Volantino Fenestrelle definitivo. Faccia A
Volantino Fenestrelle definitivo. Faccia B di Maurizio-G. Ruggiero
Sotto, il resoconto (in parte sunteggiato e in parte trascritto alla lettera) della conferenza negazionista o riduzionista su Fenestrelle e comunque filo-risorgimentale, tenuta da Alessandro Barbero nella città scaligera il 19 novembre scorso, con attacchi a noi tradizionalisti e antirisorgimentali di Verona, che volantinavamo contro nell’occasione, nonché a Del Boca, Aprile, Agnoli, Izzo, L’Alfiere, neoborbonici, Comitati Due Sicilie ecc.
A tutti coloro che ricevono questa mail sarà inviato con we transfer anche il file audio della conferenza che, opportunamente, ci eravamo premuniti di registrare in streaming, pur non sospettando minimamente che relatore, presentatori e pubblico si sarebbero nascosti agli occhi e alle orecchie profane dei non compagni.
Sotto anche l’articolo di regime che il fogliaccio areniano, nato nel 1866 dalla loggia Arena, all’indomani della piemontesizzazione di Verona e del Veneto, ha dedicato alla conferenza, incaricando di scriverlo (per essere più obiettivi) colui che ha organizzato la comparsata di Barbero in città.
In allegato, ancora, il nostro comunicato stampa, che riporta il contegno di organizzatori e conferenziere, barricatisi in sala per non interloquire con alcuno e il testo del volantino diffuso nell’occasione, che tanto ha intimidito risorgimentali e resistenziali, distribuito presente anche l’amico Vincenzo Tortorella dei Comitati delle Due Sicilie.
I resistenziali, tutti vegliardi, si sono altresì impegnati in un sobrio parallelo, stante il loro odio (parallelo al quale Barbero, più sottile e più furbo, non ha abboccato e si è invece sottratto) fra negazionismo olocaustico e difensori della memoria dei soldati borbonici deportati e periti al Nord dal 1860 in avanti. Ovvero avventuratisi, da degni eredi dei partigiani, in una rozza equiparazione fra i sostenitori dei Borboni e dell’Europa di ancien Régime, coi nazisti del XX secolo.
Viva l’Italia libera nei suoi antichi Stati tradizionali e cattolici, finalmente restaurati! Un cordiale saluto a tutti,
Conferenza di Alessandro Barbero alla Società Letteraria
di Verona di presentazione del suo libro:
I prigionieri dei Savoia.
La vera storia della congiura di Fenestrelle
Mercoledì 19 novembre 2014, ore 17 – Società Letteraria di Verona
Presentazione
Saluto (che manca nella registrazione) di Daniela Brunelli, Presidente della Società Letteraria di Verona, direttrice della Biblioteca Universitaria A. Frinzi di Verona, con un ruolo quindi ch’è da personale tecnico-amministrativo
Daniela Brunelli
INTRODUZIONE E PRIMI ATTACCHI ALLE PERSONE
Chi parla è Stefano Biguzzi (dal minuto 0.01 allo 03.07):, che appare come storico e giornalista de L’Arena e ch’è Presidente dell’Istituto veronese per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea. Costui, che ha pubblicato dei libri su Cesare Battisti e sul fascismo, qui dice, sintetizzando:
Stefano Biguzzi
– che nel 2015 vi sarà l’anniversario di Waterloo; lui Barbero vuole “invitarlo l’anno prossimo, se avrà voglia, sono duecento anni da Waterloo, la battaglia, ricordo, è stata persa da Napoleone; quindi quelli dei volantini saranno contenti [vero!]; perché Napoleone è stato sconfitto e l’Europa è tornata sotto una meravigliosa cappa di lumi, no? quelli della Restaurazione, quando è trionfata la libertà e l’illuminismo in tutta Europa, ecco; speriamo di averlo [Barbero] anche l’anno prossimo per i 200 anni di Waterloo”;
– che fra due anni sarà il 150° dell’annessione del Veneto all’Italia [che bellezza! per questo soffiano i venti indipendentisti sui territori della Serenissima] mentre nel 2015 sarà la volta della Restaurazione post Congresso di Vienna, oltre al ciclo della Grande Guerra (1914-18);
– che si dev’essere contro l’uso politico della storia [da che pulpito!];
– che il volume di Barbero è un “saggio straordinario di contro-revisionismo”;
– che si è diffuso un relativismo idiota, che fa sì che si neghi Auschwitz [in sostanza il messaggio è che non bisogna revocare in dubbio i falsi dogmi rivoluzionari, quali che siano];
– che consiglia il libro in vendita e che, per fortuna, c’è Rai Storia, dove parla Barbero [sic! si dovrebbe organizzare una pubblica petizione e proteste per farlo cacciare da lì, questo sì, è ciò che Barbero teme];
– che vi è una leggenda nera sorta su Fenestrelle e la galleria degli orrori è questa: Aprile, Del Boca [sicuramente intende Lorenzo Del Boca], “non il Del Boca storico, ma il Del Boca giornalista, ch’è stato, fra l’altro, questo la dice lunga sulla stampa in Italia, anche Presidente dell’Ordine dei giornalisti, un mistificatore di storia sul Risorgimento, sulla Grande Guerra, a livelli pantagruelici” (sic!);
– che si è trattato di una favola, che questi sono i dati, ma la gente legge i libri di storia volendo le favole e non sa perciò quanto sarà interessata al libro di Barbero.
