Il WEF a Davos ha mascherato con l’arroganza le sue debolezze

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EDITORIALE

di Matteo Castagna per Stilum Curiae e Affaritaliani

Nel corso della settimana si è svolta la cinquantaquattresima edizione del World Economic Forum a Davos. Come da consolidata tradizione, è stato un inno al politicamente corretto e alla sua “religione” transumanista, guerrafondaia, gretina e zeppa di amene fantasie distopiche. L’approccio dovrebbe essere quello di non prendere quest’assemblea troppo sul serio, solo perché vi partecipano i grandi della Terra.

Spesso, le uscite più deliranti non si avverano, ma servono come metodo comunicativo del terrore, per assoggettare le masse. L’ANSA del 18/01/24 diceva che a Davos prevedono che “la crisi climatica potrebbe causare 14,5 milioni di morti entro il 2050”. Si tratta di una pianificazione artefatta da psicopatici, di un metodo terroristico per arricchirsi sulla balla del riscaldamento globale, o di uno studio argomentato che, però, non viene reso pubblico?

Il giornalista Massimo Balsamo, in un articolo del 16 gennaio sul blog di Nicola Porro, ci racconta qualche retroscena, a partire dalla chiusura, con una cena in sala LGBTQI+. “Secondo quanto reso noto, l’appuntamento era riservato ai leader arcobaleno e avrebbero partecipato, tra gli altri, Shamina Singh, responsabile del Centro per la crescita inclusiva di Mastercard e l’economista capo di Allianz, Ludovic Subran. Una trovata sicuramente al passo dei tempi, ma probabilmente il contributo ai temi principali del vertice non sarà significativo”.

Il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha avuto un colloquio con il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg per richiedere un po’ di tutto, oltre al armi e soldi, anche una particolare forma di difesa aerea, che sarà discussa al prossimo incontro di Washington dell’Alleanza Atlantica. La giornalista Olga Skabeeva riporta un virgolettato di Stoltenberg, che ammette: “la situazione sul campo di battaglia è estremamente difficile.

I russi stanno ora avanzando su molti fronti. E, naturalmente, le offensive su larga scala degli ucraini lo scorso anno non hanno prodotto risultati. Lo speravamo tutti. La Russia ora sta rafforzando le sue forze, acquistando droni dall’Iran, creando la propria fabbrica di droni e ricevendo missili dalla RPDC. Non dobbiamo sottovalutare la Russia. Non dovremmo mai sottovalutarla”.

In questo scenario, non appare propriamente opportuna la scelta condivisa dal ministro delle finanze belga Vincent van Peteghem, che ha dichiarato che l’Unione europea ha iniziato i lavori, a livello tecnico, per sequestrare i beni congelati della Banca di Russia. Parliamo di 300 miliardi di dollari. Quiradiolondra.tv comunica che il 6 gennaio 2024, il presidente dell’Ucraina ha invitato gli alleati ad accelerare il trasferimento dei beni a Kiev.

La discussione del disegno di legge, necessario a tal fine, è prevista per febbraio 2024. Ma potrebbe iniziare prima del secondo anniversario dell’inizio delle ostilità, sul territorio dell’Ucraina. Il trasferimento di beni potrebbe essere una misura presa come ulteriore assistenza finanziaria a Kiev. Il Cremlino, per parte sua, ha, evidentemente, promesso di rispondere allo stesso modo al sequestro dei suoi beni.

Zenit riassume l’intervento di Zelensky sul palco di Davos in questo modo: egli “vorrebbe un’escalation tra la NATO e la Russia e si rammarica del fatto che le occasioni che avrebbero potuto portare all’allargamento e all’aggravamento del conflitto non siano state sfruttate dall’Alleanza Atlantica, che invece – fortunatamente – ha finora preferito non colpire direttamente la Federazione Russa”.  Si è auto-convinto che «le possibili direzioni e persino la tempistica di una nuova aggressione russa oltre l’Ucraina diventino sempre più evidenti», nonostante, in quasi due anni di combattimenti, su larga scala, l’Armata Russa non abbia ancora neppure completato la conquista del Donbass.

Eppure il Presidente ucraino si dice convinto che Putin possa perdere la guerra, che possa essere sconfitto sul campo di battaglia e rifiuta l’idea di un nuovo congelamento diplomatico delle ostilità.

La redazione di Zenit conclude evidenziando che questa sia “un’assurdità, che, però, trova sponda nella Presidente della Commissione Europea – Ursula von der Leyen – la quale, intervenendo anche lei al Forum, sostiene che «l’Ucraina può prevalere in questa guerra», ignorando quanto le conseguenze economiche e politiche del conflitto stiano danneggiando l’Ucraina e le casse della UE.

Il Ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius – riferisce sempre la conduttrice televisiva russa, Olga Skabeeva –  ha detto che “la guerra tra la NATO e la Federazione Russa potrebbe iniziare tra 5-8 anni”, basandosi sulle recenti dichiarazioni bellicose dei russi verso i Paesi baltici, oramai considerati membri NATO di fatto. Stoltenberg si augura di riuscire a fiaccare la Russia con una “guerra di logoramento”: “ciò significa che ora non dobbiamo solo implementare nuovi sistemi, ma anche pensare di avere abbastanza munizioni e abbastanza pezzi di ricambio”.

Ma le parole del Segretario Generale NATO sono in netto contrasto con le recenti parole del Primo Ministro slovacco, Robert Fico, convinto che l’assistenza militare occidentale all’Ucraina porterà solo ad un aumento di vittime, e che il conflitto in sé, “non ha soluzione militare”, come riporta l’inviato di guerra Andrea Lucidi.

Parlando degli attuali legami tra Mosca e Pechino, Lavrov ha spiegato che “le relazioni Russia-Cina, come i nostri leader hanno ripetutamente sottolineato, stanno attraversando la migliore fase di sempre. Queste relazioni sono più durature, affidabili ed avanzate di qualsiasi alleanza militare all’interno del vecchio quadro dell’era della Guerra Fredda”, ha aggiunto. Questo “riflette il modo in cui stanno realmente le cose”, ha sottolineato il ministro degli Esteri russo, citando come esempio i dati del commercio bilaterale dello scorso anno, che hanno ampiamente superato la soglia dei 200 miliardi di dollari.

“E questa tendenza continuerà ad evolversi”, ha assicurato Lavrov, promettendo sforzi in direzione di meccanismi nella cooperazione commerciale e di investimenti con la Cina tali “da non essere soggetti ad alcuna influenza occidentale”, con l’uso del rublo e dello yuan negli accordi commerciali bilaterali, che si aggira già intorno al 90%.

Nonostante questo scenario, secondo quanto riferisce la Cina, l’ufficio stampa di Zelensky avrebbe evitato di avallare l’incontro con il premier cinese Li Qiang. Zelensky ha dichiarato: “il primo ministro cinese può essere incontrato dal nostro primo ministro. Io vorrei incontrare il leader della Cina. Per quel che ne so, Xi Jinping prende le decisioni in Cina, in Ucraina invece lo faccio io. Non mi serve un dialogo, mi servono decisioni importanti dai Leaders che possono prenderle”.

Pechino non ha commentato riguardo ad un possibile incontro con il presidente cinese. L’Agenzia IZ RU riferisce che la decisione della Cina di non incontrare gli ucraini sembra essere stata intenzionale e non il risultato di problemi di programmazione. Due alti funzionari statunitensi hanno detto a “Politico” che la delegazione cinese ha rifiutato l’offerta dell’Ucraina per un incontro.

