di Arai Daniele
Le manovre militari che fermentano in torno all’Ucraina e ora andranno oltre con il discorso aggressivo di Obama nei riguardi della Russia di Putin, non lasciano dubbi che tale pressione c’è per restare e purtroppo aumentare in direzione di una buia guerra.
Le questioni da affrontare sono molte e oscure, risalenti a più di un secolo, con radici ancora più estese non solo d’ordine economico e geopolitico ma religioso; sono sempre figlie della stessa dea rivoluzionaria anticristiana, onorata dal governo nordamericano.
E le ragioni non dichiarate sono coperte da un macro pretesto: se Putin è come Hitler, è meglio per i «nuovi alleati» bloccarlo ora; è preferibile prevenire che rimediare!
È la mentalità di guerra preventiva, già manifestatasi altrove, per coprire altri interessi e intenzioni con la scusa dell’esperienza storica, del nazismo. Ma quando nell’ultima grande guerra nella Russia sovietica imperversava il comunismo di Stalin, Roosevelt pensò solo, con i patti di Yalta, a trattare e a concedere sovranità altrui a spese della vecchia Europa. Oggi, Obama, di fronte a un’altra Russia, che con Putin ricupera perfino un aspetto cristiano, si ostenta come paladino di una nuova Europa. Questa, già prostituita all’alta finanza «apatride» che, dal grande crac, domesticò anche la vecchia America, è vittima di un consorzio di poteri occulti. È il piano che riuscì a far passare in tutto il mondo quel modello finanziario «padrone» del potere economico e commerciale; se prima c’era il dominio delle grandi industrie, oggi c’è la tirannide delle borse e delle banche che vivono di carte multi-milionarie capaci di comprare tutto e corrompere tutti.
Ecco, allora già descritti i motivi occulti per far la guerra: – abbattere il pericolo Putin; – completare la colonizzazione finanziaria della «nuova Europa» dell’Euro; – idem per il dominio militare della NATO; – finirla col rimanente aspetto cristiano e «omofobo» del vecchio mondo!
Abbattere il «pericolo Putin»
Il vasto «consenso» di cui oggi Putin gode presso il suo popolo è legato anche alle alte entrate dei prodotti energetici con cui finanziare la spesa pubblica, senza dover praticare austerità; tutto dovuto alla forte posizione russa, quasi monopolistiche delle forniture verso l’Europa. Quindi, posizione di potere economico in competizione nel mondo, nello stesso piano degli altri «grandi», anche se non siede più nei pranzi dei «sette»!
Putin «non ha più alcuna ideologia rivoluzionaria che offra un’attrattiva di massa, né in religione né in politica né in economia. E non possiede una sfera di egemonia ufficialmente riconosciuta sul piano internazionale, come quella che ottenne Stalin a Yalta nel 1945» (concessagli da Roosevelt). Ecco l’interessante valutazione che le Centrali americane fanno in vista di possibili debolezze del leader nel Cremlino.
In verità, Putin ha, più che un’ideologia politica, un piano per il futuro, come si capisce dai discorsi di Alexander Dugin, visto come teorico di Putin da Israel Shamir (vedihttp://www.agerecontra.it/public/pres30/?p=11862#more-11862) e (http://www.agerecontra.it/public/pres30/?p=12020).
Tale analisi parte dal concetto che “Difficilmente le idee vanno verso ovest. Normalmente sono le idee Occidentali a diffondersi a Est, non il contrario. La Russia, l’erede di Bisanzio, è l’”Est”, fra altri grandi “Est” quali Dar ul-Islam, Cina, India; tra questi, la Russia è la più vicina all’Ovest ma le differenze sono molte. Questa è probabilmente la ragione per cui Dugin, importante intellettuale contemporaneo russo, solo ora prova a fare un passo verso la consapevolezza occidentale.”
Alexander Dugin, giovane professore dell’Università di Mosca, è un idolo nella sua patria a causa della sua militanza con conferenze e numerosi libri per richiamare a quella cultura e politica che non può fare a meno della metafisica, della filosofia e della teologia. È un instancabile lottatore per la libertà dell’uomo dalla tirannia liberale americana postmoderna, tradotta nel Nuovo Ordine Mondiale, con mezzi politici. Perciò Dugin risulta come l’ispiratore della politica euroasiatica di Putin, come Kissinger lo era per quella di Nixon. E’ più importante il nemico che l’amico, sceglilo con cura perché tale scelta influenzerà le tue decisioni, ha detto Carl Schmitt, mentore di Dugin.