[Interessante ammissione, questa, del fallimento della pseudostoria giacobina, priva di ogni afflato soprannaturale ed eroico e che non attira perciò nessuno; singolare poi che la critica venga da chi ha fatto dei miti rivoluzionari (Bastiglia, assalto al Palazzo d’Inverno dello Zar, Risorgimento, 8 marzo, San Francesco pacifista ed ecumenista, Resistenza, Concilio Vaticano II, ’68 e rivoluzione culturale maoista, teoria del gender ecc.) o delle leggende nere, fabbricate ad arte (Crociate, Medioevo, Conquistadores, Gesuiti, Inquisizione, Giordano Bruno, Galileo, Insorgenti e Sanfedisti, Austria imperiale, Restaurazione, legittimismo e destre reazionarie europee) la colonna portante di tutta la propria propaganda mistificatoria a un livello senza eguali].
LA CONFERENZA DI ALESSANDRO BARBERO
Alessandro Barbero, Ordinario di Storia Medievale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”, a Vercelli, Università che insiste sulle province di Alessandria, Novara e Vercelli, appunto.
Barbero (dal minuto 3.15 allo 01.03.06):
– cos’è successo ai 100mila soldati duo siciliani? intanto si resta sbalorditi dalle cose [buone] fatte dai sabaudi allora, in poche settimane, tanto che ci sarebbe da imparare molto per l’oggi: rifatte le Province e mille altre cose ancora;
– perché ha scritto il libro e studiato l’argomento? perché nel 2011 ha visto a Torino una mostra e lì un registro di atti processuali del 1862 della Corte d’Assise di Torino, che condannava alcuni soldati meridionali a Fenestrelle, i quali vi avevano costituito un racket camorrista che imponeva la tangente sul gioco d’azzardo; così in quegli anni la camorra, già problema di alcuni settori napoletani e dell’esercito duosiciliano, diviene problema italiano;
– avendo Barbero raccontato questi fatti in televisione, ne riceve moltissimi e violentissimi insulti, perché Fenestrelle sarebbe stata come Auschwitz un “lager”, cosa di cui egli mai aveva sentito parlare prima; ha risposto a chi lo insultava e, naturalmente, questi erano disinformati in buona fede, che avevano fatto un copia-incolla dai siti neoborbonici;
– circola dagli anni ’90 “questa narrazione”, secondo cui dal 1860 al 1861 decine di migliaia di soldati napoletani furono deportati al Nord e qui volutamente sterminati, specie a Fenestrelle;
– noi storici, confessa Barbero, quando facciamo ricerche, abbiamo già un’idea preconcetta e lui trovava fin d’allora “strabiliante e difficilmente credibile” una cosa del genere, perché l’Italia era parlamentare, c’era un Parlamento [quello della legge Pica e delle canaglie liberali, ma figuriamoci!] e vi sedevano anche deputati meridionali, dunque non sarebbe potuto avvenire uno sterminio, per di più nel totale segreto;
– migliaia, 40mila, centomila italiani fatti sparire segretamente? Quell’Italia era un Paese libero, pieno di giornali pagati dal Governo e anche di opposizione che criticavano tutto, tant’è vero che il brigantaggio e la pesantissima repressione vi trovavano spazio, come pure in Parlamento; c’era, per di più, una Chiesa ostile e onnipresente con le sue strutture, molto vicina ai Borboni, presente ovunque coi suoi parroci; essa aveva allora il totale controllo sulla morte e sullo stato civile, dunque, come non venire a sapere di tutto questo?;
– Barbero è andato allora in archivio a cercare documenti, trovando infinite scartoffie; se si volesse, si potrebbero ritrovare i soldati napoletani uno ad uno, attraverso lettere, libri matricolari dei Reggimenti ecc.;