Nel frattempo, il Parlamento europeo, con un impulso di chiara matrice democratica, ha approvato una risoluzione, raccogliendo 345 voti favorevoli, che condanna i tentativi sistematici del governo ungherese di minare i “valori fondamentali” dell’UE. I membri del Parlamento europeo (MEP) hanno esortato l’Euro consiglio a valutare se l’Ungheria abbia violato l’articolo 7, paragrafo 2, del trattato UE attraverso una procedura più diretta.

Lo scrittore conservatore russo Nikolay Starikov osserva la riunione del WEF a Davos e afferma: “Che bello. L’ideologo globalista Klaus Schwab, in una conversazione con Serghey Brin, il creatore di Google, afferma che le elezioni, in linea di principio, non sono più necessarie. C’è l’intelligenza artificiale, che già prevede correttamente chi vincerà.

Allora perché perdere tempo e spendere soldi in queste procedure inutili? Basta chiedere all’intelligenza artificiale chi vincerà e nominarlo. Brin è, comprensibilmente, d’accordo e afferma che Google dispone già di tali sviluppi.

I ragazzi non sono più timidi di fronte a nulla. È chiaro perfino allo sciocco, chi l’intelligenza artificiale consiglierà di scegliere. Per una felice coincidenza, questo sarà sempre un personaggio gradito a Schwab e Brin. Ad esempio, tra Trump e Biden, il saggio robot di Google consiglierà naturalmente Biden. Semplice matematica. Nessun imbroglio di sorta. Davvero”. Mentre in Italia si distrae il popolo trascorrendo le settimane a discutere sulla legittimità dei “saluti romani” alle cerimonie commemorative…

La reazione della Rappresentante Ufficiale del Ministero degli Affari Esteri della Federazione Russa Maria Zakharova sull’esito del nuovo incontro svoltosi a Davos, non si è fatta attendere. “Una risoluzione pacifica che sia davvero completa, giusta e stabile è possibile solo attraverso il ritorno dell’Ucraina alle origini della sua integrità statale, ossia a una posizione di Paese neutrale, non allineato e denuclearizzato, che agisce nel totale rispetto dei diritti e delle libertà dei cittadini residenti sul suo territorio, qualunque sia la loro etnia di appartenenza. […] Ed ha concluso:

“Purtroppo, tali presupposti non rientrano né nella “Formula di pace” di Vladimir Zelensky, né nell’agenda degli incontri del “formato di Copenhagen”, come Davos e gli incontri che verranno, che sono insensati e dannosi ai fini di una risoluzione della crisi ucraina. I “principi di pace per l’Ucraina”, che i suoi organizzatori stanno tentando di elaborare sono impraticabili a priori”.

Chi sembra non accorgersi che equilibri, alleanze e rapporti di forza sono in totale cambiamento, continuando a comportarsi con l’arrogante presunzione di chi vive fuori dalla realtà, appaiono solamente gli USA e l’Occidente suo vassallo.

Fonte: https://www.marcotosatti.com/2024/01/20/il-wef-a-davos-ha-mascherato-con-larroganza-le-sue-debolezze-matteo-castagna/

Fonte: https://www.affaritaliani.it/esteri/davos-2024-il-solito-inno-al-politicamente-corretto-le-debolezze-del-wef-896797.html

Cina, non basta la politica dei crediti esteri per diventare grande potenza

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EDITORIALE DI MATTEO CASTAGNA 

Ripreso da: www.affaritaliani.itwww.marcotosatti.it www.informazionecattolica.it www.2dipicche.news.it 

La Cina non è ancora pronta a dominare il mondo
Non basta la politica dei crediti esteri manca una mentalità da “grande potenza”

di Matteo Castagna

La Cina e i nuovi equilibri geopolitici

Gli Stati Uniti hanno invitato tutti i membri della Cooperazione Economica Asia-Pacifico (APEC), compresa la Russia, al vertice di San Francisco, in California, tra l’11 e il 17 novembre, dal titolo “Costruire un futuro di sostenibilità e resilienza per tutti” – ha dichiarato Matt Murray, funzionario senior dell’APEC.”.

In questo momento storico, particolarmente tumultuoso, e di posizionamenti mirati a nuovi equilibri geopolitici, sembrerebbe la prima volta che gli Stati Uniti diano un segnale di apertura nei confronti della Russia di Putin e dei Paesi più importanti dell’Eurasia. Da un lato, è un atto strategico. Negli States si è compreso che sono emerse delle superpotenze nuove, con le quali è più conveniente, almeno per il momento, cercare diplomaticamente una forma di cooperazione, rispetto al braccio di ferro bellico. Dall’altro, alla luce del comportamento tradizionale degli Stati Uniti, potrebbe apparire il primo, grande segnale di debolezza sul piano globale, dalla nascita delle Nazioni Unite.

L’ex premier italiano Mario Draghi, ad un recente evento del Financial Time, dà conferma di quanto poc’anzi asserito, cogliendone i fatti principali: “…una lunga serie di arretramenti sui nostri valori fondamentali [il globalismo liberale unipolare, n.d.r.]: l’ammissione della Russia al G8, nonostante il mancato riconoscimento della sovranità ucraina, la promessa mancata di un intervento in Siria nel caso in cui Assad avesse usato il gas come arma, la Crimea, il ritiro dall’Afghanistan” sono stati indicazioni di profonda debolezza.

Draghi ha continuato, dicendo: “La lezione che se ne può trarre è che non dobbiamo mai scendere a compromessi sui nostri valori fondamentali su cui è stata costruita l’UE…” . Draghi afferma con decisione: “Dobbiamo combattere, ciascuno nella propria sfera personale ma anche collettivamente, per fare in modo che la negazione dei nostri valori [quelli delle democrazie liberal-capitaliste, n.d.r.] non prevalga”.

Nella grande scacchiera internazionale, l’economia, che da almeno due secoli ha, gradualmente, sostituito la politica, gioca un ruolo primario. I big della Terra dividono il mondo in due categorie: Paesi creditori netti e Paesi debitori netti, come base di partenza per creare, successivamente, le strategie di potere e muoversi nella difficile sfera geopolitica post-moderna.

Un rapporto pubblicato da AidData ci informa del fatto che la Cina è il maggior creditore dei confronti degli altri paesi della Terra, per un valore complessivo di 1.300 miliardi di dollari. Gli 8 principali Paesi debitori sono gli stessi da molti anni, ma l’ammontare del debito è in aumento: 63mila miliardi di dollari totali, per ora. I primi 8 grandi debitori sono: Stati Uniti, Regno Unito, Giappone, Paesi Bassi, Francia, Irlanda, Italia e Germania. Questi dati sono importantissimi perché non è possibile non tenerne conto nella strategia e nell’asset degli equilibri globali.

Se si vuole evitare un conflitto armato che potrebbe assumere connotazioni mondiali, serve riconoscere che la Cina è una grande e compatta Nazione, con una connotazione identitaria profonda, che sul piano finanziario è creditrice di tutte le altre potenze. Si aggiunga, però, che la sua aspirazione a dominare il mondo non è alla sua portata, perché non è pronta per svolgere tale ruolo. La fonte che dichiara questo è cinese ed autorevole: il Prof. Liang Xiaojun, docente alla China Foreign Affairs University di Pechino sostiene, già in un articolo su “East Asia Forum” del 13 settembre 2016, che alla Cina manca una mentalità da “grande potenza”, in grado di candidarsi a dominare il mondo. Il regime comunista è, spesso, chiuso e distaccato dal sentire comune e dalle necessità di una popolazione enorme. Inoltre, rimane ancora in ballo, la delicata questione Taiwan.

