Segnalazione di Corrispondenza Romana
Il Tribunale per i Minorenni di Roma dà il via libera alla adozione omosessuale. Come riporta, infatti, il “Corriere della Sera” del 30 agosto 2014, una rivoluzionaria sentenza ha stabilito che «una bimba di 5 anni, che vive insieme a una coppia di donne regolarmente sposate all’estero e conviventi da circa 10 anni, potrà essere adottata dalla compagna della madre biologica. Si tratta del primo caso in Italia di «stepchild adoption», cioè l’adozione del figlio naturale o legittimo del partner, se non esista un altro genitore che lo ha riconosciuto».
La coppia gay romana, che aveva fatto nascere la bimba in un Paese europeo ricorrendo alla fecondazione eterologa, ha accolto la notizia con scontato entusiasmo, dichiarando attraverso il loro avvocato Maria Antonia Pili, presidente di Aiaf Friuli, l’Associazione italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori: «Questa è una vittoria dei bambini e di tutti quei minori che si trovano nella stessa situazione della nostra bimba. Speriamo che questa sentenza possa aiutarli. Suggeriamo alle tante altre coppie omogenitoriali di uscire allo scoperto».
Il Tribunale romano ha motivato la sua decisione appellandosi all’articolo 44 della legge sull’adozione del 4 maggio 1983, n. 184, come modificata dalla legge 149 del 2001, che prevede l’adozione in casi specifici. «Ovvero nel superiore e preminente interesse del minore a mantenere anche formalmente con l’adulto, in questo caso genitore “sociale” quel rapporto affettivo e di convivenza già positivamente consolidatosi nel tempo, a maggior ragione se nell’ambito di un nucleo familiare e indipendentemente dall’orientamento sessuale dei genitori. La norma in questione infatti non contiene alcuna discriminazione fra coppie conviventi eterosessuali o omosessuali».
La sentenza ha, immediatamente, riacceso il dibattito sui diritti “civili” per le coppie dello stesso sesso dando voce al solito stantio coro ideologico. Il senatore pd Sergio Lo Giudice ha sottolineato come «ancora una volta il Parlamento si fa dettare l’agenda dei diritti da un tribunale», ricordando come «il testo base sulle unioni civili fra persone dello stesso sesso in discussione in Commissione giustizia del Senato prevede la “stepchild adoption”». Giuseppina La Delfa, presidente di Famiglie Arcobaleno, ha puntato il dito contro lo Stato che obbliga «i cittadini omosessuali che vogliono assumersi responsabilità ad agire presso i tribunali, con dispendio di tempo e denaro e creando ulteriori discriminazioni».
La decisione dei giudici romani mette in luce, da un lato, le evidenti storture e mistificazioni degli attivistiLGBT riguardo i presunti benefici per i bambini, derivanti da tale sentenza, che egoisticamente, li priva, in realtà, di una delle due fondamentali e sacrosante figure genitoriali, condannandoli, inconcepibilmente, a crescere con due mamme o due papà.
Dall’altro lato, tale provvedimento, che si aggiunge al caso del Tribunale di Grosseto, dove ad aprile scorso è stato trascritto nei registri comunali un matrimonio tra persone dello stesso sesso contratto all’estero, e alla recente sentenza della Consulta, che ha cancellato il divieto sulla fecondazione eterologa della legge 40, dichiarandolo incostituzionale, fa sì che i verdetti ideologici dei giudici si sostituiscano ai legittimi voti delle aule parlamentari stravolgendo illegalmente l’ordinamento giuridico nazionale. Il ricorso ai tribunali sembra essere diventato il piano di azione privilegiato dei movimenti LGBT per imporre il proprio rivoluzionario programma politico. (L.G.)