– in seguito sorgerà la narrazione dello sterminio, cui è dedicato l’ultimo capitolo del suo libro;
– il Risorgimento è una pagina straordinaria di storia, ma contraddittoria; Garibaldi aveva mandato tutti i nemici a casa, non preoccupandosi di far prigionieri; lo fa però al Volturno, dove i borbonici combattono determinati, e lì fa 2.500 prigionieri; non ha ancora capito chi sono i camorristi e se sia utile parlare con loro; decide d’imbarcare i primi 1.200 prigionieri per Genova, chiedendo a Vittorio Emanuele, se vorrà, di arruolarli;
– dichiara che l’esercito del Granduca di Toscana e del Duca di Modena sono confluiti pacificamente e spontaneamente in quello sardo e, ora, italiano [e la Brigata Estense, espatriata con Francesco V, Duca di Modena? Nulla];
– quando si scopre che i soldati borbonici non vogliono arruolarsi, il Ministero della Guerra ordina: arruolate solo i volontari; gli altri, non essendo sudditi nostri, non lo possono essere, bensì prigionieri di guerra, per ora; tanto non appena fatto il plebiscito, diverranno sudditi e allora sarà un’altra cosa;
– ai primi di novembre del 1860, dopo la resa di Capua, vi sono altri 10mila prigionieri, che Garibaldi vorrebbe mandare al Nord, ma così non fa; alla fine sono circa 8mila i prigionieri napoletani che vengono spediti al Nord, con difficoltà logistiche molto grosse, perché non è stato ancora inventato il filo spinato (lo sarà negli anni ’60 dell’800 negli Usa, per impedire alle vacche di uscire dai recinti); dunque un campo di baracche, senza filo spinato, non si può fare; e perciò i borbonici vanno messi in qualche grossissimo edificio (dunque Fenestrelle, in 1.200; Milano, Castello Sforzesco, già caserma, in 2mila; Alessandria, in 2mila; Bergamo, in mille); poi nelle caserme; altri 8-10mila prigionieri restano al Sud, in campi di baracche e comandati da ufficiali borbonici collaborazionisti, ma (senza filo spinato) il 10% di loro evade; altri li mandano in licenza a casa e molti non tornano;
– Lamarmora vorrebbe far partecipare i prigionieri alle esercitazioni militari, ma il Ministero della Guerra nega; essendo prigionieri di guerra, per ora non si può far niente; dopo il plebiscito sarà tutto diverso;
– la storia di Fenestrelle ha diverse fasi: la prima è quella di prigionieri di guerra (1.200 di Capua, poi condotti a Napoli); i quali credevano che sarebbero stati mandati a casa, così almeno era stato fatto credere dai loro Generali; poi a Genova; poi in treno a Pinerolo; poi, marciando di notte per 30 chilometri a piedi, arrivano sino a Fenestrelle, mille metri di dislivello, dove arrivano in condizioni disastrose, tanto che il Comandante del forte se ne lamenta col Ministero, denunziando anche l’assenza di un elenco in mano a chi comandava la scorta); Barbero sottolinea che il Ministero chiede al Comandante di Fenestrelle di usare ai prigionieri i riguardi possibili, affinché [fariseismo sabaudo] “la rigidezza del freddo di codesto clima non riesca perniciosa alla salute di gente, abituata alla mitezza dei climi meridionali”; un soldato va subito in ospedale e muore già in quella prima notte, Leonardo Valente il suo nome; così da 1.198 passano a 1.197; anziché sterminati e sciolti nell’acido, ci sono cinque registri che permettono di seguirne la sorte e ogni giorno si segna, se capita qualcosa a uno di loro [Barbero si fida ciecamente delle fonti risorgimentali piemontesi]; cinque muoiono in quelle settimane e si trovano sui registri militari, su quelli dell’ospedale e su quelli della parrocchia; moltissimi sono malati; molte decine sono sifilitici, da mandare a Torino in ospedale; altri malati agli occhi, e molte decine lo sono; un Sergente si arruola volontario fra i piemontesi e i prigionieri di guerra calano così a 1.196; poi vi sono altri registri, di cui non si ricorda;
