Quando la famiglia tradizionale è un successo di pubblico

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di Davide Greco

SPOSIEppure è una storia normalissima, di quelle che una volta formavano lo standard italiano. Una semplice storia di una coppia che si sposa, ha tre figli, e costruisce qualcosa di meraviglioso dal niente. Certo con alti e bassi, ma con continuità, con normalità. Forse anni fa non ci sarebbe stato nemmeno il bisogno di raccontarla, ma adesso ha il sapore di un mondo ordinato che in molti vorrebbero non esistesse più. Sono questi gli ingredienti della nuova fiction di Pupi Avati, un film di 600 minuti, diviso in 6 puntate, la cui ultima puntata è andata in onda il 20 gennaio.

 

Quando Avati presentò il suo progetto su un matrimonio che dura mezzo secolo, alla Rai gli risposero: «Allora è una fiction in costume». Roba da altri tempi, volevano dire, di un passato ormai estinto. Invece no. La provocazione del regista bolognese era proprio questa. Secondo lui, un matrimonio che dura mezzo secolo è «il vero scandalo moderno».

E la provocazione è piaciuta, a giudicare dagli ascolti. Il dato medio raggiunto fino alla quarta puntata, l’unico attualmente disponibile, è di circa 4,8 milioni di telespettatori, con uno share del 18,57%. Il picco è stato raggiunto nella seconda puntata con 5.336.000 telespettatori, ma anche il terzo episodio si è aggiudicato la prima serata. Insomma un risultato coi fiocchi. Curiosando fra i dati, si può scoprire che è stato seguito molto di più dalle donne (66,65%) che dagli uomini, più da un pubblico maturo che da uno giovane. Le tre regioni con il maggiore share sono state le Marche, la Basilicata e l’Emilia Romagna. Le più basse il Trentino, la Lombardia e, ultima, il Veneto.

La storia di Carlo (Flavio Parenti) e Francesca (Micaela Ramazzotti) è stata molto apprezzata dal pubblico, a testimonianza che si può ancora sorprendere e appassionare senza cercare l’eccesso continuo. Dall’inizio del 1948, per oltre mezzo secolo, la loro vita si ricollega a tutti gli eventi principali del nostro paese. Con un cast di oltre 250 attori, Pupi Avati è riuscito a raccontare un matrimonio straordinario ma molto normale, in grado di superare le incomprensioni, le difficoltà economiche, le inquietudini dei figli, persino una breve separazione. Qualcuno dirà: a fronte di tutte le narrazioni incredibili degli ultimi anni, questa è banale. Ma è proprio questa la sua forza, la semplicità quotidiana che diventa poesia.

Fulvio Cerutti su “La Stampa” ha fatto proprio questa domanda ad Antonella Ferrari, che nella fiction interpreta Anna Paola, la terza figlia e io narrante: «La fiction parla di una famiglia normale, senza grandi colpi di scena, morti o grandi scandali. Ma una famiglia normale, che fa fatica a tirare avanti, che non è perfetta perché ci sono dei tradimenti e momenti bui. Ma è una famiglia che riesce, attraverso il rispetto, ad andare avanti».

Parola chiave: normalità. Quella strana bellezza della continuità, che perdura anche nei momenti difficili. Un aspetto di cui Avati è estremamente consapevole. «Vivendo il matrimonio,» confessa in un’intervista su “Tempi  «ho capito che dare continuità, mantenere le promesse e trovarsi dopo tanti anni con la stessa persona, che è quella che ti conosce di più, a spartire gli anni della propria vecchiaia, sia una grande opportunità». Purtroppo «Siamo sommersi dalla negatività dei media da una propaganda uniforme che, non a caso, colpisce la famiglia e il matrimonio. Io mi chiedo: come si fa a proporre sperimentazioni su tanti tipi di famiglia, che sappiano non funzionare, quando ce ne è una, formata da uomo e donna, che funziona da millenni? Perciò c’è bisogno di mostrare questo in televisione, soprattutto ai giovani. E inoltre bisogna raccontare la storia di persone che sono riuscite ad affrontare le difficoltà della vita senza scappare. Il contrario di quanto accade adesso». Già, senza scappare. Anche se è più facile il contrario.

Seguire le passioni del momento, fare quello che è più comodo, lasciarsi consigliare sempre e solo dall’istinto e dai pruriti. Eppure così non si costruisce nulla. Avati non racconta qualcosa che non ha vissuto fin nel profondo. Anche lui è sposato da quasi mezzo secolo, è un cattolico praticante, va a messa tutti i giorni. Lì, nella chiesa di sempre, si siede sulla panca dove già stava sua madre. Da tutto questo ha trovato il materiale vivo per la sua recente opera. La sua vita, quella dei suoi genitori, poi dei suoi nonni. Episodi antichi che potrebbero un giorno tornare di nuovo di moda.

Fonte: Corrispondenza Romana, 22/01/2013

 

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