Segnalazione di Maurizio-G. Ruggiero
Le confessioni di un funzionario di Equitalia: “Obiettivo incassare“
Sono stati picchiati più volte. Aggrediti e sequestrati. I dipendenti Equitalia sono gli ultimi della catena riscossoria e come tale i primi a prenderle dai contribuenti infuriati. […]
In effetti Equitalia per come è organizzata sembra proprio prestarsi a fare da parafulmine. La società di riscossione ha chiuso il bilancio in passivo. Sono stati tagliati i costi del personale, ma la cifra di rosso ha superato gli 80 milioni per via dello stop della riscossione Ici. La perdita complessiva supera gli 800, se si considera i pregressi portati in dote dalle varie consorelle (Sud e Centro) dopo la fusione.
Eppure i bonus vengono assegnati in base agli importi riscossi dai cittadini. Cioè, al raggiungimento del budget fissato dai vertici a inizio anno. Fa male sapere che, nonostante la crisi, negli ultimi anni l’obiettivo da raggiungere è sempre stato alzato. Almeno un 5% in più ogni anno. Ovviamente non è detto che il budget venga raggiunto. Se non viene conseguito almeno l’80%, inizia a scattare il meccanismo incentivante. L’anno scorso si era discusso di ridurre gli incentivi alla produzione. I sindacati – tutte e tre le sigle – avevano dichiarato: «Gli importi verranno ulteriormente ridotti, è una vergogna».
Non è successo. I sindacati non hanno firmato il documento ma il prossimo giugno scatteranno ugualmente i pagamenti dei bonus sui risultati del 2013. Dal documento visionato da Libero si evince chiaramente che all’addetto che batte la strada vanno 500 euro lordi. Mentre al funzionario responsabile area oltre 3mila.
Voci di corridoio interne raccontano di bonus per direttori regionali arrivati ai 20mila euro. Ovviamente nel caso in cui il budget di area venga raggiunto al 100% e il dipendente abbia ottenuto dai superiori il massimo della valutazione. Singolarmente non si tratta di cifre scandalose, ma se si considera che l’anno scorso a busta paga c’erano circa 8mila persone, gli importi complessivi diventano mastodontici.
«Il paradosso», spiega un addetto alla riscossione, «è che chi sta per strada e rischia può aspirare massimo a 500 euro lordi mentre i dirigenti hanno iper incentivi. Senza contare che alcune figure sono state cooptate da altre aziende, più o meno pubbliche, senza alcuna conoscenza in materia».
E questo forse spiega perché gli incentivi non vengano dati in base ai risultati di bilancio. Aiuterebbe a rimetterlo in sesto. L’ha detto pure la Corte dei Conti che chiede da tempo una riforma del sistema fiscale e un riequilibrio dei bilanci di Equitalia. All’appello nelle casse manca la stratosferica cifra di 545 miliardi di euro. Un quinto del debito pubblico. Somme che non torneranno mai. Altro che dare incentivi sul budget.
«Per chi come noi lavora dentro Equitalia», prosegue l’addetto, «ci sono domande che restano insolute. Perché il nuovo software è peggiore del precedente? Non abbiamo la possibilità di avere a disposizione l’intera situazione debitoria del contribuente. Senza contare che spesso viaggiamo con la carta carbone. Perché renderci meno efficienti? A chi fa comodo?».
Non è facile rispondere. Così come si resta stupiti quando si ascoltano alcune proposte degli addetti ai lavori. Mai realizzate. «Per ridurre l’evasione e consentire a noi di recuperare prima e maggiormente gli importi dovuti», conclude l’addetto, «basterebbe creare un software unico dove tutte le aziende inseriscono le fatture emesse e ricevute. Dal data base innanzitutto si vedrebbe subito se qualcuno ha emesso una fattura falsa a una partita iva fasulla. Purtroppo succede spesso. Ma ce ne accorgiamo noi e cinque anni dopo la contestazione. A quel punto, scopriamo che la società chiusa era domiciliata in uno stabile abbandonato e non c’è nulla da recuperare. Con il sistema on line potremmo intervenire subito e non consentire nemmeno abusi sull’Iva».
Perché non si fa? Forse perché i contribuenti onesti ci guadagnerebbero. Lo Stato vedrebbe subito quali fatture sono insolute e non dovrebbe chiedere in anticipo il pagamento dell’Iva né tanto meno chiedere tasse su importo che sono una perdita e non reddito. «E anche noi», conclude, «saremmo più contenti di non trovarci di fronte a imprenditori che non sono stati pagati da un cliente e si sono trovati a dover scegliere tra gli stipendi e gli F24».
Claudio Antonelli
Cna: a Bologna pressione fiscale sulle imprese al 74,2%, la seconda d’Italia
Secondo uno studio della Cna, Bologna è al secondo posto dopo Roma nella classifica italiana relativa alla pressione fiscale sulle imprese. Nel 2014, stando ai dati dell’associazione economica, le imprese italiane saranno tassate in media del 63,1% (nel 2011 il cosiddetto total tax rate era del 59,1%, quattro punti percentuali in meno).
La ricerca dell’Osservatorio dell’associazione economica ha misurato e quantificato il peso complessivo del fisco in 112 città italiane capoluogo di provincia prendendo come riferimento un’impresa manifatturiera individuale con un laboratorio di 350 metri quadrati, un negozio di 175 metri quadrati, 5 dipendenti, un fatturato di 430mila euro all’anno e un reddito d’impresa di 50mila euro all’anno.
Si è così scoperto che, se è Roma ad aggiudicarsi la vetta della poco ambita graduatoria, con una pressione fiscale salita dal 65,7% del 2011 al 74,4% stimato nel 2014, è proprio il capoluogo dell’Emilia-Romagna a piazzarsi sul secondo gradino del podio, ex-aequo con Reggio Calabria, con il 74,2% di pressione fiscale e un balzo in avanti di quasi 10 punti percentuali rispetto al dato del 2011, che faceva segnare quota 64,6%.