Il nemico numero uno di Dugin è il liberalismo, che egli definisce una forma di darwinismo sociale in cui i più ricchi sopravvivono e si sviluppano, mentre il resto dell’umanità soffre e muore fisicamente e spiritualmente. Il liberalismo è il male più grosso dei nostri tempi, perché è inevitabile. Il liberalismo, e la libertà che esso sostiene di promuovere, portano ad una distruzione sociale; liberano l’uomo dalla famiglia, dallo stato, dalla sua identità sessuale e persino dalla sua umanità. Il liberalismo finisce per portare alla sostituzione dell’uomo da parte di cyborg geneticamente modificati.
Si noti che le idee e i «pericoli» intellettuali sono visti venire da Occidente, come il comunismo. Eppure, storicamente, le invasioni belliche sono maggiormente venute da Oriente. In questi fatti la Russia ha avuto e continua ad avere un ruolo essenziale. Si pensi alla barriera che offre all’avanzata islamica. Ma qui quel che importa ricordare è la vera opposizione tra le sovranità nel mondo attuale. A quella dei popoli russi sembra importare anzitutto, dopo aver superato la rivoluzione comunista, di preservare la propria cultura e visione del mondo, arricchita anche dalla cultura Occidentale e Cristiana. A quell’altra, americanista, sembra invece importare allargare sempre più un suo attivismo per la nuova «cultura LGBT» nel mondo.
Solo la Profezia di Fatima si adegua alle speranze della visione di autori russi non cattolici, come Soloviev, di pace e armonia nel mondo legate in pieno a Roma e all’Italia. Il grande scrittore russo Fëdor Dostoevskij è ricordato da Marcello Veneziani in un azzeccato articolo su «il Giornale»: (12/12/2011) “Grande civiltà, piccolo Stato” L’Italia secondo Dostoevskij”.
«Lo scrittore fu feroce col neonato Regno Per lui il nostro Paese era un’espressione culturale universale e millenaria, mentre l’Unità era domestica e secolare. Ah, l’Italia, «un piccolo regno unito di second’ordine, che ha perduto qualsiasi pretesa di valore universale, cedendola al più logoro principio borghese – la trentesima ripetizione di questo principio dal tempo della prima rivoluzione francese – un regno soddisfatto della sua unità, che non significa letteralmente nulla, un’unità meccanica e non spirituale (cioè non l’unità mondiale d’una volta) e per di più pieno di debiti non pagati… Non è Bossi che parla né suo nonno… è un osservatore esterno molto speciale, un sostenitore convinto dell’Italia universale e non statuale, o per dirla con Herder, dell’Italia come nazione culturale, non politica… Per duemila anni l’Italia ha portato in sé un’idea universale capace di riunire il mondo, non una qualunque idea astratta, non la speculazione di una mente di gabinetto, ma un’idea reale, organica, frutto della vita della nazione, frutto della vita del mondo; l’idea dell’unione di tutto il mondo, da principio quella romana antica, poi la papale. I popoli cresciuti e scomparsi in questi due millenni e mezzo in Italia comprendevano di essere i portatori di un’idea universale, e quando non lo comprendevano, lo sentivano e le presentivano. La scienza, l’arte, tutto si rivestiva e penetrava di questo significato mondiale». Tutto barattato per una piccola unità statuale? In fondo Dostoevskij abbracciava da russo e ortodosso, l’idea cattolica e giobertiana del primato mondiale e civile d’Italia che trascendeva dalla sua unificazione statuale, anche se la prefigurava. Lo scrittore russo era tutt’altro che vicino a una visione internazionalista, di tipo socialista e utopico, che condanna per il suo astratto universalismo. Nell’anno dell’Unità d’Italia, il 1861, Dostoevskij fondava una rivista, Vremja (Il tempo) che era tutta percorsa da un fremito di patriottismo russo e slavofilo e da un rifiuto dell’occidentalismo come omologazione mondiale. La romanità come principio universale, l’imperium come principio ordinatore del mondo e la cristianità che si fa cattolica – cioè universale – a Roma, erano per lui il paradigma dell’unità spirituale del mondo. A cominciare dalla Terza Roma degli Czar (contrazione russa di Cesare, non a caso). Anzi, la sua idea è che sarebbe stata la Russia «a condurre a conclusione la missione dell’Europa», come scriveva in una lettera dell’inverno 1856 a Majkov. In una pagina assai attuale Dostoevskij lamenta la subordinazione dell’Europa alla Borsa e al credito internazionale; ma poi spende la sua vena profetica in un delirio antigiudaico, ritenendo che siano gli ebrei a muovere la borsa, le banche e i capitali, condizionando gli Stati nazionali. («Non per nulla dominano là ovunque gli ebrei nelle Borse, fanno muovere i capitali, sono i padroni del credito e della politica internazionale» scrive nel marzo 1877, per concludere con una filippica contro il giudaismo).»
