L’invalidità delle consacrazioni episcopali post-conciliari

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di Matteo Castagna

Si parla di un problema reale, sottovalutato o incompreso in gran parte del mondo della cosiddetta tradizione, perché particolarmente scomodo, e neppure valutato in altri ambienti. Purtroppo, la DRASTICA RIDUZIONE DELLA VISIBILITA’ DELLA CHIESA comporta riti invalidi, poche vere Messe offerte nel mondo, e pochi cattolici realmente tali. Il teologo recentemente scomparso, don Anthony Cekada ha realizzato un panphlet, in cui con linguaggio chiaro e paragoni logici, spiega l’invalidità delle consacrazioni episcopali riformate nello spirito e nelle formule nel 1968, che comportano l’invalidità delle ordinazioni sacerdotali. L’autore del testo qui sotto aggiunge una parte finale dedicata alla Tesi di Cassiciacum, cui noi non aderiamo. Il Magistero Perenne della Chiesa e le spiegazioni di don Cekada appaiono sufficienti a riconoscere quanto risulta evidente nei fatti.

Segnalazione del Centro Studi Federici

Del tutto invalido e assolutamente nullo. Il rito di consacrazione episcopale del 1968 
 
Il Centro librario Sodalitium ha già in passato pubblicato in italiano le opere di don Cekada (Non si prega più come prima e Frutto del lavoro dell’uomo) e adesso presenta in un opuscolo, questi due articoli (risalenti al 2006 e 2007) sulla questione dei nuovi riti di ordinazione. Don Cekada, scomparso nel 2020, si è sempre interessato alle questioni liturgiche e già nel 1981 scrisse un articolo in The Roman Catholic sul49 l’invalidità del nuovo rito di ordinazione sacerdotale. Questo portò poi, dopo varie vicissitudini, nel 1983 all’uscita dalla Fraternità dei “nine bad priests” (i nove cattivi preti, come vennero chiamati). Si può quindi dire con verità che la questione dell’invalidità degli ordini sacri secondo il nuovo rito, ha interessato il nostro autore fin dal principio del suo ministero sacerdotale. 
Questa questione è estremamente importante poiché ha delle conseguenze dottrinali e pratiche che toccano la vita spirituale e la salvezza eterna dei cattolici: se infatti un prete o vescovo non è validamente ordinato ne consegue che i sacramenti che amministra sono per la maggior parte invalidi. In questi due articoli il nostro confratello americano affronta unicamente la questione della validità della nuova formula della consacrazione episcopale, che è il gradino più alto del sacramento dell’Ordine. Nel primo articolo spiega perché la nuova formula è da considerarsi invalida e nel secondo risponde ad alcune obiezioni che gli sono state fatte dopo la pubblicazione del primo articolo. Pio XII, nel 1947, con costituzione apostolica Sacramentum ordinis, per fugare ogni dubbio, aveva definito che era necessaria, per la validità del sacramento, solo l’imposizione delle mani ed il prefazio, e non più la “tradizione degli strumenti”. Questa definizione aprirà poi purtroppo la strada (non per volontà di Pio XII ma dei novatori che sono venuti dopo) con la riforma liturgica a seguito del Concilio Vaticano II, all’abolizione della consegna degli strumenti e poi degli stessi ordini minori che nel rito di conferimento hanno appunto come materia e forma la sola tradizione degli strumenti. Questo spiega perché don Cekada nel suo studio analizzi unicamente la questione della invalidità della nuova formula di consacrazione episcopale dimostrando che essa non ha niente a che vedere con le formule (valide) degli Orientali e che le sue parole non esprimono adeguatamente il potere episcopale che viene conferito, concludendo così alla assoluta invalidità e nullità del rito di Paolo VI. 
Sarebbe interessante uno studio accurato su tutto il nuovo rito di ordinazione con tutte le preghiere e i riti che lo compongono e non soltanto limitato alla forma, poiché le orazioni e i riti che stanno intorno significano a volte e specificano le formule stesse. 