seconda fase: invio di tutti i soldati meridionali nelle caserme, perché è vicino il momento [dopo i plebisciti-truffa] in cui saranno arruolati; i borbonici volevano tornare a casa; scoppia la ribellione a Milano, perché non vogliono essere tradotti a Brescia in caserma, si chiudono in camerata e non vogliono uscire; allora arrivano i carabinieri, che si feriscono con la loro stessa baionetta, andandoci invece giù pesanti, poi li portano alla stazione; la percentuale di volontari che si arruolano fra i sabaudi è minima (1-2%); Barbero cita lo scapigliato Cleto Arrighi, che va a trovare in caserma, a Milano, i soldati meridionali e non (“ci viene avanti un calabrese, bruno come un beduino”) gli chiedono del tabacco da fumare e lui li invita, vedendo le loro divise lacere, ad arruolarsi, così avrebbero divise nuove, tabacco, soldo e uno gli risponde: “Non posso, io ho già giurato al mio Re, e c’è un solo Dio e un solo Re”; frase spesso ripresa in pubblicazioni revisioniste e neoborboniche; meno ripresa la frase seguente: “Quando il mio Re non sarà più a Gaeta e si sarà arreso, sarà tutta un’altra cosa. Colpa sua, se non ha saputo vincere. Ma, fino ad allora, io voglio restare fedele al mio giuramento”; il giornalista riflette sul loro essere prigionieri di guerra, senza esserlo;
– alla fine del 1860, dopo i plebisciti [che Barbero sembra considerare seri e validi, evidentemente] questo soldati sono sudditi italiani e non più prigionieri di guerra; che fare di loro?; la scelta obbligata per il Governo sabaudo è arruolarli: ciò vale per truppa e sottufficiali, poiché gli ufficiali fanno invece ciò che vogliono e tornano a casa con la spada; truppa borbonica composta da coscritti di leva (che dura a lungo, 8 anni, affinché siano ben addestrati, dopo il sorteggio presso il Sindaco, per esempio di 2 su 50 giovani) e in minor misura composto da volontari; nel nuovo Stato unitario, come si pagano pensioni, debito pubblico ecc. degli Stati preunitari così debbono vigere gli stessi diritti e doveri, ergo i soldati devono terminare gli anni di leva che mancano loro nell’esercito sabaudo, anche perché i militari vogliono un grande esercito, quello dell’Italia unita, da grande Potenza, anche per il timore che l’Austria li avrebbe attaccati; tuttavia ai napoletani si riserva un favore, perché l’immagine dell’esercito napoletano (a torto, perché al Volturno quell’esercito aveva combattuto, eccome!) era per metà quella di un Pulcinella e per metà quella di sbirri del tiranno, secondo il linguaggio dei liberali del tempo, per i quali i Borboni erano il peggio che si potesse immaginare; i deputati meridionali erano per prendere tutti i soldati (Poerio almeno 150mila ne voleva, pena il disonore perpetuo, quando gli stessi Borbone ne avevano solo 100mila); altri parlamentari del Sud dicono invece: ma cosa ci rimandate a casa questa gente, che sono gli sgherri del tiranno? Teneteli nell’esercito!
