Segnalazione Quelsi
di Riccardo Ghezzi
Nella notte del 12 giugno 1999, 200 paracadutisti russi occuparono l’aeroporto internazionale di Pristina, capitale del Kosovo. La Nato aveva chiuso lo spazio aereo kosovaro, per cui le truppe giunsero via terra dalla vicina Bosnia Erzegovina. La guerra era finita il giorno prima e la Russia era infuriata perché si attendeva che le fosse assegnato un settore, indipendente da quello NATO, di pacificazione del Kosovo.
Wesley Clark, comandate delle forze NATO, informò il segretario Javier Solana di quanto stava accadendo. Ricevette quindi l’ordine di fare in modo che i “Poteri fossero trasferiti alla NATO” in tutta l’aerea, aeroporto compreso. Clarke, americano, diede quindi ordine a un contingente misto anglo-francese di provvedere a rimuovere con l’uso della forza i russi dall’aereoporto.
Il comandante del reparto, l’ufficiale James Hillier Blount, non volle eseguire l’ordine. Questa decisione fu confermata dal suo comandante, il generale inglese Mike Jackson, che si rifiutò di cacciare i russi dicendo più volte “I’m not going to have my soldiers be responsible for starting World War III“. “Non avrò i miei soldati responsabili per l’inizio della terza guerra mondiale”.
Wesley Clarke, temendo che i russi potessero portare altre truppe con gli aerei Ilijushin 76, diede allora ordine di bloccare con i carri armati la pista e chiese alla flotta l’invio di elicotteri in appoggio. Neppure questi ordini furono portati a termine. I suoi superiori preferirono intervenire sui paesi vicini affinché non concedessero il permesso di sorvolo ai russi, cosa che Bulgaria, Romania ed Ungheria fecero. I Russi si trovarono in uno stallo, e dopo una trattativa si ritirarono.
Il generale inglese Mike Jackson, soprannominato Darth Vader dalle sue truppe, per i fatti di Pristina ricevette un DSO, DIstinguished Service Order, importante onorificenza militare inglese, anche perché messosi in contatto diretto con il comandate russo gli promise protezione da eventuali attacchi dei guerriglieri albanesi e gli inviò alcune bottiglie di wiskhy con truppe di supporto comandate dal suo stesso figlio.
Un tocco di intelligenza che pacificò la situazione rapidamente.
James Hillier Blount, invece, oggi è conosciuto come James Blunt, cantautore di fama che ha venduto più di 20 milioni di singoli nel mondo, tra cui le rinomate “Goodbye my lover” e “You’re beautiful”.
Corsi e ricorsi storici.
Oggi, con la crisi in Ucraina, si assiste ad un altro bracco di ferro Russia-occidente, forse ancora più delicato.
Anche in questo caso i riferimenti storici non mancano. E non sono piacevoli: l’azione di Putin potrebbe ricordare quella di Hitler in Polonia, anno 1939. Un’invasione con l’apparente scopo di “proteggere i tedeschi di Slesia”, perlomeno queste erano le intenzioni sbandierate dal Fuhrer, proprio come oggi Putin sostiene di voler proteggere i russi di Crimea.
Oppure i carri armati dell’Urss in Ungheria, anno 1956. Fortunatamente oggi manca un’analogia: quella di Napolitano, attuale capo dello Stato italiano e all’epoca giovane dirigente Pci, che sostiene che quei carri armati russi portino la pace.
Analogia soltanto teoriche. Oggi non esistono i presupposti né le possibilità che la Russia di Putin invada l’Ucraina. Non ne avrebbe la capacità militare, né potrebbe sfidare zone dove i russi sono impopolari. Certo non potrebbe penetrare a Kiev.
I soldati russi si limiteranno a presidiare le zone filo-russe e russofone di Ucraina: qualsiasi altra decisione li farebbe cadere nella trappola della guerriglia, come gli americani in Vietnam hanno imparato a loro spese. Una prospettiva spiacevole, che oltretutto andrebbe a incrinare ulteriormente i già delicati rapporti con organismi internazionali, Nato, Usa e Ue.