Padre Guérard des Lauriers non ha trattato direttamente la questione dell’invalidità dei nuovi riti di ordinazione mentre ha invece trattato ampiamente la questione dell’invalidità del NOM (Novus Ordo Missæ), prima nel Breve esame critico del NOM e poi nello studio Réflexion sur le Novus Ordo Missæ (pubblicato in francese dal nostro Centro Librario nel 2019) che non ebbe il tempo di completare, ma si può dire che la questione è da lui abbordata indirettamente e per analogia con la nuova messa. Nel B.E.C. scriveva: «Le parole della Consacrazione, quali sono inserite nel contesto del Novus Ordo, (…) possono non esserlo [valide] perché non lo sono più ex vi verborum o più precisamente in virtù del modus significandi che avevano finora nella Messa», quindi un cambiamento della forma che ne mutasse il senso la renderebbe invalida (come insegna la rubrica del Messale Romano). Questo principio può essere applicato per analogia anche al nuovo rito di ordinazione episcopale di cui trattano i presenti due articoli di don Cekada. Però padre Guérard concludeva, nei suoi studi, non con la certezza dell’invalidità di diritto del N.O.M. ma con il dubbio sulla sua validità [il N.O.M. è dubbiosamente valido], il che comporta nella prassi che esso sia da ritenersi invalido quindi assolutamente 50 nullo (poiché per la validità dei sacramenti bisogna essere tuzioristi). 
Era poi l’argomento “en sagesse” cioè dall’alto, che risolveva definitivamente la questione concludendo alla nullità di fatto della Nuova Messa e per analogia, potremmo dire delle nuove formule di ordinazione. Don Bernard Lucien, presentando lo studio di padre Guérard sul N.O.M., scriveva così: «Il N.O.M. e i suoi effetti, ora manifestati a tutti gli osservatori hanno una causa: l’intenzione che ne è all’origine. Padre Guérard mostra che tramite questa via, con tutti i dati che possediamo su Paolo VI, possiamo ottenere una certezza oggettiva della non-validità del N.O.M. (e non più soltanto una certezza soggettiva che porta sull’utilizzo del N.O.M.) [e qui per analogia possiamo dire la stessa cosa per i nuovi riti di ordinazione] (…). Padre Guérard studia in dettaglio il caso di Paolo VI, partendo dall’osservazione dei suoi atti. Prova che ciò che succedeva sotto questo Pontificato, e che il Papa sembrava disapprovare, in realtà lo voleva. Da questa osservazione ben chiara derivano la non consistenza di questa (pseudo-) autorità e la non-validità del N.O.M. [e sempre per analogia dei nuovi riti di ordinazione]: non-validità fondata, insieme, sull’identità tra l’intenzione del papa e ciò che oggettivamente è significato (il N.O.M. è equivoco) e sull’inesistenza di una promulgazione autentica che avrebbe garantito questi riti con l’infallibilità del Magistero ordinario» (GUÉRARD DES LAURIERS, Réflexion sur le Novus Ordo Missæ, ed C.L.S. Verrua Savoia 2019, Prefazione pag. XII). 
Ecco quindi l’argomento ex sapientia; dall’alto, la mancanza di autorità in Paolo VI, e la spiegazione della Tesi di Cassiciacum, illuminano e chiarificano definitivamente il problema dell’invalidità del N.O.M. e dei nuovi riti di ordinazione. Questo argomento completa quindi, a nostro avviso, con saggezza l’interessante analisi della nuova formula di ordinazione che don Antony Cekada presenta con la sua abituale competenza e facilità divulgativa in questi due articoli. 
Possa la lettura di questo libretto illuminare le menti di molti fedeli – e dei sacerdoti in particolare – sulla gravità della situazione in cui si trova la Chiesa a causa delle riforme che sono state fatte in seguito al Concilio Vaticano II e che rendono invalidi e nulli la maggior parte dei sacramenti amministrati con il nuovo rito di Paolo VI (si salvano, se correttamente amministrati, il battesimo e il matrimonio). 
don Ugolino Giugni 
 
Anthony Cekada, Del tutto invalido e assolutamente nullo. Il rito di consacrazione episcopale del 1968. Gli ordini sacri secondo il nuovo rito di Paolo VI sono validi? C.L.S. Verrua Savoia 2021, pagg. 68, € 6,00.
 