La logica multipolare non è ancora realmente dominante in Cina, perché la politica dei crediti esteri, di cui sopra, si basa esclusivamente su un rapporto “do ut des” di benefici reciproci, e, molte volte, questa politica produce enormi e gravissime opposizioni interne. Infine, la sempre maggiore comunità del web è divenuta molto più nazionalista e identitaria, quindi protesa a mantenere alta la tensione nei confronti di un rigido regime, che rischia di autoisolarsi, proprio per questa sua durezza e questo suo inquadramento ideologico, considerato, oramai, superato e da sostituire con maggiore libertà all’interno del ritorno di una forte nostalgia per il passato imperiale. Tutto ciò non pone Xi Jinping nelle condizioni di proporsi al resto del mondo come leader sufficientemente affidabile, credibile, che sia in grado di garantire stabilità e fiducia, prosperità, pace e tranquillità.

Fonte:https://www.affaritaliani.it/esteri/cina-non-basta-la-politica-dei-crediti-esteri-per-diventare-grande-potenza-886161.html 

I BRICS lanciano la sfida: il piano per de-dollarizzare il mondo

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di Lepoldo Gasbarro

I BRICS alzano la voce e fanno capire al mondo che la loro forza, alimentata da una crescita straordinaria dei numeri demografici, in questo momento è l’unica in grado di poter cambiare il mondo. Staremo a vedere, ma intanto i leader dei Paesi (escluso Putin collegato in remoto) posano in una sorta di foto di famiglia e si abbracciano l’uno a l’altro. Putin, come detto, è intervenuto al vertice da remoto e ha sottolineato nel discorso in lingua russa che la de-dollarizzazione sta “guadagnando slancio”.

Secondo lui, la perdita di centralità globale del dollaro è un processo “oggettivo e irreversibile”. Il leader russo ha affermato che i cinque membri del BRICS – RussiaCinaIndiaBrasile e Sudafrica – stanno diventando i nuovi leader economici mondiali, aggiungendo che la loro quota cumulativa del PIL globale ha raggiunto il 26%. Ha osservato che, se misurati in base alla parità di potere d’acquisto, i BRICS hanno già superato il Gruppo delle Sette principali nazioni industrializzate – rappresentando il 31% dell’economia globale, rispetto al 30% del G7 .

Negli ultimi 10 anni, gli investimenti reciproci tra gli Stati membri del BRICS sono aumentati di sei volte. I loro investimenti totali nell’economia mondiale sono raddoppiati, mentre le esportazioni cumulative rappresentano il 20% del totale globale.

Putin ha anche criticato le “sanzioni illegittime” che “pesano gravemente sulla situazione economica internazionale” da parte degli Stati Uniti e dell’Occidente, oltre al “congelamento illegale dei beni degli stati sovrani”. Il messaggio dello Zar sarà sicuramente accolto positivamente da molti aspiranti candidati ai paesi Brics. “Stiamo costantemente aumentando le forniture di carburante, cibo e fertilizzanti agli stati del Sud del mondo”, ha aggiunto, imputando anche la carenza alimentare internazionale alle sanzioni “illegali” dell’Occidente.

Il presidente cinese Xi Jinping è arrivato in Sud Africa accolto dal presidente Cyril Ramaphosa, che ospita il vertice di Pretoria.

È il secondo viaggio all’estero del leader cinese quest’anno, dopo che a marzo aveva incontrato a Mosca Vladimir Putin . Putin sarà assente all’incontro dei BRICS dopo che il Sudafrica ha segnalato di essere sotto pressione per far rispettare lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale (CPI) che richiederebbe al governo di arrestare il leader russo.

La dichiarazione pre-vertice di Xi ha inoltre affermato che i membri dell’associazione sono diventati “una forza costruttiva che ottimizza la governance globale e promuove la democratizzazione delle relazioni internazionali “.

Illustrando il divario sulla missione e sulla portata più ampia dei BRICS, il FT scrive:

“Se espandiamo i Brics fino a rappresentare una quota del PIL mondiale simile a quella del G7, allora la nostra voce collettiva nel mondo diventerà più forte”, ha detto un funzionario cinese, che ha voluto restare anonimo.

Naledi Pandor, ministro degli Esteri del Sud Africa, ha detto questo mese che è “estremamente sbagliato” vedere una potenziale espansione dei Brics come una mossa anti-occidentale. Tuttavia, è probabile che le capitali occidentali considerino la possibile adesione di Iran, Bielorussia e Venezuela come una mossa per abbracciare gli alleati di Russia e Cina.

Ma alcuni paesi influenti come il Brasile del presidente di sinistra Luiz Inácio Lula da Silva probabilmente saranno dalla parte di Pechino, dato che Lula si è espresso a favore dell’ammissione di paesi vicini come Argentina e Venezuela – quest’ultimo nemico di lunga data di Washington. Alcuni leader vogliono anche l’ammissione dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti, il che scatenerà il dibattito sulle condizioni e sui criteri per l’espansione. Attualmente l’Arabia Saudita è il paese più vicino a diventare il nuovo membro, dato che i colloqui sono in corso. Oltre 20 altri paesi hanno chiesto e fatto domanda per aderire.

Nonostante le voci secondo cui alcuni paesi, tra cui la Russia, stanno spingendo per la fine del dominio del dollaro, il FT ha citato fonti diplomatiche per sottolineare che una valuta comune non è all’ordine del giorno.

E se il dollaro crollasse?

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L’EDITORIALE

di Matteo Castagna perhttps://www.informazionecattolica.it/2023/07/24/e-se-il-dollaro-crollasse/  – pubblicato anche da www.2dipicche.news – www.tgpadova.telenuovo.org

e all’estero, tradotto in spagnolo dai giornalisti messicani per www.info.Hispania.it e Voces del Periodista

LA POTENZIALE FINE DEL REGNO DEL DOLLARO USA COME VALUTA DI RISERVA GLOBALE

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L’ambasciata russa in Kenya ha pubblicato su Twitter la seguente dichiarazione: “I paesi BRICS stanno pianificando di introdurre una nuova valuta commerciale, che sarà sostenuta dall’oro. Sempre più contee hanno recentemente espresso il desiderio di aderire ai BRICS”.

Questa mossa verso la de-dollarizzazione simboleggia una potenziale fine del regno del dollaro USA come valuta di riserva globale. Gli impatti di questo cambiamento si svilupperanno senza dubbio nei prossimi mesi, suggerendo la fine di un’era di dominio statunitense e l’inizio di una nuova era di stabilità economica e prosperità per le nazioni BRICS+.

Al loro prossimo vertice di agosto a Johannesburg, in Sudafrica, previsto tra il 22 e il 24 Agosto, Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica e numerosi altri Stati africani e latino-americani delibereranno in merito.

John Maynard Keynes (1883 – 1946) ha scritto che non c’è mezzo più sicuro per rovesciare un sistema economico che minare la fiducia nella sua moneta. L’ economia americana, pur rimanendo la più grande del pianeta, oggi corrisponde solo al 20% del pil mondiale. Il primato del dollaro, a livello geopolitico, pone gli Stati Uniti in una situazione di vantaggio senza eguali, soprattutto per quanto riguarda le materie prime, come gas naturale e petrolio, che la Federal Reserve può giocarsi come meglio crede nei confronti dei commerci internazionali. Ma la crisi politica, successiva alle elezioni di metà mandato, ha consegnato la maggioranza al Congresso ai repubblicani e una risicata maggioranza dei democratici al Senato.

Filippo Gori, su Limes (n.6/2023) scrive: “Il rischio di un default conseguente al mancato innalzamento del tetto d’indebitamento, danneggia la fiducia negli Stati Uniti e nel dollaro, cioè nella stabilità economico-politica del paese che è alla base del primato della sua valuta nel sistema finanziario globale. Non solo. Il costo per i paesi detentori di riserve valutarie in dollari – tipicamente accumulate con l’acquisto di titoli del Tesoro statunitense – di una possibile insolvenza americana pesa sull’utilizzo del biglietto verde negli scambi internazionali. Il ricorrere di crisi del tetto del debito, pertanto, non configura solo un rischio per la stabilità economica della più grande economia del mondo, ma anche una minaccia al ruolo dominante del dollaro nel sistema finanziario internazionale”.