Non è quello che vuole la Russia, non se lo può permettere: si accontenterà di fare pressione, avendo come obiettivo massimo la secessione dei territori in Ucraina e la successiva spartizione, riprendendosi in primis quella Crimea ceduta da un Nikita Chruščёv che la leggenda racconta in preda ai fumi dell’alcool.
Ecco perché la vicenda ucraina assomiglia più a quella di Pristina che a quelle di Varsavia e Budapest. L’occidente dovrà evitare qualsiasi tipo di braccio di ferro con la Russia, lasciando che la situazione si sgonfi con la diplomazia e la naturale evoluzione.
Purtroppo non ci sono soldati inglesi nell’attuale scenario, ma solo John Kerry e Barack Obama.
Al di là di quelle che possono essere le considerazioni nel merito, c’è da farsi una domanda: l’occidente ha davvero motivi seri per intraprendere un braccio di ferro con Putin?
Crediamo di no.
Soltanto un anno fa Zvi Magen, diplomatico israeliano nonché ex Ambasciatore a Mosca, raccontava sulle colonne del Foglio che: “La Russia ha una politica ambivalente. E’ amica di Israele, ma è amica anche dei suoi nemici, Siria e Iran. Mosca vuole un ruolo in medio oriente, vuole avere voce nella sistemazione della regione, per questo ha bisogno di una partnership con Israele. E’ senz’altro una politica interessante, loro la chiamano multivettorialità: parlare con tutti, proporsi come mediatore nei conflitti. Questa politica, però, poteva andare bene fino alle primavere arabe, che hanno colto i russi alla sprovvista e che Mosca ha giudicato negativamente: prevedono un rafforzamento dell’islam radicale e dunque un aumento dell’instabilità. A quel punto la Russia si è schierata con gli sciiti contro i sunniti. La Russia teme l’islam, e ha ragione, a causa delle minacce che esso rappresenta per i suoi interessi nel Caucaso e nell’Asia centrale“.
Un baluardo contro l’Islam radicale e un mediatore di conflitti. Questa è la Russia di Putin, che certo non ha mai manifestato, pur con tutti i suoi difetti, propositi anti-occidentali, anti-europei o anti-semiti. Ancora oggi c’è chi fantastica su presunte alleanze tra Mosca e Gerusalemme proprio in chiave Ucraina. Difficile da credere, per tanti motivi: i rapporti tra Israele e Russia sono tornati tesi lo scorso settembre, quando due missili balistici israeliani lanciati nel Mediterraneo sono stati intercettati da radar russi. In quell’occasione Israele ha prima smentito, poi rivelato che si trattava di una esercitazione congiunta con gli Usa. Inoltre difficilmente Israele potrebbe creare un asse con il maggiore alleato dei suoi nemici principali, Iran e Siria. Tuttavia il governo israeliano ha inviato del personale a Kiev, per garantire la sicurezza degli ebrei ucraini, anche a causa della presenza di frange estremiste e antisemite tra i ribelli anti-russi. L’isolamento cui Usa e Ue hanno costretto Israele negli ultimi anni non è piaciuto agli israeliani, men che meno la gestione deficitaria di Obama nella questione Iran.
La situazione dell’Ucraina ha fatto emergere tante contraddizioni e criticità, rivelando uno scenario più variegato di quel che appare.
E facendo emergere alcune verità: nessuno, in Europa, è disposto a morire per l’Ucraina, e questo la dice lunga sull’incapacità dell’Europa occidentale di costituirsi a comunità e di costruire qualcosa che crei un senso di appartenenza; la Russia è meno nemico sia di Israele sia dell’occidente di quel che raccontano i media mainstream; la rivolta ucraina nasconde insidie e anomalie ancora peggiori di quelle delle cosiddette primavere arabe.
Un braccio di ferro Occidente-Russia, oltre che surreale e immotivato, sarebbe un grave errore. Ancora peggio che a Pristina.
Riccardo Ghezzi | marzo 3, 2014 alle 10:41 pm | URL: http://wp.me/p3RTK9-3ZK