– Cavour infine decide: rimandarne a casa metà, i più anziani, col patto che non disturbino e sia pure provvisoriamente e perciò sempre richiamabili, se daranno fastidio; e tenere invece nell’esercito i più giovani; dunque al Nord ci sono 16 classi sotto le armi (8 di leva e 8 più vecchi, i richiamati) e 4 sole classi invece al Sud, tanto che i Comandi militari si preoccupano delle proteste dell’opinione pubblica al Nord; Cavour s’illude che questo sia un gesto conciliante, di clemenza; ma i giovani napoletani obbligati a restare sono comunque la maggioranza; costoro non sono contenti (disertano il 10% ed è tanto); si lamentano del rancio e che si vive male; gli altri saranno congedati dopo 8 anni;
– siccome si è stabilito che le ultime 4 classi dell’esercito napoletano debbano servire per finire la loro leva sotto i Savoia, questo vale per tutti e, quindi, cominciano i bandi di arruolamento: tutti dovranno presentarsi in municipio entro la fine del gennaio 1861; ne arrivano 2-3 mila, ma ne mancano 70mila; si proroga il proclama e si dà un nuovo termine per giugno; ma intanto c’è il brigantaggio e moltissimi, sapendo di doversi arruolare, rafforzano le bande di resistenti; anche perché nei loro paesi c’è difficoltà a restare, essendosi tutti fatti liberali, preti e parenti inclusi (cita qui il diario pubblicato dal revisionista Fulvio Izzo); alcuni vengono sputati, perché hanno la divisa borbonica; molti vanno dal Re Francesco a Roma, che dà loro un sussidio e li aggrega alle bande d’Insorgenti; le Guardie Nazionali sono in mano alle fazioni del paese e agli ordini del Governo liberale e rastrellano i renitenti alla leva;
– così, per tutto il 1861, continua l’afflusso di ex-soldati napoletani, non più prigionieri di guerra, ma sudditi italiani che debbono finire il servizio di leva e che sono portati al Nord, dove si usa un campo di addestramento a San Maurizio Canavese per far passare costoro; si riscontrano errori di persona, omonimi, ma non sono creduti; ma la stragrande maggioranza si rassegna, si mette la divisa italiana; e, se può, diserta;
– terza fase a Fenestrelle, che è il luogo del mito: arrivano altri uomini nel 1861; cosa c’è di vero, allora, nello sterminio di Fenestrelle? Vi è il reparto dei Cacciatori Franchi, reparto di punizione dell’Esercito Italiano, dove perciò sono confinati soldati regolarmente armati e pagati che, pur se non hanno commesso reati, sono cattivi soggetti e stanno a 1.300 metri di altezza, nella fortezza di Fenestrelle, nel posto più scomodo del Regno, sottoposti a una disciplina particolarmente rigida e a punizioni doppie, rispetto a quelle degli altri reparti; nei Cacciatori Franchi vi sono soldati di tutte le provenienze e, dal 1861, anche meridionali, mandati in punizione a Fenestrelle o per reati veri e propri (che avevano già scontato in carcere) dopo essere tornati al reparto, anche perché l’anno trascorso in carcere non contava ai fini dell’adempimento della leva; si scopre così essere un mondo di marginali e di sbandati, quello dei soldati [mah!]; si derubano in camerata l’un l’altro fra di loro; rubano nei negozi; i disertori riacciuffati, sono rimandati a Fenestrelle; vi sono poi gli omosessuali; i detenuti politici, come un ex-tipografo di Firenze, lì perché mazziniano, quindi terrorista per il Governo; e poi tanti scontenti dell’Italia unita, lombardi prima che meridionali, ad esempio 20 milanesi, soldati di Francesco Giuseppe, che rifiutano il servizio militare, perché soldati dell’Imperatore d’Austria, trovati a gridare per la strada “Viva Francesco Giuseppe, Re d’Italia!”; poi un caporale piemontese che aveva suscitato sedizione contro i lombardi; poi soldati napoletani lì per furto, per diserzione o perché sposatisi senza il permesso o che avevano abbandonato colei che avevano promesso di sposare; poi i napoletani puniti, perché al Caffè avevano dichiarato, magari dopo aver bevuto un po’, che si stava meglio con Francesco II; quelli che scrivono a casa (e i Superiori ne leggono le lettere) “per offese contro l’Augusta Maestà del Re, nostro Sovrano, per offese contro il Governo, contro l’Esercito, contro li suoi Superiori”; altri che vengono arrestati come camorristi.
