVIII, 277).

«Siccome è un cattivo figlio quello che censura la condotta di suo padre, così è un cattivo cristiano colui che censura il Papa, che è padre dei fedeli cristiani che sono in tutto il mondo». (IV, 55).

Con ragione Pio XI in un pubblico discorso chiamò Don Bosco «un grande, fedele e veramente sensato servo della Chiesa Romana, della S. Sede… perché tale egli fu sempre veramente».

Anche di ogni Salesiano si deve poter dire, sempre ed ovunque, che è un fedele e convinto figlio della Chiesa e del Papa. Solo a questa condizione Don Bosco lo riconosce come suo figlio, vivente nel suo stesso spirito.

Aiutami dunque, o buon Padre, ad imitarti sempre meglio nel conoscere, amare ed obbedire al Papa.

Mi devo impegnare in modo speciale a conoscere meglio gli insegnamenti del Papa. Con mirabile e continuo magistero Egli diffonde perennemente la luce del Vangelo nei vari settori della vita e dell’attività individuale, familiare e sociale. Debbo quindi attingere ai suoi insegnamenti per rendere sicuro e aggiornato il mio magistero catechistico e la mia predicazione.

I nemici di Dio spargono le più infami calunnie contro il Papa, che presentano come istigatore di guerra, nemico degli operai, oppressore della libertà. Il Papa deve trovare in me un soldato valoroso che sa prendere con competenza le Sue difese per far trionfare la verità.

Conoscendo e divulgando l’insegnamento del Papa ne promuoverò certamente anche l’amore e la fedeltà.

Fonte: https://www.paolodetoth.it/paolo-vi-24-maggio-1976-il-nuovo-ordo-e-stato-promulgato-perche-si-sostituisse-allantico/

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