Inferno delle carceri nello Stato laicista e relativista

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Segnalazione di Maurizio-G. Ruggiero

CARCEREIl caso Due Palazzi a Padova, con guardie che spacciano droga e pornografia, telefonini ai camorristi ecc.

Ancora “marcio” al Due Palazzi: Pucci picchiato perché voleva uscire dal giro

Il detenuto Giovanni Pucci, che si è suicidato lo scorso 25 luglio, aveva rivelato agli inquirenti di essere stato picchiato da altri detenuti su ordine degli agenti di polizia penitenziaria.

 

L’INCHIESTA SUL DUE PALAZZI

«Pestati in carcere per tenere il segreto»

Detenuto picchiato perché voleva uscire dal giro: alla fine si era suicidato. La Procura ha aperto un fascicolo su due guardie e sei reclusi, già indagati per traffico di droga e telefonini

I fatti sono di un anno fa, ben prima che il sostituto procuratore Sergio Dini con la sua inchiesta squarciasse il velo che avvolgeva il sottobosco di spaccio e corruzione tra le celle e i corridoi del carcere Due Palazzi di Padova, dove detenuti e poliziotti conniventi avevano messo in piedi un commercio di droga, sim, telefonini e favori vari in cambio di denaro. Un giro stretto in cui era facile entrare e da cui era difficile, se non impossibile, uscire. Sono stati due i detenuti che avevano provato a lasciare il giro negli ultimi ventiquattro mesi: hanno testimoniato entrambi e uno dei due si è suicidato dopo l’interrogatorio. Avevano raccontato di essere stati convinti con la forza a non lasciare il gruppo; picchiati da due agenti di Polizia Penitenziaria e da altri detenuti spinti dalle ritorsioni e dalle minacce della polizia a mettere in un angolo le persone con cui condividevano i segreti e pestarle a sangue. Ora sono in otto a essere indagati con l’accusa di concorso in concussione: due agenti di custodia e sei detenuti, tutti già iscritti nel tronco maestro dell’inchiesta.

Nero su bianco quelle accuse le aveva messe l’interrogatorio di uno dei carcerati finito tra i trentacinque indagati dell’operazione Apache: Giovanni Pucci, 44 anni, dietro le sbarre fino al 2025 per l’omicidio di una dottoressa uccisa a colpi di cacciavite nel 1999 e usato come corriere di droga e tecnologia proibita dalla cricca, che sfruttava il suo ruolo di cameriere tra i vari piani del Due Palazzi. Giovanni Pucci però si è suicidato impiccandosi con una cintura alla finestra della sua cella il 25 luglio scorso, il giorno dopo aver vuotato il sacco di fronte al pm e aver fatto nomi e cognomi di quanti lo avevano picchiato quando si era lasciato scappare il desiderio di farla finita con quel giro.

Gli inquirenti non credono che il suicidio del 44enne, parso molto teso durante il faccia a faccia con il magistrato, sia legato ai pestaggi dal momento che non aveva mai chiesto un trasferimento di carcere per poter stare vicino alla moglie, residente nel padovano. Pensano invece che a spingerlo a compiere un gesto così estremo siano state le troppe pressioni personali e l’incubo di vedersi allontanare di parecchio la possibilità di tornare un uomo libero. Ma la testimonianza di Giovanni Pucci (sul cui suicidio non è mai stata aperta un’inchiesta se non per atti relativi alla morte, ndr) non è stata la sola che ha trasformato in certezze voci di corridoio diventate il nerbo del nuovo fascicolo aperto al quarto piano del palazzo di Giustizia. Dopo gli arresti dell’8 luglio – quando la Mobile del vicequestore Marco Calì, su ordinanza del gip Mariella Fino, aveva decapitato l’intero sistema – un altro detenuto italiano travolto dal fascicolo e dalle accuse di spaccio, ha deciso di raccontare tutto. Anche di quella volta, circa due anni fa, quando aveva detto di voler uscire dal sodalizio e di tutta risposta su ordine delle guardie era stato vittima di un raid punitivo da parte di altri detenuti.

Sia lui che Giovanni Pucci avevano fatto nomi e cognomi, gli stessi che nei giorni scorsi hanno ricevuto un nuovo avviso di garanzia per il nuovo filone di un’inchiesta tanto delicata quanto complessa. Durante questa settimana infatti sono in programmi altri interrogatori e il rischio che si allarghi l’indagine c’è. Sempre questa settimana era già fissato l’incontro tra il pm Dini e Paolo Giordano, 40 anni, una delle sei guardie del Due Palazzi arrestate l’8 luglio; un incontro che non si terrà: Paolo Giordano si è suicidato domenica 10 agosto nel proprio alloggio di servizio tagliandosi la gola con una lametta da barba. Il suo è stato il secondo suicidio a macchiare di sangue il fascicolo aperto dalla Procura padovana su quel baratto che aveva permesso ai detenuti più ricchi di avere droga, telefoni, chiavette usb a piacimento, dietro il pagamento degli agenti da parte dei parenti. E adesso a fare da scomodo appoggio anche l’ombra lunga dei pestaggi tra i corridoi dell’istituto.

 Poliziotto penitenziario si suicida a Padova: era indagato per lo spaccio di stupefacenti in carcere

 

Si è tagliato le vene del collo e delle braccia: è morto così un agente di Polizia Penitenziaria del carcere Due Palazzi di Padova. La notizia è stata diffusa dal sindacato di categoria Sappe.