In tale contesto, si andrebbe a favorire l’ingresso nel mercato globale di valute alternative, come quella anticipata ai media dai portavoce BRICS+. Osserva acutamente, sempre Gori: “la sempre maggiore frammentazione geopolitica, l’aumento delle tensioni economico-strategiche e il crescente uso del dollaro come strumento di politica estera da parte statunitense spingono tuttavia i rivali strategici di Washington, su tutti Russia e Cina, verso sistemi di pagamento indipendenti dal dollaro. Pechino, per volume di scambi commerciali e rilevanza economica, è oggi l’unico paese in grado di offrirne uno”.

Molti Paesi potrebbero far venir meno la loro fiducia nei confronti del biglietto verde se, come appare all’orizzonte, gli Stati Uniti andassero incontro a ricorrenti crisi del tetto del debito. E’ certo che – come conclude Filippo Gori – “non c’è mezzo più sicuro per rovesciare l’attuale sistema economico che minare la fiducia nella sua moneta”.

La crisi americana non è, però, soltanto di natura economica, perché è in corso uno sviluppo multipolare destinato ad emarginare il dollaro, quanto sociale e, quindi politica. Sembrerebbero raffreddarsi le posizioni americane e UE pro Zelensky, cui viene vietato l’ingresso nella NATO, forse per non provocare la Russia e mantenere al passo coi cambiamenti gli interessi finanziari statunitensi, che hanno visto un’ importante tappa nell’incontro tra il sempreverde Henry Kissinger e il Presidente cinese Xi Jinping.

Negli stravolgimenti socio-culturali dell’ideologia wok, che muta ogni paradigma naturale e ovvio, consacrando la dimensione, spesso distopica, dell’assurdo come forma di nuova normalità, l’Occidente liberale, costituito dall’Europa sembra seguire, senza ragionare, la deriva d’Oltreoceano, che rischia di crollare miseramente, se venisse accantonato il dollaro e, quindi, il potere globale degli americani venisse ampiamente ridimensionato.

Anziché intestardirsi nel rifiutare un mondo multipolare, il patto atlantico dovrebbe guardare al resto del mondo senza pregiudizi, guarendo dalla miopia che lo attanaglia, perché il processo di cambiamento di potere è già in corso e, difficilmente, farà passi indietro.

I BRICS+, seppur con sfumature differenti, mantengono una visione della vita molto lontana da quella liberal, che si avvicina a quella dell’ortodossia cattolica in campo etico e morale. Inconcepibile per loro che un uomo si faccia chiamare donna, come sancito dal Tribunale di Trapani, così come non è accettabile la mercificazione dei corpi, il genderismo e le conseguenti amenità dem del Vecchio Continente americanizzato e post-cristiano. Sarebbe, dunque necessario, ovviare al pacchetto cosiddetto progressista, che morirebbe con un forte indebolimento degli States nel mondo.

Per non finire come i filistei, le Istituzioni europee dovrebbero ricordare una grande lezione di uno dei più grandi intellettuali e scrittori inglesi del secolo scorso, quale G.K. Chesterton (1874 – 1936) che su Ortodossia, dato alle stampe nel 1908, aveva già colto l’essenziale: “l’ortodossia è non solo l’unico guardiano sicuro della morale e dell’ordine, ma è anche l’unico guardiano logico della libertà, dell’innovazione, del progresso. Se vogliamo far cadere il ricco oppressore, non possiamo farlo con la nuova dottrina della perfettività umana, ma con la vecchia dottrina del peccato originale. Se vogliamo sradicare crudeltà innate o risollevare popolazioni disperate, non possiamo farlo con la teoria scientifica, secondo cui la materia precede lo spirito, ma con la teoria sovrannaturale secondo cui lo spirito precede la materia. […]

Se desideriamo che la civiltà europea vada in soccorso delle anime così come ne va all’assalto, dovremmo insistere fermamente sul fatto che esse sono davvero in pericolo, piuttosto che affermare che il pericolo al quale sono esposte sia in fin dei conti irreale. […] Soprattutto se desideriamo proteggere i poveri dovremmo essere a favore di regole fisse e di dogmi chiari. Le regole di un club, di tanto in tanto, sono a favore dei membri più poveri. La tendenza di un club è sempre a favore di quelli ricchi”.

E meno male che la Cina aveva abbandonato Putin

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di Matteo Milanesi

Xi è volato a Mosca per incontrare Putin e saldare i rapporti. Anche questa volta, i media occidentali hanno fatto cilecca

È terminata la prima giornata in territorio russo del leader della Repubblica Popolare cinese, Xi Jinping. Alle 16.30 di ieri (ora di Mosca), il dittatore comunista ha incontrato Vladimir Putin al Cremlino, per un colloquio durato quattro ore e mezzo. Relazioni sino-russe, rapporti commerciali e naturalmente guerra in Ucraina sono i tre macro-argomenti analizzati, che accompagneranno la visita di Xi in Russia fino il prossimo 23 marzo.

Come riportato ieri sulle colonne del sito nicolaporro.it, Putin ha più volte ringraziato il capo del Dragone per il sostegno di questi ultimi mesi, in particolare dallo scoppio del conflitto tra Kiev e Mosca. Dall’altro lato, Xi sembra aver voluto saldare (almeno a parole) il particolare legame che oggi sussiste tra le due potenze, parlando esplicitamente di “cooperazione strategica a livello globale”. Subito è arrivata la dura reazione degli Stati Uniti, i quali hanno intimato al governo ucraino di non accettare piani di pace proposti dalla Cina, in quanto salderebbero le conquiste compiute dai russi fino a questo momento.

Per approfondire:

Il progressivo avvicinamento tra Pechino e Mosca presenta almeno due notizie negative per il mondo occidentale. La prima: le sanzioni atlantiche sono state decisamente sovrastimate. Al momento del primo pacchetto di sanzioni, i leader del Vecchio Continente parlavano apertamente di un pericolo imminente per l’economia russa, che sarebbe potuto sfociare addirittura nel fallimento. Eppure, a distanza di oltre un anno dall’inizio della guerra, il Pil di Mosca ha segnato “solo” un -2 per cento, ben lontano dalle previsioni pessimistiche sia dei media occidentali, che di quelli della stessa Russia.

La seconda notizia riguarda necessariamente (l’ennesimo) buco nell’acqua dei media mainstream degli Stati atlantici. Pochissime settimane fa, infatti, era la stessa Repubblica a scrivere dell’imbarazzo di Xi Jinping, al momento dell’inizio della “operazione speciale” di Putin in Ucraina, intervistando Shi Yinhong, professore di Relazioni internazionali all’Università Renmin di Pechino, conoscitore della politica estera cinese. Quest’ultimo specificava come la Cina non avesse altra scelta che “stare un po’ più lontana da Putin“. Ora, invece, La Stampa ci racconta come l’amicizia tra i due Paesi sia ormai “senza limiti”.

Si badi bene: entrambe le formule sono profondamente errate. Da una parte, i rapporti sino-russi non possono ancora definirsi un’alleanza (quale può essere, invece, quella tra Usa e Europa), ma un’amicizia fondata sulla seguente formula: il nemico del mio nemico è mio amico. Insomma, un rapporto segnato da un unico fattore in comune: l’odio verso l’Occidente. Entrambe le potenze, infatti, si sono avvicinate per convenienza. La Cina per garantirsi la presenza della prima potenza nucleare al suo fianco, e distrarre gli Stati Uniti dal fronte taiwanese; la Russia in quanto obbligata a causa delle serrande abbassate dagli Stati europei ed atlantici. Dall’altro lato, è quindi evidente che un conflitto a bassa intensità possa avvantaggiare, sia economicamente che strategicamente, il ruolo della Cina, riuscendo a far entrare nella propria sfera anche la Federazione Russa, rendendola nei fatti subordinata al miliardo e mezzo di consumatori cinesi.