Non c’è bisogno di sposare l’idea negativa di Dostoevskij sull’unità d’Italia, per capire quale Risurrezione era cara all’Autore, sia per l’Italia come per la sua Russia, ma è necessario considerare come questa speranza sembra ora più viva nella Russia post-comunista, che ha subito tutti quelli orrori e terrori, che nell’Italia del «progresso» conumista, smarrita in mezzo a un’Europa senza capo né coda, fedele solo a quel che dettano i poteri alieni, per non dire nemici, dell’Italia culturale, millenaria e Cattolica.
Per quanto riguarda la Russia, il pensiero Putin-Dugin si manifesta nel senso che la loro terra come possibile base per la resistenza al Nuovo Ordine Mondiale, insieme ad altri stati che sfidano l’imposizione americana rifiutando il nichilismo occidentale fatto da Heidegger (un’idea sempre dell’Occidente). Tra questi stati «indipendenti», però, si contano, come si vede oggi, la stragrande maggioranza di quelli dell’Europa unita. In questa si può anche votare per eleggere un capo, ma l’esito dell’elezione è di fatto irrilevante, se non rovinoso a causa di nuove divisioni.
Come potrebbe una «unione di stati», che non controlla nemmeno la posizione della propria moneta nel mercato mondiale, decidere qualcosa. Si pensi all’Euro, che è valuta sopravvalutata, non solo contro l’interesse e la volontà di questi stati indebitati, ma contro ogni logica finanziaria. Infatti, la moneta di chi ha grossi deviti si svaluta, non si valorizza. Ma qui, pure, prevalgono interessi e decisioni di poteri altrui.
Quanto alle immense ondate d’immigrazione dai paesi, una volta colonizzati dagli europei, ciò procede interamente senza controllo, anzi a spese e danno di nazioni come l’Italia la cui Marina è mobilitata per evitare la «vergogna» di non ricevere tale flusso umano, illegale per molti, ma obbligatoria per altri. Pare che il solo punto d’incontro in quest’«unione» europea penosamente sgangherata sia promulgare delle ridicole sanzioni teoriche contro la Russia, decise sempre altrove, perché intanto il corso pratico degli affari continua come prima e meno male.
Perciò, giova ripeterlo, anche per capire il rovescio della crisi attuale: nel cuore dei Cattolici sono impresse le parole della Profezia di Fatima, di quasi un secolo fa, per cui, alla fine, Maria SS affida alla conversione della Russia consacrata al Suo Cuore Immacolato la pace in un mondo demolito non solo materialmente, ma spiritualmente.
Tale mondo è rovinato dall’assenza della vera autorità, rappresentata dal Papa «eliminato» da forze anticattoliche insieme a tutto il suo seguito fedele nella visione del Terzo Segreto. Eppure, la soluzione è nella sua conclusione: alla fine il Cuore Immacolato di Maria trionferà col ritorno del Papa Cattolico, fedele ai disegni di Dio per sistemare questo mondo allucinato dove il Cristianesimo è presente più che altro nei cimiteri.
in America ci sono i cristiani di pluridirezione, il fatto è che in questo momento storico non hanno nessuna, se non poche, leve di potere
in America il potere forte non è rappresentato dai gruppi solo finanziari e bancari: è la somma di tutti i più forti attori nei vari settori.