Il piccolo grande Vecchio

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NOTIZIE D’AGOSTO

Segnalazione Quelsi

by Giuseppe Mele

tavecchioUn tal vecchio, Carlo Tavecchio, è stato eletto alla testa della Federazione Italiana Gioco Calcio. E’ uno dei tanti che si incrociano nel paese a tutti i livelli ed in tutte le regioni. Vengono in mente esempi all’infinito. L’80ntenne che a Roma detiene il controllo del voto dei circa 30mila giornalisti pubblicisti. L’anziano che gestisce, sul serio, da decenni la prima Tv privata. L’imprenditore, anch’egli con tante decadi, che dopo aver portato il suo gruppo alla leadership mondiale delle lenti, si inventa un patto innovativo di azionariato dei dipendenti. L’uomo che per Confindustria porta avanti i suoi modelli di formazione digitale da tre decenni, il che nel mondo tecnologico corrisponde a 3 secoli.

L’Italia media, provinciale, che qualcuno ha voluto denominare mediocre, era fatta così, lo è e lo sarà. Ammira i grandi spiriti, genialoidi, innovativi e creativi ma si affretta a costruire loro un altare, un piedistallo, una nicchia da dove possano pontificare senza fare danni ed interferire troppo nel tran tran quotidiano, una sorta di esempio positivo alla rovescia, da far ammirare ai figli senza che essi si sognino di calcarne le orme. Uno Steve Jobs, agli occhi di questi anziani, resta quello che era veramente in vita: un isolato, strano, stressato, cattivo caratterialmente e aziendalmente, un partner e socio di cui non fidarsi ma un cliente e fornitore ottimo che sui bassi salari e lo sfruttamento dei dipendenti ha costruito una fortuna. Questi più o meno anziani guarderebbero con estremo favore all’insieme dei quadri e dirigenti del Melagruppo; perché non vorrebbero mai perdere l’opportunità di rifornire, assistere e distribuire prodotti di tecnologia così azzeccati per il pubblico. Saranno anziani, saranno mediocri, saranno contrari all’innovazione distruttrice ma capiscono bene che una serie di ondate di innovazioni, tutte nello stesso verso, costruiscono un nuovo ordine stabile nel quale si può riprendere la trama dei colloqui, degli accordi, dei contratti di sempre che vengono intavolati, stesi e conclusi da anzianotti a tutte le parti del tavolo, inclusa quella di sparring partners per figli e figlie.

Un Tavecchio è stato alla fine eletto presidente del calcio nostrano, malgrado il muro di opposizione urlata e mediatica dei nomi e dei poteri più rappresentativi dell’economia e dei media. Si sarebbe potuto dire che l’uomo, della provincia comasca, ragioniere, ex dirigente bancario del Credito Cooperativo e sindaco del suo paese, incarna alla meraviglia la figura del peone democristiano, la figura, cioè, del classico parlamentare eletto dal basso nello storico sistema elettorale delle preferenze. Una figura di cui si sostanziavano anche gli altri partiti di massa (comunista e socialista) destinati ad obbedire ai grandi leader e capicorrente. Oggi che i peones non ci sono più, sostituiti da belle signore, giornalisti alla moda, scelte casuali dalla rete (e sempre figli, figlie e parenti ieri come oggi), le cose non cambiano. Per l’elettore di una volta, invece del discorsetto in Tv di una figura secondaria, c’era la spiegazione in piazza del peone, che almeno nel paese e nel quartiere viveva il suo momento di gloria.

I peones comunisti facevano (e fanno) la loro carriera all’Unità, Arci e Legambiente, quelli socialisti alle partecipazioni statali, quelli democristiani al centro ricreativo delle poste ed a tutte le forme di organizzazione sociale possibile, inclusa quella del calcio. Tra i nomi noti dei precedenti presidenti, si trova un peone Dc, il barese Matarrese, ed uno socialista, il milanese Carraro, mentre il nome quasi santificato del fu senese fiorentino Franchi, già membro P2, è rimasto tale solo perché la stampa della sua epoca non aveva i poteri di massacro odierni. L’ex presidente dei Dilettanti già sostituito da Tavecchio si dimise per accuse di combine tra squadre laziali. Come tutti i peone, anche Tavecchio è sempliciotto e legato ai suoi tempi, caratteristiche comuni agli imprenditori della provincia italiana e che non impediscono loro di esportare ottimamente, sulla base dell’assunto che le regole di un lavoro fatto bene e di una buona organizzazione sono sempiterne.