 
 

Il “Grande Timoniere” bombarda Hong Kong e anche il Vaticano è sotto tiro

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QUINTA COLONNA

di Redazione

Questo articolo è particolarmente interessante perché rivela retroscena molto interessanti. Il lettore tenga presente, comunque, che almeno dalla morte di Pio XII (1958) il Vaticano è occupato dalla Contro-Chiesa modernista che è stata legittimata dal Conciliabolo Vaticano II. La Chiesa Cattolica sta, invece, ovunque chierici e laici rimangano fedeli a quanto sempre insegnato e da tutti creduto, ovunque e sempre, per parafrasare S. Vincenzo di Lerins. Il piccolo gregge rimasto fedele non alberga in Vaticano, ma è disperso nel mondo. L’articolo qui sotto risente di questa premessa essenziale, di cui, però, il lettore deve tener conto:

Fonte: L’Espresso del 2/02/2022

di Sandro Magister

In ottobre scadrà l’accordo provvisorio e segreto tra la Santa Sede e la Cina sulle nomine dei vescovi, stipulato il 22 settembre 2018 e rinnovato per altri due anni nel 2020. È presto per dire se sarà riconfermato in forma più stabile. Di certo, ciò che non è provvisorio è lo strapotere di Xi Jinping, che da dicembre è stato anche insignito del titolo altamente simbolico di “Grande Timoniere”, come soltanto Mao Zedong prima di lui.

Questo comporta che la linea politica dettata da Xi è incondizionata e a lungo termine, con strettissimi se non inesistenti margini di negoziazione per una controparte già di per sé debole come il Vaticano. Di fatto, nella scelta dei nuovi vescovi, il predominio della Cina è schiacciante e l’eccezione rappresentata dalla diocesi di Hong Kong, che è esente dall’accordo del 2018, è anch’essa in serio pericolo. Lo scorso anno il suo attuale vescovo è stato nominato senza che, nella sua scelta, Roma dovesse sottostare alle autorità cinesi. Ma un mese prima che il nuovo vescovo fosse consacrato, Pechino ha compiuto un passo che ha fatto presagire un vicino pieno dominio della Cina non solo sulla metropoli di Hong Kong, come già avviene, ma anche sulla vivace Chiesa cattolica presente nell’ex colonia britannica.

Il nuovo vescovo di Hong Kong, Stephen Chow Sau-yan, 62 anni, gesuita, è stato consacrato lo scorso 4 dicembre. Ebbene, il 31 ottobre ha avuto luogo nella città un incontro senza precedenti, inizialmente rimasto segreto ma poi reso noto dall’agenzia Reuters in una corrispondenza del 30 dicembre.

L’incontro era promosso dall’Ufficio che rappresenta a Hong Kong il governo centrale di Pechino, con la supervisione, dal continente, dell’Amministrazione statale degli affari religiosi.

Vi hanno preso parte per la Cina tre vescovi e 15 religiosi della Chiesa ufficiale riconosciuta dal governo di Pechino, e per Hong Kong due vescovi e 13 religiosi.

A guidare la delegazione di Hong Kong era Peter Choy Wai-man, il docile prelato che le autorità cinesi avrebbero visto volentieri alla testa della diocesi. Chow, il nuovo vescovo designato, ha preso parte all’incontro solo per poco, all’inizio, mentre ad aprire e a chiudere l’evento è stato il cardinale John Tong Hon, vescovo emerito e amministratore temporaneo della diocesi. Scontata l’assenza del novantenne cardinale Joseph Zen Ze-kiun, emblema dell’opposizione al governo cinese e critico severo dell’accordo tra il Vaticano e Pechino.

I delegati provenienti dal continente hanno insistito perché venisse applicata pienamente anche a Hong Kong la cosiddetta politica di “sinicizzazione” delle religioni, con una subordinazione più marcata della Chiesa cattolica ai caratteri propri della Cina, quelli dettati dal Partito comunista e dallo Stato.

La “sinicizzazione” delle religioni è un caposaldo della politica di Xi, la cui agenda applicativa era ben nota ai partecipanti all’incontro. Nell’arco dell’intera giornata nessuno ha fatto il nome del presidente della Cina, ma “Xi era l’elefante nella stanza”, ha detto alla Reuters un membro della delegazione di Hong Kong. “Per qualcuno di noi la ‘sinicizzazione’ è sinonimo di ‘Xinicizzazione’”.

L’incontro di Hong Kong non è stato affatto un’iniziativa isolata. Ai primi di dicembre Xi ha tenuto un discorso a Pechino nell’ambito di una “Conferenza nazionale sul lavoro riguardante gli affari religiosi”, in cui ha ribadito che tutte le religioni in Cina devono sottostare al Partito comunista, al quale spetta “la direzione essenziale dell’attività religiosa”, ai fini di una piena “sinicizzazione”.