La sintonia con il Cremlino serve per presentarsi dinanzi agli Usa da una posizione di vantaggio, ma l’idea di Xi non è sicuramente quella di farsi intrappolare da Putin. Quest’ultimo, però, non vuole accettare l’idea di essere alla guida di una semplice Nazione e non di un impero, cercando quindi di rinnegare un proprio ruolo di stampella rispetto all’ascesa della superpotenza cinese. Nel mezzo, quindi, rimane un quadro ben più complesso rispetto a quello narrato dal mainstream, che negli ultimi mesi ha spaziato dal sostenere le tesi più disparate sul rapporto vigente tra Mosca e Pechino, dalle freddure agli avvicinamenti, dall’abbandono alla possibile fornitura militare del Dragone a Putin. Ed anche la visita di Xi al Cremlino ne offre l’ennesima prova: l’informazione ha fatto cilecca.

Matteo Milanesi, 21 marzo 2023

Per approfondire l’articolo: https://www.nicolaporro.it/e-meno-male-che-la-cina-aveva-abbandonato-putin/

Ma cos’è che brucia al “libero” Occidente?

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QUINTA COLONNA

di Antonio Catalano

L’esperienza insegna che nulla accade mai per caso nei rapporti tra gli Stati, che la “sensibilità” verso una questione, quale essa sia, quando ci sono di mezzo grandi interessi, addirittura geopolitici, è direttamente proporzionale alla possibilità di incidere sul corso degli eventi. Così “stranamente” accade che la Cina adesso sia nel mirino dell’apparato sanitario-mediatico, lo stesso che negli ultimi tre anni ha inoculato la religione atea cara alla grande distribuzione farmaceutica (signora Ursula von der Leyen perché non ci parla dei suoi messaggini privati con il capo di Pfizer?).
E così, chissà perché [ironia], proprio quando la Cina stringe rapporti più forti con la Russia e il mondo dei Brics si allarga (Algeria) aumenta l’isteria della mai sopita Cattedrale Sanitaria (che, naturalmente, agisce per conto terzi) la quale usa in modo del tutto arbitrario dati e numeri per convincere della necessità di tornare a misure restrittive che hanno dimostrato di avere una grande utilità nel campo del controllo sociale. Tant’è che Pechino parla di vero e proprio “sabotaggio”.
Al Libero Occidente brucia il fatto che Russia e Cina si parlino sempre di più. Ieri infatti Putin e Xi Jinping hanno tenuto in video-conferenza un colloquio non certo soltanto per darsi gli auguri di fine anno. Nella video-conferenza non si sono usate parole di circostanza. Tutt’altro. Putin: «Puntiamo a rafforzare la collaborazione tra le forze armate russe e cinesi […] Un posto speciale nell’intera gamma della cooperazione militare e tecnico-militare, che aiuta a garantire la sicurezza dei nostri Paesi e a mantenere la stabilità nella regione». Ancora: «Il coordinamento tra Mosca e Pechino nell’arena internazionale, anche nell’ambito del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, dei Brics e del Gruppo dei 20, serve a creare un ordine mondiale equo basato sul diritto internazionale». Da parte sua, Xi Jinping si è reso «disponibile a rafforzare la collaborazione strategica».
Basta così per capire qual è la posta in gioco?
Video del colloquio Putin-Xi Jinping [durata: 10’26”]: 

Russia e Cina contrastano il piano egemonico degli USA in Eurasia

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di Luciano Lago

La inarrestabile discesa della influenza degli Stati Uniti sull’attuale ordine mondiale è segnata fra gli altri da due fattori essenziali: da un lato l’offensiva russa in Ucraina che segna il ruolo di protagonista assertivo della Russia come superpotenza che ostacola i piani egemonici degli Stati Uniti, dall’altro lato le nuove intese economiche e finanziarie che la Repubblica Popolare Cinese sta stringendo con i partner petroliferi del Golfo Persico, in primis con l’Arabia Saudita.

Se la Russia ha di fatto rotto l’accerchiamento della NATO e si è impegnata in un conflitto che, a prescindere dal suo esito, segnerà una svolta negli equilibri europei e non solo in quelli, la nuova dinamica cinese rischia di incrinare il predominio del dollaro negli scambi internazionali, visti gli accordi in definizione fra Cina e Arabia Saudita, il maggior produttore di petrolio mondiale.

Senza dubbio Washington sta perdendo il ruolo che ha svolto in Europa e in Medio Oriente negli ultimi 40 anni. L’operazione militare speciale in Ucraina è diventata un altro sintomo dell’indebolimento del ruolo dell’America come fattore di stabilizzazione globale.

Il cambiamento che si sta verificando è di fatto un riassetto degli equilibri mondiali in cui i protagonisti sono diversi da quelli che hanno predominato la scena internazionale negli ultimi 80 anni.

Il piano della elite di potere USA di disarticolare la Russia facendo leva sull’Ucraina quale piattaforma di ariete anti russa, sta ormai fallendo a prescindere da come si concluderà il conflitto. La Russia non permetterà alla NATO di stabilirsi in Ucraina e questo paese è destinato a essere disarticolato e suddiviso in varie regioni, che saranno con tutta probabilità rese neutrali.

L’equilibrio di sicurezza dovrà necessariamente essere ridefinito coinvolgendo la Russia, come lo stesso Macron e Shulz hanno dovuto ammettere.

Se si realizzerà un tale scenario, Washington avrà fallito un’altra volta e questo spiega l’ostinazione degli anglo statunitensi nel cercare di sostenere l’Ucraina nonostante il collasso previsto del suo esercito decimato dalle perdite. Lo avevamo previsto in tanti che la guerra per procura sarebbe stata combattuta dagli USA fino all’ultimo ucraino e così sta avvenendo.

L’idea di Washington di disarticolare la Russia ed ottenere un cambio di regime al Cremlino cozza con la realtà di un paese che al contrario si è stretto a grande maggioranza attorno al suo premier ed è consapevole di essere costretto dall’occidente ad una guerra esistenziale.

Il presidente Putin deve correggere alcuni sbagli e sottovalutazioni del nemico che aveva fatto all’inizio della offensiva russa: l’intervento massiccio di forze della NATO sul territorio ucraino, con forniture di armi, assistenza logistica, di intelligence, comando e controllo affidato a ufficiali statunitensi e britannici ha avuto l’effetto di prolungare le operazioni ma adesso siamo in una nuova fase dell’offensiva che assume una connotazione più decisa e diretta a neutralizzare l’intera infrastruttura del sistema ucraino e a distruggere quel che resta delle sue forze armate.

L’obiettivo strategico più ampio della Russia è quello di facilitare la liberazione dell’Europa dal controllo statunitense, questo potrà avvenire quando i paesi europei saranno costretti a trattare con Mosca per evitare un olocausto nucleare nel vecchio continente che servirebbe solo agli interessi americani.

Di conseguenza la dimostrazione della forza e della tecnologia militare russa, nel lungo termine, avranno l’effetto di convincere l’Europa che soltanto la Russia, non gli Stati Uniti, è in grado di fornire ai paesi europei una difesa strategica.

Dall’altro versante del mondo, nell’Indo Pacifico, il ruolo di protagonista viene assunto inevitabilmente dalla Cina che procede verso l’internazionalizzazione dello yuan. Dopo la visita in Arabia Saudita e gli accordi presi, lo stesso Xi Jinping ha dichiarato che la Cina utilizzerà lo yuan per il commercio di petrolio, attraverso la Borsa nazionale del petrolio e del gas di Shanghai, a cui ha invitato gli altri paesi produttori.

