La crisi dell’Italia e l’euro: il ciclo di Frenkel

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 Segnalazione di Quelsi

di  Gianni Candotto – Conclusione di Redazione Agerecontra.it 

EURO ROTTOL’economista argentino Roberto Frenkel aveva analizzato, partendo dalla situazione argentina del 2001, ciò che accade agli stati che si legano a una moneta più forte in un contesto di liberalizzazione dei mercati e non ripianamento degli scompensi strutturali con i paesi della moneta forte. Analizzare le sette fasi del ciclo di Frenkel è utile per capire se la situazione italiana, ma anche quella riguardante altri stati della zona euro, sia compatibile con la fase finale del ciclo, ovvero che il paese o i paesi in questione siano obbligati ad abbandonare la moneta forte.


Il ciclo di Frenkel

Fase 1) Il Paese, accettando l’unione monetaria, liberalizza i movimenti di capitale.
E’ un dato di fatto. L’Italia è entrata nell’unione monetaria accettando anche il libero scambio di uomini e merci (trattato di Schengen)
Fase 2) Affluiscono i capitali esteri, che trovano conveniente investire in un Paese dove i tassi di interesse sono più alti, ma è venuto meno il rischio di cambio.
Anche questo è un fatto, in Italia gli investimenti esteri ci sono stati, basti pensare ai dati che indicano nel 30% le grandi aziende italiane finite in mani straniere in questi anni. Tuttavia gli investimenti in Italia sono serviti a comperare aziende già presenti e non a fare investimenti per creare nuove fabbriche.
Fase 3) Il flusso di liquidità fa crescere consumi e investimenti, quindi crescono Pil e occupazione.
Questo è un dato meno immediato in Italia rispetto agli altri paesi del sud dell’eurozona. In italia non c’è stato una grande crescita dell’economia prima della crisi, a differenza di Grecia e Spagna, che hanno avuto crescite importanti, proprio per la particolare conformazione economica dell’Italia. L’Italia è sempre stata un paese altamente industrializzato e, come si diceva sopra, gli investimenti esteri erano mirati più ad acquisire aziende già presenti che a farne di nuove. Non bisogna dimenticare che la disoccupazione in Italia prima dell’era Monti era ampiamente sotto il 10%, nel 2006 toccava il 6,8%, un dato molto favorevole anche se comparato con gli altri paesi europei.
Fase 4) Aumentano anche l’inflazione e il debito privato; inoltre si creano bolle azionarie e immobiliari.
L’inflazione in Italia non è aumentata sia perché non c’è stata crescita sia per i parametri di Maastricht che hanno obbligato a una politica antinflattiva. Il debito privato nei paesi dell’Eurozona ha avuto una vera e propria esplosione aumentando in media del 27% dal 1999 al 2007, con le punte della Grecia (aumento del 217%), dell’Irlanda (101%) e della Spagna (75%). In Italia non c’è stato un grande aumento perché le banche italiane non hanno dato crediti a pioggia, bloccando sia l’aumento del debito ma anche ovviamente la crescita economica. Sulle bolle azionarie e immobiliari non è necessario aggiungere nulla, dato che le abbiamo vissute entrambe.
Fase 5) Un evento casuale crea panico tra gli investitori stranieri, che arrestano i finanziamenti.
Lo Spread. Che ha avuto un effetto: mentre precedentemente il debito italiano era per oltre la metà in mano estere, oggi il 70% dello stesso è in mani italiane.
Fase 6) Inizia la crisi: si innesca un circolo vizioso tra calo del Pil e aumento del debito pubblico. Il governo taglia la spesa pubblica o aumenta le tasse, aggravando la recessione.
Ciò che è accaduto con i governi Monti e Letta.
Fase 7) Il Paese è costretto ad abbandonare il cambio fisso e a svalutare.
Questo ultimo punto è il più interessante. Ad oggi a parte Fratelli d’Italia AN e la Lega Nord nessun partito ha però ipotizzato di uscire dall’euro. Forza Italia e il M5s sono stati ambigui su questo punto, tant’è che Toti, il coordinatore di FI, ha annunciato anche recentemente l’adesione all’eurista PPE e che non avrebbe fatto una campagna contro la moneta unica, mentre il M5s non ha preso nessuna posizione ufficiale, anzi Casaleggio aveva ribadito di essere favorevole all’Euro e molti parlamentari in televisione hanno tenuto una posizione sfuggente. Tutti gli altri partiti di centro e sinistra sono euristi convinti. (…)

 “Eppure se il ciclo di Frenkel fosse applicabile alla nostra crisi, e appare proprio così, come si sussurra persino negli ambienti economici che contano – recente uno studio dell’economista De Nardis al chiuso delle mura di Nomisma e altre voci di corridoio in Banca d’Italia – l’unica politica realistica sarebbe quella di Forza Nuova” (n.d.r.).

Gianni Candotto | marzo 12, 2014 alle 11:09 am | URL: http://wp.me/p3RTK9-44M

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