Ma soprattutto va tenuto conto del fondamentale documento approvato l’11 novembre dal Comitato centrale del Partito comunista cinese, col titolo di “Risoluzione sui grandi compimenti e sulla storica esperienza del partito nel secolo trascorso”.

Una risoluzione di questo tipo è la terza in tutta la storia della Cina comunista. La prima fu con Mao Zedong nel 1945, la seconda con Deng Xiaoping nel 1981 e questa terza, ad opera di Xi Jinping, si rapporta alle altre come una sorta di sintesi hegeliana, con l’ambizione di incorporare il meglio di quanto fatto da Mao, la tesi, e corretto da Deng, l’antitesi.

Nella sua quinta sezione, la risoluzione rifiuta il sistema democratico occidentale, fatto di costituzionalismo, di alternanza al governo e di separazioni tra i poteri, un sistema che se adottato “porterebbe la Cina alla rovina”.

Ma in particolare respinge “la libertà religiosa di modello occidentale”. In Cina “le religioni devono essere cinesi nell’orientamento” e costantemente sottomesse alla “guida del Partito comunista perché si adattino alla società socialista”.

In Vaticano ben conoscono questa politica e tentano di addomesticarla come “complementare” alla visione cattolica della “inculturazione”. Nel maggio del 2019, in un’intervista al quotidiano “Global Times”, espressione in lingua inglese del Partito comunista cinese, il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin ha detto che “inculturazione” e “sinicizzazione” insieme “possono aprire cammini di dialogo”, tenendo presente “la reiterata volontà” delle autorità cinesi “di non minare la natura e la dottrina di ciascuna religione”.

Ma la più argomentata apologia della “sinicizzazione”, da parte Vaticana, resta tuttora l’articolo pubblicato nel marzo del 2020 sulla rivista “La Civiltà Cattolica” – come sempre con l’approvazione previa della segreteria di Stato e di papa Francesco – dal sinologo gesuita Benoit Vermander.

L’autore paragona coloro che oggi criticano la “sinicizzazione” – e fa i nomi del cardinale Zen e dell’allora direttore di “Asia News” Bernardo Cervellera – agli eretici montanisti e donatisti dei primi secoli, intransigenti nel condannare i cristiani che si erano piegati alle imposizioni dell’impero romano.

Vermander difende in pieno sia l’accordo tra la Santa Sede e la Cina del settembre 2018, sia il concomitante messaggio di papa Francesco ai cattolici cinesi e la successiva istruzione vaticana su come registrarsi nella Chiesa ufficiale.

Ma soprattutto mette in evidenza quella che ritiene la faccia buona della “sinicizzazione”: il fatto che “l’articolo 36 della Costituzione cinese continua a garantire formalmente la libertà religiosa”; il trattamento più benevolo adottato dalla autorità cinesi con i cattolici rispetto ai seguaci di altre religioni; la capacità di adattamento delle generazioni più giovani; la pazienza indotta nei cattolici cinesi dall’amore per il loro paese, “senza cercare il martirio a ogni costo”.

A testimonianza di ciò, Vermander esalta la vitalità di una parrocchia di Shanghai di sua conoscenza, in cui tutto sembra andare per il meglio, nonostante “i sacerdoti debbano partecipare regolarmente a ‘corsi di formazione’ organizzati dall’Ufficio per gli affari religiosi”.

Curiosamente, però, il gesuita non fa parola del fatto che il vescovo di Shanghai, Thaddeus Ma Daqin, è agli arresti domiciliari dal giorno della sua ordinazione nel 2012, semplicemente per essersi dissociato dall’Associazione patriottica dei cattolici cinesi, il principale strumento con cui il regime controlla la Chiesa. Non gli è valso a ottenere clemenza nemmeno l’atto di pubblica sottomissione a cui si è piegato nel 2015, tra gli applausi – anch’essi inutili – de “La Civiltà Cattolica”, che definì quel suo gesto un modello esemplare di “riconciliazione tra la Chiesa in Cina e il governo cinese”.

Per non dire del totale, prolungato silenzio di papa Francesco su questa e sulle tante altre ferite inferte dal regime di Xi ai cattolici della Cina e di Hong Kong, questi ultimi già pesantemente perseguitati e ormai vicinissimi a finire anch’essi del tutto sotto il dominio del nuovo “Grande Timoniere”.