Negli ultimi cinque anni, la Cina è stata il più grande importatore mondiale di greggio, che proviene da metà dalla penisola arabica e più di un quarto dall’Arabia Saudita.

La Cina prosegue nel suo percorso di sviluppo e di investimenti (con la Belton Road) coinvolgendo un sempre maggiore numero di paesi in Asia in Africa, in Medio Oriente e in America Latina.

D’altra parte i cinesi non nascondono di essere determinati a distruggere la invasiva egemonia degli Stati Uniti, per stabilire l’uguaglianza e la giustizia nel mondo. In questo contesto l’America invita a boicottare la Cina ed a diffidare della cooperazione con Pechino ma non ottiene ascolto e piuttosto sta perdendo la fiducia dei suoi alleati e della comunità internazionale.

In altro modo, gli americani stanno stringendo il cappio economico e politico sull’Europa e stanno provocando un’agguerrita concorrenza volta a danneggiare in primis l’economia europea, con la finzione di mascherare l’egemonia da “ordine internazionale” basato su regole, una finzione a cui non crede più nessuno e che sta volgendo al termine.

Questa ascesa della Cina preoccupa l’elite di potere USA che aveva previsto di affrontare il gigante asiatico soltanto dopo una possibile sottomissione della Russia con l’istigazione del conflitto in Ucraina.
Il piano tuttavia non sta andando come si aspettavano gli strateghi di Washington e i decisori del Deep State sono ad un bivio: a breve devono decidere per una conflitto nucleare o per una accettazione di un ordine multipolare con ridimensionamento del loro ruolo. Una scelta difficile ma necessaria e da questa dipenderà il futuro di tutta l’umanità.

Foto: Today.it

24 dicembre 2022

Fonte: https://www.ideeazione.com/russia-e-cina-contrastano-il-piano-egemonico-degli-usa-in-eurasia/

Facciamo attenzione ai segnali silenziosi

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Segnalazione Wall Street Italia

di Leopoldo Gasbarro

Dove stiamo andando? Che futuro ci aspetta? Probabilmente tra gli editoriali fatti per questo giornale questo è quello a cui tengo di più. Perché vi chiederete voi? Ma perché servirà a sottolineare un momento che definire complicato è quanto mai eufemistico. Al momento in cui scrivo queste righe, il Nasdaq sta perdendo quasi il 30% da inizio anno. I mercati obbligazionari hanno visto vaporizzare quasi 10 miliardi di euro in fuoriuscite dai fondi comuni.

Tantissimi di voi che stanno leggendo queste righe stanno perdendo importanti quantità di denaro. E non è finita, almeno fino al momento in cui sto scrivendo queste righe, non è finita. Eppure, per parlare come facciamo noi di investimenti, dobbiamo parlare del futuro, perché quello è l’unico posto verso cui stiamo andando. E purtroppo oggi ne abbiamo paura.

Chi saprà tradurre quel grosso punto interrogativo dipinto davanti ai nostri occhi avrà la capacità di trasformare il suo futuro. Già, perché c’è chi guarda al rumore generale e chi invece si guarda attorno con attenzione, elimina il rumore di fondo, e si sofferma su quei segnali che sembrano deboli ma che caratterizzano realmente il percorso verso il domani. Sembrerebbe assurdo parlare di Metaverso in momenti come questo. Ma ci sembrava assurdo anche guardare all’uomo sulla luna prima che ci arrivassero gli americani, prima che l’impronta dell’uomo si poggiasse indelebilmente sul suolo del nostro satellite. E la Luna sembra la nostra nuova impresa da raggiungere, e poi Marte e poi chissà cosa?

Il mondo ci sta stretto, non sta finendo. La Cina, fedele alleato della Russia, ha deciso di costruire una ferrovia che porterà le proprie merci direttamente sui mercati europei. Sapete che caratteristiche ha questa linea? Eviterà ogni territorio russo. è un po’ come se Xi avesse detto a Putin: “Ciccio, siamo compari, ma gli affari sono affari. Tu continua i tuoi giochi di guerra e non fare troppo rumore. Io penso a fare altro”.

Intanto crescono gli investimenti per cercare soluzioni all’uso del gas e del petrolio. Le energie rinnovabili? Il nucleare pulito? La fusione? Chissà cos’altro ancora? Credo che l’età della pietra, lasciandoci in eredità un mucchio di pietre sparse qua e là dovrebbe farci capire che succederà lo stesso anche stavolta: finirà l’era del gas senza che il gas finisca.

Si accettano scommesse.

L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di ottobre 2022 del magazine di Wall Street Italia

Cina: Xi si prepara al conto alla rovescia finale

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di Pepe Escobar

19.10.2022

Ciò che spinge la Cina e la Russia è che prima o poi saranno loro a governare l’Heartland.

Il discorso del Presidente Xi Jinping, durato 1h45min, all’apertura del 20° Congresso del Partito Comunista Cinese (CPC) presso la Grande Sala del Popolo di Pechino, è stato un coinvolgente esercizio di informazione del passato recente sul futuro prossimo. Tutta l’Asia e tutto il Sud globale dovrebbero esaminarlo attentamente.

La Sala Grande era sontuosamente addobbata con striscioni rosso vivo. Uno slogan gigante appeso in fondo alla sala recitava: “Lunga vita al nostro grande, glorioso e corretto partito”.

Un altro, in basso, fungeva da riassunto dell’intera relazione:

“Tenere alta la grande bandiera del socialismo con caratteristiche cinesi, attuare pienamente il Pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era, portare avanti il grande spirito fondatore del partito, unirsi e lottare per costruire pienamente un Paese socialista moderno e promuovere pienamente il grande ringiovanimento della nazione cinese”.

Fedele alla tradizione, il rapporto ha delineato i risultati ottenuti dal PCC negli ultimi 5 anni e la strategia della Cina per i prossimi 5 – e oltre. Xi prevede “feroci tempeste” in arrivo, interne ed estere. Il rapporto è stato altrettanto significativo per ciò che non è stato detto o lasciato sottilmente intendere.

Tutti i membri del Comitato centrale del PCC erano già stati informati del rapporto – e lo avevano approvato. Trascorreranno questa settimana a Pechino per studiare i dettagli e sabato voteranno per l’adozione. A quel punto verrà annunciato un nuovo Comitato Centrale del PCC e verrà formalmente approvato un nuovo Comitato Permanente del Politburo, i sette che governano davvero.

Questo nuovo schieramento di leadership chiarirà i volti della nuova generazione che lavoreranno a stretto contatto con Xi, oltre a chi succederà a Li Keqiang come nuovo Primo Ministro: quest’ultimo ha terminato i suoi due mandati e, secondo la Costituzione, deve dimettersi.

Nella Sala Grande sono presenti anche 2.296 delegati che rappresentano gli oltre 96 milioni di membri del PCC. Non sono semplici spettatori: durante la sessione plenaria che si è conclusa la scorsa settimana, hanno analizzato in profondità ogni questione importante e si sono preparati per il Congresso nazionale. Votano le risoluzioni del partito, anche se queste vengono decise dai vertici del partito a porte chiuse.

I punti chiave

Xi sostiene che negli ultimi 5 anni il PCC ha fatto progredire strategicamente la Cina, rispondendo “correttamente” (terminologia del Partito) a tutte le sfide estere. In particolare, i risultati chiave includono la riduzione della povertà, la normalizzazione di Hong Kong e i progressi nella diplomazia e nella difesa nazionale.