Gli attacchi di razzismo, rivolti al nuovo presidente, non hanno impedito, al terzo voto, ai rappresentanti della maggioranza del 63,63% (su 274 votanti) dei club delle Leghe serie A, serie B, Pro, serie D e inferiori di votarlo, semplicemente perché pensano che, malgrado i clamori della religione new age del politicamente corretto, si tratti di un tema di poco conto, più di moda che di altro. Tutti sanno che nel famoso discorso antiextracomunitari Tavecchio ce l’aveva con un italiano, Balotelli, delusione del mondo calcistico e dell’ultimo mondiale. Oppure che nel calcio non si capisce l’invadenza delle donne per uno sport che non è cosa loro. Il peso di alcuni contrari, come i calciatori, allenatori e arbitri, istituzionalmente non investitori ma stipendiati, è praticamente nullo. Più importante il gruppo “no Tav” sconfitto di Juventus, Torino, Roma, Sampdoria, Sassuolo, Empoli, Cagliari, Cesena e Fiorentina, evocanti Confindustria, grandi giornali, grandi imprese, grande moda, una rete Tv privata e un bel pezzo della Rai. Nel gruppo favorevole astutamente si sono però ritrovate, con Genoa e Lazio (contro cui sono andati gli strali Fiat, ops Fca), il Napoli e le milanesi che non si sono impiccate per l’altro candidato, l’ex milanista Albertini.

Il Milan ha chiesto pro bono pacis un passo indietro ad entrambi, ma si tenga conto che Mediaset è tornata, nella divisione consolidata con Sky, a primeggiare sui diritti Tv del calcio maggiore, vero business del settore. Lo scontro è meno grave del previsto. Tavecchio avrà come vice l’ex giornalista Maurizio Beretta, che più uomo Fiat di così non si può. L’altro vice, Abodi attuale capo della B, medierà. Il nuovo DG, Uva,è un manager plurisportivo, reduce da pallavolo, pallacanestro e dal Parma calcio. Una volta che sarà stato nominato il nuovo ct della Nazionale al posto di Prandelli, probabilmente nella figura di Conte, dimissionario dalla Juve, non ci saranno hashtag che tengano contro il tale vecchio. Ed è forse questa prossima nomina che deve aver scatenato le ire dell’Agnelli junior che non si attendeva tanta indipendenza dall’allenatore pugliese. Il calcio è business di spettacolo, un’allegoria bellica che vale solo in Europa 20 miliardi di euro, di cui 11 concentrati nei campionati Big Five (Premier League inglese da 3 miliardi, l’italiana Serie A, la Liga di Spagna e la Bundesliga tedesca cadauna da 2, la Ligue 1 francese ed il calcio russo-ucraino da un miliardo ciascuno). Le prime squadre europee valgono 3,6 miliardi (Real Madrid, Barcellona ed i due Manchester, 500 milioni; Bayern Monaco, 400, Chelsea e Arsenal 300; Milan, Liverpool e Juve 200) quando le migliori non europee (il turco Galatasaray ed il brasiliano Corinthians) arrivano appena ai 100 milioni cadauno.

L’Uefa con il meccanismo delle Coppe europee (Champions ed Europa league) distribuisce centinaia di milioni divisi tra i premi per le vittorie ed il market pool Tv, andati nell’ultima stagione a 7 club iberici (170 milioni di cui il 56% maturato sul campo), a 7 squadre tedesche (160 di cui 61% sul campo), a 7 inglesi (153 di cui per le vittorie 46%) e a 6 squadre francesi (116 di cui il 31%). I migliori 6 club italiani hanno ricevuto dall’Europa 143 milioni. Per le vittorie solo 20, il resto per i diritti Tv e di scommesse che nell’estero soprattutto asiatico privilegiano i nostri colori. Su questa roba Tavecchio avrà ben poco da dire. A lui toccherà la cura dell’altra metà del calcio, quella dell’associazionismo che costituisce, senza clamore, un bel pezzo del terzo settore, al quale per forza di cose la politica dà e darà sempre meno. Ora è il momento dei discorsi ad ufo che significano poco sui giovani, sulle famiglie allo stadio o la lotta alla violenza. Dal vivo, è materia che riguarda qualche decina di migliaia di persone. On line e nel futuro sempre più sul web invece il calcio, ed in particolare il nostro calcio nel mondo, è importante per la punta di diamante delle grandi squadre e dei grandi campioni per le quali e per i quali l’intero paese è stato chiamato a pagare con tasse due volte, per evitarne il dissesto finanziario. Contro questa punta di diamante una parte della poliburocrazia è intervenuta per abbassare il potere che Juve e Milan evocavano. Ed è stata la stagione dei non peones, il Rossi sempre presente dalla liquidazione dell’Iri a quella della Sip, l’Abete di grazia familiare ricevuta e l’allenatore dei buoni propositi e delle campagne progresso. Dopo 6 anni, si torna alla normalità vecchia e peona con un voto antipolitico, anti magistratura, anti poteri forti. Un voto dal forte iato rispetto alla politica giovane e new age e rispetto ai poteri forti, che a forza di delocalizzare e a fregarsene della bassa società sono più irrilevanti di prima. Il maquillage esteriore del vertice non cambia la bassa società, che abbandonata dai vertici si muove per conto suo, muta e sorda a sentenze, slogan e ordini. Primo impegno, dare la panchina azzurra ad un quasi condannato. Sarà agghiacciante per Zalone ma è meglio così. A meno che non li arrestino tutti.

Giuseppe Mele | agosto 12, 2014 alle 4:31 pm | Etichette: figcpresidente figctavecchio | Categorie: Dall’Italia | URL: http://wp.me/p3RTK9-5dk

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