Un “cardinale” e alcuni “vescovi” chiedono di ricevere la benedizione da un gruppo di donne

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Le stravaganze della “chiesa conciliare”, che ha sostituito la Chiesa Cattolica nei Sacri Palazzi al Conciliabolo Vaticano II. (N.d.r.)

Segnalazione di www.unavox.it 

Pubblicato sul sito infovaticana
Ripreso dal sito di Aldo Maria Valli
video della cerimonia

Il 25 novembre ― proclamata dall’Onu Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne ― prima della fine della Santa Messa, nel quarto giorno dell’assemblea ecclesiale dell’America Latina e dei Caraibi, il presule che ha presieduto la cerimonia, il cardinale del Guatemala Álvaro Ramazzini, ha invitato le donne presenti a salire sull’altare per benedire cardinali, vescovi, sacerdoti e altri fedeli.

Alla fine della Messa il porporato guatemalteco ha detto: “Volevo chiedervi il favore della vostra comprensione per fare ora un gesto che viene dal nostro cuore di pastori e che esprima anche l’uguaglianza che esiste tra uomini e donne battezzate. L’apostolo Paolo così diceva e così insegnava”.

“Faremo un gesto, vi invito, per riconoscere il valore delle nostre sorelle donne che sono qui, ma anche di quelle che ci servono in sala da pranzo, che non possono venire alla festa perché preparano la cena per noi”.

Il gesto, ha poi detto il cardinale, è “che riceviamo da loro una preghiera di benedizione”. “Normalmente siamo sempre noi uomini quelli che benedicono, giusto? Andiamo ora, se siete d’accordo, a invertire la cosa proprio adesso”.

“Ora dunque, come espressione del nostro cammino sinodale e impegno per l’eliminazione di ogni violenza contro le donne, chiederemo a tutte le donne membri dell’assemblea di benedirci: cardinali, vescovi, sacerdoti e diaconi; pastori delle nostre comunità cristiane”.

Quindi il cardinale e i concelebranti sono scesi dal presbiterio per lasciare il posto alle donne che, alzate le braccia, hanno benedetto i presenti, compresi gli ecclesiastici, che per l’occasione hanno chinato il capo. Al termine, un vescovo concelebrante ha chiesto alle donne di accompagnare i prelati nella processione finale.

Fonte: http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV4278_Donne_benedicono_preti.html

Segnalazione libraria: “Del tutto invalido e assolutamente nullo”

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Un libro essenziale per comprendere la situazione ecclesiale. Vescovi e sacerdoti ordinati con il rito riformato da Montini nel 1968 sono invalidi, ovvero nulli. La formula della consacrazione episcopale non conferisce l’ordine secondo quanto richiesto dalla Chiesa Cattolica. Ne consegue che un “vescovo” non può ordinare validamente un “prete”. E’ questa la chiave del disastro conciliare e post-conciliare. L’ “operazione sopravvivenza” per chi ha vera vocazione religiosa è quella di procedere alla riordinazione da parte di un vero vescovo. (per info scrivere a c.r.traditio@gmail.com) Particolarmente grave per chi si professa Cattolico Apostolico Romano integrale è accettare i nuovi riti e far finta di credere che gli ordinati o consacrati siano veri Pastori della Chiesa. Ne consegue che la cosiddetta “communicatio in sacris”, oramai d’uso corrente dalle parti di alcuni priorati cosiddetti d’area tradizionale, è un sacrilegio enorme.

