Dopo le elezioni, Hollande alle corde

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Segnalazione di Corrispondenza Romana

 di Philippe Pichot Bravard

 

HOLLANDE4Le elezioni municipali che si sono svolte in Francia il 23 e il 30 marzo 2014 sono state la traduzione elettorale del fortissimo malcontento popolare di cui abbiamo già, nel corso di questi ultimi mesi, rilevato alcuni aspetti spettacolari.

 

Da un lato l’astensione ha raggiunto un nuovo record: 36,5% e ciò per delle elezioni che, assieme a quelle presidenziali, mobilitano maggiormente l’attenzione dei francesi. Dall’altro lato, il Fronte Nazionale a registrato una forte progressione. In più di trecento città è riuscito a superare la soglia del 10% arrivando al secondo turno. E alla fine del secondo turno, ha conquistato dieci città (rispetto alle quattro del 1995): Hénin-Beaumont (Pas-de-Calais), Fréjus, Le Luc et Congolin (Var), Beaucaire (Gard), Le Pontet (Vaucluse), Villers-Cotterêts (Aisne), Hayenge (Moselle), Mantes-la Ville (Yvelines), così come uno degli otto settori di Marsiglia, il più popolato.

Questa progressione conferma in modo particolare il riallineamento di un elettorato di sinistra radicale toccato dalla crisi economica. E anche in quella vecchia terra di sinistra che è Limoges, il Fronte Nazionale a raggiunto il 17% al primo turno! Le liste indipendenti di destra hanno avuto un certo successo: Jacques Bompard è stato facilmente rieletto a Orange, sua moglie lo è stata a Bollène (Vaucluse) e uno dei suoi fedelissimi, Philippe de Beauregard, è stato eletto a Camaret sur Aigue. Véronique Besse (MPF) ha vinto al primo turno nella città di Herbiers (Vendée) con quasi il 58% dei voti. Nicolas Dupont-Aignan (In piedi la Repubblica) è stato rieletto a Yerres (Essonne), al primo turno, con il 77,1% dei voti. Peraltro la sinistra, tanto socialista quanto comunista, ha avuto una vera e propria disfatta simile a quella del 1983.

Se il Partito Socialista conserva Parigi, Lione, Strasburgo, Lille, Digione, Rouen, Nantes, Rennes et Brest, perde invece Tolosa, Reims, Pau, Evreux, Angers, Quimper, Laval e anche  La Roche-sur-Yon, città di funzionari che sembravano imprendibili dalla destra. Bastioni storici come  Roubaix e Limoges, socialisti dal 1912, si sono ribaltati a destra. I comunisti perdono molti dei loro bastioni storici, in particolare nella regione parigina: Bobigny, Le Blanc-Mesnil, St Ouen et Villejuif passano a destra: la cintura rossa di Parigi, già ben intaccata nel 1995 è oggi a brandelli.

Alcuni di questi risultati illustrano in modo particolare un fatto sociologico: la crisi della trasmissione dei valori, che tocca sia le famiglie di destra che quelle di sinistra, capovolge la geografia elettorale aprendo un gioco poc’anzi relativamente raggelato. La nozione di feudo storico nel quale una stessa tendenza domina in modo costante non ha più oggi molto senso. Queste elezioni sono state peraltro segnate dal perfezionamento della chiusura del gioco elettorale a favore dei grandi partiti. Una nuova regola ha soppresso il voto preferenziale nei comuni dai 1000 ai 3500 abitanti, imponendo la costituzione di liste comprendenti tante donne quanti uomini, debitamente dichiarate in prefettura.

Queste liste hanno dovuto obbligatoriamente scegliere un’etichetta politica per non farsene imporre una dal prefetto. Allo stesso modo l’obbligo di dichiarare la propria candidatura è stato imposto nei comuni con meno di mille abitanti. Risultato, in numerosi comuni gli elettori non avevano altra scelta se non quella di votare per una lista unica senza poter indicare nessun nome. In questi comuni la partecipazione ha spesso registrato un forte calo (tra il 10 e il 20%) e il numero di schede bianche ha raggiunto normalmente tra il 20 e il 30%, spesso anche tra il 35 e il 40% e in casi eccezionali ha superato il 50%, come a St. Laurent-des-Autels (Maine-et-Loire). Dopo aver bloccato le elezioni regionali nel 2003, dopo aver colpito a morte  le elezioni parlamentari con l’introduzione dei cinque anni, il governo ha così notevolmente limitato la libertà di scelta degli elettori nelle comunità rurali.

La prossima tappa, annunciata recentemente, è la soppressione delle borgate rurali, il loro raggruppamento in grandi entità di venti o trentamila elettori, nelle quali sarà d’ora in poi eletto un binomio (uomo-donna). Queste entità saranno comunque troppo vaste e troppo popolate per permettere a un indipendente di farsi eleggere con il suo nome.

E’ indiscutibile che questa chiusura del gioco politico da parte dei grandi partiti alimenta la crisi politica attuale, sottolineando il carattere oligarchico del sistema dei partiti. All’indomani del secondo turno, il presidente della repubblica, François Hollande, ha affermato di aver sentito il “malcontento” e la “delusione” dei francesi. Ha deciso di cambiare governo scartando Jean-Marc Aryault a favore di Manuel Valls. La nomina di Manuel Valls, pur non costituendo una vera e propria sorpresa è stata fortemente discussa. I Verdi hanno annunciato che non parteciperanno a questo nuovo governo. Jean-Luc Mélenchon si è mostrato ugualmente molto severo parlando di un “suicidio politico”. Una parte del gruppo socialista si è riunita all’Assemblea nazionale, manifestando la sua inquietudine. Manuel Valls non potrà dunque certamente contare su una maggioranza stabile per governare.

La nomina di Manuel Valls è dunque una nuova espressione di disagio di un capo di Stato che “naviga a vista”? O è al contrario la prima tappa di una manovra machiavellica, degna del compianto François Mitterrand, manovra di cui lo scenario sarebbe il seguente: nominando Primo Ministro un uomo inviso alla maggioranza della sinistra, François Hollande la metterebbe di fronte alle sue responsabilità; nel caso in cui questa sinistra decidesse, con il sostegno della destra e del centro, di censurare il governo, il Presidente sarebbe autorizzato a sciogliere l’Assemblea.

Vittoriose alle elezioni parlamentari anticipate, l’UMP e l’UDI sarebbero dunque condannate a portare avanti loro una politica di austerità fortemente impopolare, ciò che permetterebbe a François Hollande di essere rieletto ad un secondo mandato del 2017. La sola via d’uscita per la destra sarebbe quella di pretendere, in caso di sconfitta della sinistra alle elezioni parlamentari, le dimissioni del capo dello Stato. Ma è poco probabile che lo faccia.  Nell’immediato, dopo le Europee del prossimo 25 maggio, la prospettiva delle elezioni parlamentari anticipate all’autunno 2014 diviene un’ipotesi estremamente seria. 

 

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