LE DOMANDE E GLI ALTRI ATTACCHI ALLE PERSONE
Biguzzi (dal minuto 1.03.21 all’1.04.34):Elogia questa conferenza straordinaria; vuol entrare nella carne viva dell’aspetto storiografico; chiede che parallelo vi sia fra negazionismo della shoah e Fenestrelle e se l’operazione imbastita sulla seconda sia speculare a quella dei negazionisti della shoah; ne parlavano fra di loro prima e gli ambienti sono tragicamente contigui; infatti è curioso cioè che “molti antirisorgimentali o neoborbonici o queste figure così pre-Rivoluzione francese sono gli stessi ambienti presso cui circola, soprattutto in rete, tutta una sorta di leggenda nera negazionista riferita all’olocausto”; chiede le modalità con cui si costruisce la favola nera di Fenestrelle, la sparizione nell’acido, nella calce viva, i numeri, le decine di migliaia, ecco …
Barbero (dal minuto 1.04.34 all’1.12.38): “Sì questo fatto della contiguità fa un po’ impressione, non è forse strutturale, però capita spesso a chi parla appunto di questa tragedia, di questo sterminio, di dire, di farsi scappare cose del tipo: «In confronto quello che han fatto agli ebrei non era niente». Come nasce [la favola] è una storia abbastanza sconvolgente e la chiave è l’uso del linguaggio, delle parole, parole che producono una realtà; “all’inizio di tutto e siamo a metà degli anni ’90, c’è da parte di studiosi, vicini appunto a questi movimenti neoborbonici, che quindi pubblicano … c’è una rivista a Napoli che si chiama L’Alfiere, tutta dedicata a pubblicazioni appunto sulla gloria del Regno delle Due Sicilie. E, per carità, devo dire che, essendo un Regno glorioso il Regno delle Due Sicilie, ce ne sarebbe da parlare della gloria del Regno di Napoli. Però qui ogni tanto, appunto, lo sforzo è piuttosto di attaccare poi l’Italia unita e il Risorgimento. È quell’ambiente che ha alimentato, lo sappiamo tutti, per tanti anni, no? Il libro nero del Risorgimento, I Crimini dei Savoia e così via …
Allora, a metà degli anni ’90, alcuni ricercatori, che si muovono in questo ambiente, scoprono l’argomento di cui vi ho parlato stasera, cioè scoprono che migliaia di soldati napoletani sono stati fatti prigionieri e portati al Nord. E cominciano a pubblicare i primi articoli. Lo scoprono, in realtà, perché hanno letto appunto magari qualche lettera di Cavour o del Ministro Fanti, che parlava di questo problema o qualche articolo di giornale dell’epoca. In particolare c’è un articolo che ha una funzione basilare in questo, lei l’ha citato prima e mi fermo su questo: c’è un articolo di La Civiltà Cattolica, giornale dei Gesuiti, all’epoca schieratissimo e disposto a dire qualunque cosa, pur di criticare i Savoia, i liberali e l’Italia unita a un livello veramente immondo, devo dire. Siccome, appunto, i giornali sanno tutto quello che succede, e si sa che questi prigionieri napoletani sono stati portati al Nord, un bel giorno La Civiltà Cattolica pubblica un articolo, dove dice: «Pensate questi poveretti che, per fedeltà al loro Re, vengono trascinati lontano dalla loro Patria, al freddo, al gelo, chissà come soffriranno, chissà in che condizioni vivono». Questo è l’articolo de La Civiltà Cattolica, che è, vorrei esser chiaro, l’unico appiglio in fonti dell’epoca da cui poi nasce tutto il discorso sterminio e così via. Nel senso, qui è importante veramente essere chiari, all’epoca assolutamente nessuno, neanche i Gesuiti e neanche il Re Francesco si è mai sognato di dire anche solo lontanamente che si stesse sterminando questa gente. [Beh, se non lo sapevano, per forza!]
Però i Gesuiti attirano l’attenzione sul fatto ch’è una brutta cosa che questi poveri giovani vengano trasportati così lontano da casa e non sanno a cosa vanno incontro. Anche il Re Francesco interviene da Gaeta, dove pubblica un giornale, fa pubblicare un articolo … parte dalla premessa: «Hanno preso prigionieri i miei soldati e li vogliono obbligare ad arruolarsi nel loro esercito: è illegale, è contro il diritto delle genti». E ha perfettamente ragione! Salvo che (come abbiamo visto) se ne sono resi conto in extremis anche a Torino e non li stanno obbligando per l’appunto, finché sono prigionieri di guerra. Questo è lo stato della questione nei giornali dell’epoca.
Negli anni ’90, qualcuno se ne accorge e cominciano a uscire articoli che parlano appunto dei prigionieri napoletani portati al Nord, dei campi di concentramento per meridionali. Ora voi capite che già tra il discorso prigionieri di guerra e il discorso campi di concentramento per meridionali, si crea una certa deriva, diciamo così.
Poi a un certo punto esce un libro, di Fulvio Izzo, ch’è molto fazioso, ma è uno studioso ch’è andato comunque in archivio; ha visto tante cose; non parla veramente di sterminio; lascia dire, lascia intendere: chissà quanti di loro saranno riusciti a tornare a casa, chissà, chissà, chissà; dipinge in toni molto cupi questa situazione e però il suo libro s’intitola I lager dei Savoia.
