Segnalazione di Quelsi
di Giuseppe Mele
I politici italiani abili non hanno mai criticato seriamente la politica Corretta, versione contemporanea della giusta politica wilsoniana, per non incappare nella condanna generale. La Corretta è la nuova ideologia americana sulla quale si sono incontrati il puritanesimo conservatore ed il progressismo multietnico degli Usa. Da anni come una spada di Damocle, il politicamente corretto pende sulla testa degli europei che ne vengono presi continuamente in contropiede; ne insidia la ragion di Stato, la realpolitik, il nazionalismo, l’estremismo egualitario, lo stesso welfare.
La Commissione europea ha fatto sua questa ideologia, dandone una variante burocratizzata e l’Europa è divenuta un’entità politica estranea ai suoi cittadini. I politici italiani abili non hanno mai sostenuto seriamente la parità femminile negli organismi dirigenziali privati e pubblici ma furbamente hanno usato la questione rosa per innalzare nullità da portaborsato, sapendole immuni agli attacchi importanti e facile bersaglio di aggressioni stupide facilmente difendibili. Una delle colonne del pensiero politicamente corretto è costituito dall’importanza della donna, il suo protagonismo, la difesa della sua femminilità e dei suoi capricci, il postulato della sua eguaglianza assoluta comunque e dovunque con il genere maschile, il postulato del peccato di discriminazione secolare esercitato nei suoi confronti, la rivendicazione della legittimità dei peccati sessuali femminili e dell’illegittimità di quelli maschili, la condanna del genere maschile naturalmente portato alla violenza, accusa dalla quale sono gli uomini a doversi discolpare, a prescindere dalle prove. L’uso politico della femminilità ha giustificato violenza e guerre, colpevolizzato popoli e religioni, imposto nomine di primaria grandezza mondiale, ricattato capi di Stato. Ha permesso alle donne un’ascesa irresistibile nelle aziende private come nella politica dei due continenti americani.
In Europa ha trovato grande riscontro nei paesi scandinavi ed in particolare in Norvegia, dove si è venuta a realizzare quasi una dittatura femminile de facto. Anche l’ascesa della Merkel in Germania ha potuto contare su questa atmosfera ideologica tanto che difficilmente ad un uomo sarebbero stati perdonati passato e comportamenti della Thatcher tedesca. L’ultimo Parlamento italiano, per i numeri sovraesposti Pd e per la casualità delle candidature grilline, è il più giovane e femminile della storia repubblicana (età media 48 anni, 31% donne); è anche quello meno legato a società, territori, attori economici. Nei paesi latini il battage rosa ideologico funziona, ai livelli mediatico, pubblicitario, accademico, burocratico e politico come nel resto del mondo ma con risultati modesti. Non perché le donne latine siano da meno di quelle Usa: grazie al ruolo della famiglia, la donna latina svolge un tradizionale comando dietro la prima linea, che storicamente il Nord del mondo, da Russia a Scandinavia fino alle Americhe, non le riconosce. Detenendo la maggioranza del corpo elettorale, cresciuta esponenzialmente tra i quadri intermedi privati e pubblici, la donna latina avrebbe gli strumenti per la leadership diretta della società, ma non la vuole. Conquistati, per meriti suoi e non, ruoli primari nella famiglia conservatrice e nella eguaglianza individuale, vuole che le vengano garantiti l’una e l’altra mentre il diretto controllo del potere potrebbe metterli in forse. Sostiene gli uomini che meglio le garantiscano questo ambiguo potere, antico e moderno, elemento di ritardo per l’Europa latina nella globalizzazione. L’interesse femminile è corporativo, nepotista, filoburocratico, per il demerito, le cordate etnico familistiche, il welfare dei diritti acquisiti, a partire dai redditi di reversibilità, contrario a mobilità territoriale e sociale. L’assoluta libertà femminile, contraddittoriamente, svena il risparmio delle famiglie, indebolisce il ceto medio, chiede un enorme nuovo sforzo pubblico per l’assistenza dei single, degli anziani, dei bambini. Pretende insieme la difesa esponenziale della sua privacy e l’abbattimento totale di quella dei soggetti, intercambiabili con feroce incostanza, da lei considerati pericolosi.
La globalizzazione evidentemente va verso tutt’altra direzione ed incorona la donna individuale di successo, scollegandola completamente dalla famiglia, dalla morale, dalla protezione dei minori e dall’educazione, questioni invece sulle quali la donna latina intende continuare ad avere l’ultima parola. Le grandi donne della politica italiana si sono finora imposte, in un mondo di uomini, per doti personali e partitiche, senza rappresentanza di genere. Hanno finito, sull’altare di una parità teorica dei generi e degli obblighi teorici pubblici sostitutivi degli impegni tradizionali femminili, per danneggiare il lavoro femminile, costretto a termini pensionistici peggiori. Il loro impegno anti femminile è sempre stato malpremiato tanto che l’aumento ex lege delle donne nei CdA si è trasformato in un impressionante familismo con grosse cadute di qualità.
Il politico italiano abile oggi può portare dove vuole un Parlamento giovane, svagato, non presente a se stesso, soprattutto usando la demagogia rosa. Nessuno potrebbe opporsi al diktat del 50% della presenza femminile di governo, un gruppo più presente nei gossip che nelle scelte. Le nuove ministre si appelleranno al 31% single, vera bomba sociale nemica degli assetti costituiti; oppure saranno portaborse nulle, ottime organizzatrici, ubbidienti all’autocrate cui ben si adatta la politica Corretta, vera antitesi della democrazia. Se il politico abile vuole fare la guerra all’attuale zai stoj immobilista non c’è niente di meglio che usare la donna contro le donne (l’Inps ringrazia sempre la Fornero). Le donne tremeranno ad ogni nuovo nome rosa; con loro il Paese sa che l’autocrate può fare molto male o molto bene