È significativo che il ministro degli Esteri Wang Yi, seduto in seconda fila, dietro ai membri del Comitato permanente in carica, non abbia mai staccato gli occhi da Xi, mentre gli altri leggevano una copia del rapporto sulla loro scrivania.

Rispetto ai risultati ottenuti, il successo della politica “Zero-Covid” ordinata da Xi rimane molto discutibile. Xi ha sottolineato che ha protetto la vita delle persone. Ciò che non ha potuto dire è che la premessa della sua politica è trattare il Covid e le sue varianti come un’arma biologica statunitense diretta contro la Cina. Ovvero, una seria questione di sicurezza nazionale che ha la meglio su qualsiasi altra considerazione, persino sull’economia cinese.

Il Covid zero ha colpito duramente la produzione e il mercato del lavoro e ha praticamente isolato la Cina dal mondo esterno. Un esempio lampante: I governi distrettuali di Shanghai stanno ancora pianificando l’azzeramento del Covid in un arco di tempo di due anni. Lo zero-Covid non sparirà presto.

Una grave conseguenza è che l’economia cinese crescerà sicuramente quest’anno meno del 3% – ben al di sotto dell’obiettivo ufficiale di “circa il 5,5%”.

Vediamo ora alcuni dei punti salienti del rapporto Xi.

Taiwan: Pechino ha iniziato “una grande lotta contro il separatismo e le interferenze straniere” a Taiwan.

Hong Kong: è ora “amministrata da patrioti, che la rendono un posto migliore”. A Hong Kong c’è stata “una grande transizione dal caos all’ordine”. Corretto: la rivoluzione dei colori del 2019 ha quasi distrutto un importante centro commerciale/finanziario globale.

Riduzione della povertà: Xi l’ha salutata come uno dei tre “grandi eventi” dell’ultimo decennio insieme al centenario del PCC e al socialismo con caratteristiche cinesi che entra in una “nuova era”. La riduzione della povertà è al centro di uno dei “due obiettivi del centenario” del PCC.

Apertura: La Cina è diventata “un importante partner commerciale e una destinazione importante per gli investimenti stranieri”. Xi confuta l’idea che la Cina sia diventata più autarchica. La Cina non si impegnerà in alcun tipo di “espansionismo” durante l’apertura al mondo esterno. La politica statale di base rimane: la globalizzazione economica. Ma – non l’ha detto – “con caratteristiche cinesi”.

“Auto-rivoluzione”: Xi ha introdotto un nuovo concetto. L’”auto-rivoluzione” permetterà alla Cina di sfuggire a un ciclo storico che porta a una recessione. E “questo assicura che il partito non cambierà mai”. Quindi, o il PCC o il fallimento.

Il marxismo: rimane sicuramente uno dei principi guida fondamentali. Xi ha sottolineato: “Dobbiamo il successo del nostro partito e del socialismo con caratteristiche cinesi al marxismo e a come la Cina è riuscita ad adattarlo”.

Rischi: questo è stato il tema ricorrente del discorso. I rischi continueranno a interferire con i “due obiettivi centenari”. L’obiettivo numero uno è stato raggiunto l’anno scorso, in occasione del centenario del PCC, quando la Cina ha raggiunto lo status di “società moderatamente prospera” sotto tutti i punti di vista (xiaokang, in cinese). L’obiettivo numero due dovrebbe essere raggiunto al centenario della Repubblica Popolare Cinese, nel 2049: “costruire un Paese socialista moderno che sia prospero, forte, democratico, culturalmente avanzato e armonioso”.

Sviluppo: l’attenzione si concentrerà sullo “sviluppo di alta qualità”, compresa la resilienza delle catene di approvvigionamento e la strategia economica della “doppia circolazione”: l’espansione della domanda interna in parallelo agli investimenti esteri (per lo più incentrati sui progetti BRI). Questa sarà la priorità assoluta della Cina. Quindi, in teoria, qualsiasi riforma privilegerà una combinazione di “economia socialista di mercato” e apertura di alto livello, mescolando la creazione di una maggiore domanda interna con una riforma strutturale dal lato dell’offerta. Traduzione: “Doppia circolazione” con gli steroidi.

“Democrazia a processo completo”: è l’altro nuovo concetto introdotto da Xi. Si traduce come “democrazia che funziona”, come il ringiovanimento della nazione cinese sotto – che altro – la guida assoluta del PCC: “Dobbiamo garantire che il popolo possa esercitare i propri poteri attraverso il sistema del Congresso del popolo”.

Cultura socialista: Xi ha detto che è assolutamente necessario “influenzare i giovani”. Il PCC deve esercitare un controllo ideologico e assicurarsi che i media favoriscano una generazione di giovani “che siano influenzati dalla cultura tradizionale, dal patriottismo e dal socialismo”, a vantaggio della “stabilità sociale”. La “storia della Cina” deve arrivare ovunque, presentando una Cina “credibile e rispettabile”. Questo vale certamente per la diplomazia cinese, anche per i “Guerrieri del Lupo”.

“Sinicizzare la religione”: Pechino continuerà la sua azione di “sinicizzazione della religione”, ovvero di adattamento “proattivo” della “religione e della società socialista”. Questa campagna è stata introdotta nel 2015, e significa ad esempio che l’Islam e il Cristianesimo devono essere sotto il controllo del PCC e in linea con la cultura cinese.

La promessa di Taiwan

Arriviamo ora ai temi che ossessionano completamente l’egemone in declino: il legame tra gli interessi nazionali della Cina e il modo in cui questi influenzano il ruolo dello Stato-civiltà nelle relazioni internazionali.

Sicurezza nazionale: “La sicurezza nazionale è il fondamento del ringiovanimento nazionale e la stabilità sociale è un prerequisito della forza nazionale”.

Le forze armate: l’equipaggiamento, la tecnologia e la capacità strategica del PLA saranno rafforzati. Va da sé che ciò significa un controllo totale del PCC sulle forze armate.

“Un Paese, due sistemi”: Si è dimostrato “il miglior meccanismo istituzionale per Hong Kong e Macao e deve essere rispettato a lungo termine”. Entrambi “godono di un’elevata autonomia” e sono “amministrati da patrioti”. Xi ha promesso di integrare meglio entrambi nelle strategie nazionali.

Riunificazione di Taiwan: Xi si è impegnato a completare la riunificazione della Cina. Traduzione: restituire Taiwan alla madrepatria. Il discorso è stato accolto da un fiume di applausi, che hanno portato al messaggio chiave, rivolto contemporaneamente alla nazione cinese e alle forze di “interferenza straniera”: “Non rinunceremo all’uso della forza e prenderemo tutte le misure necessarie per fermare tutti i movimenti separatisti”. Il punto cruciale: “La risoluzione della questione di Taiwan è una questione che riguarda il popolo cinese stesso, che deve essere decisa dal popolo cinese”.

È anche significativo che Xi non abbia nemmeno menzionato lo Xinjiang per nome: solo implicitamente, quando ha sottolineato che la Cina deve rafforzare l’unità di tutti i gruppi etnici. Lo Xinjiang per Xi e la leadership significa industrializzazione dell’Estremo Occidente e nodo cruciale della BRI: non l’oggetto di una campagna di demonizzazione imperiale. Sanno che le tattiche di destabilizzazione della CIA utilizzate in Tibet per decenni non hanno funzionato nello Xinjiang.

Al riparo dalla tempesta

Vediamo ora di analizzare alcune variabili che incidono sugli anni molto difficili che attendono il PCC.

Quando Xi ha parlato di “tempeste feroci in arrivo”, è quello che pensa 24 ore su 24: Xi è convinto che l’URSS sia crollata perché l’egemone ha fatto di tutto per indebolirla. Non permetterà che un processo simile faccia deragliare la Cina.