L’agente, quarantenne, originario di Cassino, era agli arresti domiciliari nella sua camera nella caserma degli agenti del Due Palazzi perché coinvolto in una vasta inchiesta su un giro di droga e cellulari introdotti in carcere. Nell’inchiesta erano finite agli arresti 15 persone, tra agenti e detenuti. Un detenuto coinvolto anch’egli nell’inchiesta, si era tolto la vita impiccandosi in cella alla fine di luglio, ora una nuova disgrazia.”La notizia dell’operazione che ha portato all’arresto di 15 persone, tra cui 6 agenti di Polizia Penitenziaria, per traffici illeciti nel carcere di Padova – osserva Donato Capece del Sappe – ci sconvolse.

La responsabilità penale è personale e chi si è reso responsabile di gravi reati, una volta acquisite prove certe e inequivocabili, ne deve pagare le conseguenze. Il tragico epilogo della vicenda per uno degli agenti coinvolti, che oggi si è tolto la vita, ci inquieta ed angoscia, e ci colpisce dal punto di vista umano”.

 

 

Un capoposto del quinto piano il Poliziotto corrotto che gestiva il traffico di droga a Padova

 

Telefonini cellulari, sim card, palmari, ma anche droga, entravano nelle celle di due detenuti rinchiusi con il 416 bis. È uno degli aspetti emersi nell’indagine della squadra mobile di Padova che stamane ha arrestato 15 persone, tra cui sei agenti penitenziari, per corruzione di pubblico ufficiale e spaccio di droga.

La polizia ha accertato che ad un camorrista napoletano appartenente al clan Bocchetta e ad un affiliato al clan della ‘ndrangheta Strisuglio della Sacra Corona Unita, entrambi sottoposti a misura di massima sicurezza, erano stati portati cellulari con i quali potevano tranquillamente comunicare con l’esterno. Entrambi i detenuti sono inclusi nel numero delle persone indagate nell’inchiesta della magistratura padovana.

L’operazione della Squadra mobile di Padova, coordinata dal Servizio centrale operativo e dalla direzione centrale Servizi antidroga, è scattata all’alba a Belluno, Lecce, Matera, Napoli, Rovigo, Salerno, Torino, Trieste, Venezia, Varese, Verona, Vicenza. Le ordinanze, firmate dal gip Mariella Fino su richiesta del pm Sergio Dini, sono eseguite da oltre 100 agenti e anche delle squadre mobili delle città coinvolte. Contestualmente, con l’ausilio del reparto Prevenzione crimine di Padova, sono state eseguite 37 perquisizioni anche negli edifici della Casa di Reclusione di Padova a carico di soggetti coinvolti a vario titolo nell’indagine, che vede coinvolti altri nove agenti di Polizia Penitenziaria.

È un capoposto del quinto piano ad aver tirato le fila dei traffici nel carcere Due Palazzi di Padova il cui nome compare tra i 15 destinatari della misura cautelare. Si chiama Pietro Rega, 48, già arrestato per fatti analoghi nel 2001 dalla Direzione distrettuale Antimafia di Napoli quando lavorava nel carcere di Avellino. Gli altri poliziotti, coinvolti nell’illecito sodalizio, lo chiamavano il `grande capo´ il quale percepiva anche tramite vaglia postali i pagamenti di somme di danaro da parte di familiari e complici in cambio di consegne di stupefacente (soprattutto «fumo» ed eroina e per altri trattamenti di favore). Per gli investigatori sarebbe stato Rega a coinvolgere gli altri agenti penitenziari, ad influenzarne altri dividendo i `benefit´ in denaro incassati anche tramite Western Union con somme che variavano dai 200 agli 800 euro, a seconda dei favori fatti.

Ma, sempre secondo gli inquirenti, l’uomo avrebbe gestito con altri colleghi anche il traffico di droga all’interno del carcere, permettendo ai detenuti, soprattutto albanesi e magrebini, di svolgere parallelamente un loro micro spaccio con gli altri reclusi. L’indagine è iniziata nell’estate 2013, mentre la polizia stava intercettando dei marocchini sospettati di un traffico di droga. Dalle telefonate era emerso del particolare traffico nella casa penale. Scavando più a fondo la `mobile´ euganea ha scoperto che c’era un nutrito ed organizzato gruppo di agenti in servizio che erano dediti a fini di lucro ed in pianta stabile, in concorso con familiari ed ex detenuti, ad un sistema illecito finalizzato all’introduzione in carcere di droga (eroina, cocaina, hashish, metadone), materiale tecnologico (telefonini, schede sim, chiavette usb, palmari) ai detenuti accontentandoli per altre richieste.

Tra i presunti corruttori anche l’avvocato Michela Marangoni, 51 anni, del foro di Rovigo, che si sarebbe servita di due suoi assistiti per l’illecito commercio. In più di qualche occasione, nella collaborazione tra la Polizia di Stato e la Polizia Penitenziaria, sono state fatte perquisizioni ad hoc che hanno portato a vari sequestri, anche nelle celle di massima sicurezza.

 

 

 

 

 

 

Fonte 1: http://mattinopadova.gelocal.it/cronaca/2014/08/18/news/ancora-marcio-al-due-palazzo-pucci-picchiato-perche-voleva-uscire-dal-giro-1.9778322Il Mattino di Padova – 18 agosto 2014

 

Fonte 2: http://corrieredelveneto.corriere.it/padova/notizie/cronaca/2014/19-agosto-2014/pestati-carcere-tenere-segreto-223758913988.shtmlCorriere del Veneto – Edizione di Padova – 9 agosto 2014

Fonte 3: http://corrieredelveneto.corriere.it/verona/notizie/cronaca/2014/8-luglio-2014/spaccio-droga-corruzione-15-arresti-ci-sono-6-agenti-penitenziari-avvocato-223531229550.shtmlCorriere del Veneto – 8 luglio 2014 (aggiornato il 9 luglio 2014)

 

 

 

 

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