Segnalazione del Centro Studi Federici

Novità libraria: “Del tutto invalido e assolutamente nullo” di don Antony Cekada
 
Dopo la pubblicazione in italiano delle opere di don Cekada “Non si prega più come prima” e poi di “Frutto del lavoro dell’uomo” il Centro Librario Sodalitium presenta in un opuscolo questi due articoli (risalenti al 2006 e 2007) sulla questione dei nuovi riti di ordinazione. Nel primo articolo l’autore spiega perché la nuova formula è da considerarsi invalida e nel secondo risponde ad alcune obbiezioni che gli sono state fatte dopo la pubblicazione del primo articolo.
Questa questione è estremamente importante poiché ha delle conseguenze dottrinali e pratiche che toccano la vita spirituale e la salvezza eterna dei cattolici: se infatti un prete o vescovo non è validamente ordinato ne consegue che i sacramenti che amministra sono per la maggior parte invalidi. In questi due articoli il nostro confratello americano affronta unicamente la questione della validità della nuova formula della consacrazione episcopale, che è il gradino più alto del sacramento dell’Ordine.
Possa la lettura di questo libretto illuminare le menti di molti fedeli – e dei sacerdoti in particolare – sulla gravità della situazione in cui si trova la Chiesa a causa delle riforme che sono state fatte al Concilio Vaticano II. Con esse si rendono invalidi e nulli la maggior parte dei sacramenti amministrati con il nuovo rito di Paolo VI (si salvano, se correttamente amministrati, il battesimo e il matrimonio).
 
 

Bolsonaro mette in crisi i “vescovi” del Brasile e il catto-comunismo

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Segnalazione di M. Orlando

A livello ecclesiale, dopo la vittoria di Bolsonaro, cosa rimane? Una situazione molto seria per la Chiesa conciliare

di Matteo Orlando

In Brasile alcuni leader cattolici si sono già mostrati preoccupati per ciò che potrà avvenire dopo l’ascesa al potere del 63enne Jair Bolsonaro, eletto alla presidenza dell’enorme paese sudamericano con il 55 percento dei voti il 28 ottobre scorso.

Il parere più impegnativo lo ha espresso il potente segretario della Cnbb (la Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile).

“La Conferenza episcopale è preoccupata perché le parole verso gli indigeni sono state troppo forti: abbiamo una grande preoccupazione per il futuro dei popoli indigeni”, ha sostenuto monsignor Leonardo Steiner. “Siamo preoccupati anche per le parole rivolte ai Quilombole, che sono i discendenti degli schiavi che sono fuggiti all’interno del Paese al tempo della schiavitù, e anche per le parole che sono state pronunciate nei riguardi di alcuni partiti … Vediamo se adesso queste parole diventano un’azione o rimangono soltanto parole al vento. Ma la preoccupazione c’è, sì, perché siamo stati sempre accanto ai popoli indigeni, ai Quilombole, ai poveri. Aspettiamo che abbia rispetto per i più poveri, per i brasiliani che a volte non riescono a partecipare, ad avere un’opportunità nella società brasiliana”. Continua a leggere

McCARRICK: IL PAPA SAPEVA TUTTO DAL 2013. L’HA “COPERTO” PER CINQUE ANNI. LA DENUNCIA DEL NUNZIO IN USA VIGANÒ.

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“FONDAMENTALE RICORDARE CHE IN QUESTO ARTICOLO SI PARLA DELLA “CONTRO-CHIESA” ECUMENISTA CONCILIARE, CHE OCCUPA I SACRI PALAZZI DAI TEMPI DEL CONCILIABOLO VATICANO II. QUESTA “NEO-CHIESA” NON E’ LA CHIESA CATTOLICA APOSTOLICA ROMANA FONDATA DA GESU’ CRISTO SU S. PIETRO PERCHE’ NON E’ NE’ UNA, NE’ SANTA, NE’ APOSTOLICA, NE’ ROMANA” (Il Circolo Cattolico Christus Rex)

MCCARRICK: IL PAPA SAPEVA TUTTO DAL 2013. L’HA “COPERTO” PER CINQUE ANNI. LA DENUNCIA DEL NUNZIO IN USA VIGANÒ.

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ULTIMISSIME – Cattolici olandesi in rivolta chiedono ai “vescovi” di ammonire Francesco

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https://image-media.gloria.tv/placidus/g/vc/i33vhm0detsy1pwm0lj2vyns21pwm0lj2vynw.jpg

Il 9 aprile, alcuni importanti Cattolici olandesi hanno inviato una petizione ai loro vescovi contro le “politiche distruttive” di papa Francesco, come riferisce Radio Maria Nederland. Intellettuali e sacerdoti hanno sottoscritto la petizione, tra loro il famoso psichiatra Gerard Aardweg e il professore emerito Wilhelmus Witteman della Technical University di Twente. La petizione elenca i principali scandali di Francesco, tra cui l’Amoris Laetitia, il suo supporto alle politiche pro-morte Emma…

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https://gloria.tv/article/PRC9RzDPbsKo4zQHwVzL3VEcJ Continua a leggere