A breve termine, la “tempesta” potrebbe riferirsi all’ultimo round della guerra americana senza esclusione di colpi alla tecnologia cinese – per non parlare del libero scambio: tagliare alla Cina l’acquisto o la produzione di chip e componenti per supercomputer.

È lecito pensare che Pechino mantenga l’attenzione a lungo termine, scommettendo sul fatto che la maggior parte del mondo, soprattutto il Sud globale, si allontanerà dalla catena di approvvigionamento high tech degli Stati Uniti e preferirà il mercato cinese. Man mano che i cinesi diventeranno sempre più autosufficienti, le aziende tecnologiche statunitensi finiranno per perdere mercati mondiali, economie di scala e competitività.

Xi non ha nemmeno menzionato gli Stati Uniti per nome. Tutti i membri della leadership – soprattutto il nuovo Politburo – sono consapevoli di come Washington voglia “sganciarsi” dalla Cina in tutti i modi possibili e continuerà a dispiegare provocatoriamente ogni possibile filone di guerra ibrida.

Xi non è entrato nei dettagli durante il suo discorso, ma è chiaro che la forza trainante in futuro sarà l’innovazione tecnologica legata a una visione globale. Ed è qui che entra in gioco la BRI, ancora una volta, come campo di applicazione privilegiato per queste scoperte tecnologiche.

Solo così possiamo capire come Zhu Guangyao, ex vice ministro delle Finanze, possa essere sicuro che il PIL pro capite in Cina nel 2035 sarebbe almeno raddoppiato rispetto a quello del 2019 e avrebbe raggiunto i 20.000 dollari.

La sfida per Xi e il nuovo Politburo è quella di risolvere subito lo squilibrio economico strutturale della Cina. E pompare di nuovo gli “investimenti” finanziati dal debito non funzionerà.

Si può quindi scommettere che il terzo mandato di Xi – che sarà confermato alla fine di questa settimana – dovrà concentrarsi su una pianificazione rigorosa e sul monitoraggio dell’attuazione, molto più di quanto non sia avvenuto durante i suoi precedenti anni audaci, ambiziosi, abrasivi ma talvolta scollegati. Il Politburo dovrà prestare molta più attenzione alle considerazioni tecniche. Xi dovrà delegare una maggiore autonomia politica a un gruppo di tecnocrati competenti.

Altrimenti, torneremo alla sorprendente osservazione dell’allora premier Wen Jiabao nel 2007: L’economia cinese è “instabile, squilibrata, scoordinata e in definitiva insostenibile”. Questo è esattamente il punto in cui l’egemone vuole che sia.

Allo stato attuale, la situazione è tutt’altro che cupa. La Commissione nazionale per lo sviluppo e la riforma afferma che, rispetto al resto del mondo, l’inflazione al consumo in Cina è solo “marginale”, il mercato del lavoro è stabile e i pagamenti internazionali sono stabili.BRI,

Il rapporto di lavoro e gli impegni di Xi possono anche essere visti come un capovolgimento dei soliti sospetti geopolitici anglo-americani – Mackinder, Mahan, Spykman, Brzezinski -.

Il partenariato strategico Cina-Russia non ha tempo da perdere con i giochi egemonici globali; ciò che li spinge è che prima o poi governeranno l’Heartland – l’isola del mondo – e oltre, con alleati dal Rimland, dall’Africa all’America Latina, tutti partecipanti a una nuova forma di globalizzazione. Certamente con caratteristiche cinesi, ma soprattutto con caratteristiche pan-eurasiatiche. Il conto alla rovescia finale è già iniziato.

Pubblicato su Strategic Culture

Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini

Fonte: https://www.geopolitika.ru/it/article/cina-xi-si-prepara-al-conto-alla-rovescia-finale

Il multilateralismo al centro del meeting dei BRICS

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di Mario Lettieri e Paolo Raimondi – 29/05/2022

Il multilateralismo al centro del meeting dei BRICS

Fonte: Arianna editrice

Lo scorso 19 maggio i ministri degli Esteri dei Paesi BRICS si sono incontrati, in via telematica, per discutere della situazione strategica globale e per promuovere il loro processo di cooperazione e d’integrazione.
Si tratta di un evento degno di grande attenzione da parte dell’Occidente e in particolare dell’Unione europea. E’ opportuno sempre ricordare che i BRICS rappresentano più del 40% della popolazione mondiale e ben il 20% del Pil del pianeta.
Ovviamente la guerra in Ucraina è stata affrontata. Al punto 11 della Dichiarazione finale si afferma: ”I ministri hanno ricordato le loro posizioni nazionali sulla situazione in Ucraina espresse nelle sedi appropriate, segnatamente il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e l’Assemblea Generale dell’Onu. Essi sostengono i negoziati tra Russia e Ucraina. Hanno anche discusso le loro preoccupazioni per la situazione umanitaria in Ucraina e dintorni ed hanno espresso il loro sostegno agli sforzi del Segretario generale delle Nazioni Unite, delle agenzie Onu e del Comitato Internazione della Croce Rossa per fornire aiuti umanitari in conformità con la risoluzione 46/182 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.”.
Importanza grande ha assunto la sessione separata del gruppo “BRICS Plus”, che ha incluso l‘Argentina, l’Egitto, l’Indonesia, il Kazakistan, la Nigeria, gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita, il Senegal e la Tailandia in rappresentanza dei Paesi emergenti e di quelli in via di sviluppo.  E’ in considerazione un possibile allargamento dei BRICS. Se ne discuterà a giugno in Cina al 14° summit annuale, dedicato a una “Nuova era di sviluppo globale”.
Il presidente cinese Xi Jinping, definendo la situazione attuale di grande “turbolenza e trasformazione”, ha chiesto un rafforzamento della cooperazione, della solidarietà e della pace attraverso la Global Security Initiative per una “sicurezza comune” da affiancare alla sua Global Development Initiative (Gdi). Egli ha rilevato che lo scontro tra blocchi contrapposti e la persistente mentalità della guerra fredda dovrebbero essere abbandonati a favore della costruzione di una comunità globale di “sicurezza per tutti”. E’opportuno ricordare che la Gdi è stata valutata positivamente da più di 100 Paesi e da molte organizzazioni internazionali, comprese le Nazioni Unite.
La Dichiarazione fa del multilateralismo l’idea portante della politica dei BRICS. Ribadisce il ruolo guida del G20 nella governance economica globale e sottolinea che esso “deve rimanere intatto per fronteggiare le attuali sfide globali.”. Evidentemente l’aggettivo “intatto” indica la volontà di avere anche la Russia nei meeting del G20, che, dopo l’Indonesia, nei prossimi tre anni saranno presieduti rispettivamente dall’India, dal Brasile e dal Sud Africa.
Un certo disappunto è stato manifestato nei confronti dei Paesi ricchi che nella pandemia Covid non hanno dato una giusta attenzione ai bisogni dei Paesi in via di sviluppo.
In sintesi, di là del dramma della guerra, nel mondo ci sono segnali per realizzare iniziative miranti a un nuovo ordine mondiale. Per esempio, l’ex presidente brasiliano Lula Da Silva, candidato alle elezioni di ottobre, propone esplicitamente la creazione di una nuova valuta, il Sur, da usare nel commercio latinoamericano per non continuare a dipendere dal dollaro.
A marzo diverse società cinesi hanno acquistato carbone russo pagando in yuan.

E’ il primo acquisto di merci russe pagate in valuta cinese dopo che la Russia è stata sanzionata dai Paesi occidentali.
Crediamo che sia il momento non solo di valutare meglio gli interessi dell’Unione europea ma anche di accentuare il ruolo di maggiore autonomia per contribuire a realizzare un assetto multipolare.
*già sottosegretario all’Economia **economista

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