Allora, già da campo di concentramento a lager, nella nostra lingua, c’è comunque uno slittamento, no?, evidente. E il libro di Izzo ha come prefazione, una prefazione di un magistrato, in servizio, il giudice Agnoli, autore di un nuovo libro recentissimo citato nel volantino che distribuivano fuori, se volete poi prendervi il piacere di guardarlo, dove, nella prefazione al libro I lager dei Savoia, il giudice Agnoli dice: «Finalmente si riscopre questa storia, prototipo dei tutti gli orrori del ’900. Lì a Fenestrelle comincia una storia, che porterà ad Auschwitz e a Pol-Pot». [Ilarità nel pubblico]. E a questo punto è finita.
Perché nel momento in cui si è affermato il concetto che ci sono, non solo i campi di concentramento, ma la deportazione nei lager e che pochi di loro saranno riusciti tornare a casa, il gioco è fatto. Un’infinità di persone si convincono ch’è così.
Dopo di che la cosa, che io seguo fino a un certo punto, perché io quello che posso seguire è attraverso la carta stampata, vedere come giornalisti di pochi scrupoli afferrano questo concetto e ci ricamano sopra. Perché, se stai scrivendo un libro, che sai già che venderà un sacco di copie, che s’intitola appunto Gli orrori del Risorgimento, e vuoi non metterci anche quello? In questi libri ci sono le cose più folli: confusioni di luoghi, di posti, di date, invenzioni totali, e tuttavia questa cosa penetra, al punto che anche un grande storico come Angelo [o intende Lorenzo?] Del Boca, avendola sentita, gli viene da ripeterla. [Barbero qui parla bene di Del Boca, si tratti di Angelo o di Lorenzo, che critica nei fatti, non perché ne abbia stima, ma per tenerselo in bonis, in quanto firma di prestigio dell’Ordine dei giornalisti del suo Piemonte].
Più difficile per me è capire (perché qui si tratta di una questione della psicologia umana) da dove vengono fuori invece quelli che credono di sapere che sono 40mila quelli uccisi a Fenestrelle e fatti sparire nel nulla. Da dove venga fuori l’idea che li fanno sparire nell’acido, e beh, è chiaro, perché nella storia italiana quasi recente abbiamo questa idea, no? dei corpi fatti sparire nell’acido. Lì, anziché l’acido è la calce viva, ma insomma è una cosa del nostro immaginario, quella. E poi, niente. C’è gente di fede, evidentemente. Io penso che anche i primi cristiani, quando scrivevano dei Martiri, si lasciassero ogni tanto prendere la mano. E qui ci si lascia prendere la mano e c’è gente che immagina e crede a quello che ha immaginato: le fucilazioni, le punizioni, le torture.
C’è, a un certo punto, una vicenda a Fenestrelle, che dà il sottotitolo al mio libro, anche se non ne ho parlato, la congiura di Fenestrelle, in cui a un certo punto dieci di questi meridionali, soldati italiani in punizione a Fenestrelle, vengono arrestati, accusati di una cospirazione. E in rete si legge della loro fine tragica, tutti fucilati, le punizioni spaventose … e così via. In archivio c’è tutto, i verbali del processo, e tutto quanto, tutti assolti per non aver commesso il fatto, tutti rimandati al reparto. E così via.
E lì io mi fermo, perché come faccia la gente a inventare le cose e a convincersene e crederci, va al di là della mia comprensione, però è un fenomeno umano, evidentemente ben presente, ecco”.
Signora del pubblico (dal minuto 1.12.50 all’1.13.12): Chiede se l’uso dei numeri sia credibile o no.
Barbero (dal minuto 1.12.50 all’1.13.12): Risponde ch’è una cosa interessante della nostro psicologia collettiva quella dei numeri, un’illusione della nostra epoca. Riferisce [autoreferenzialmente] che quando va in onda un suo documentario, dalla Rai gli scrivono, dicendo ch’è stato visto da 732mila persone, ma non è mica vero! Non possono saperlo. Tutt’al più hanno qualche sondaggio.
Barbero dice di essere rimasto scioccatissimo, di recente, scoprendo come fanno a calcolare la percentuale di disoccupazione, comunicata ogni 3 mesi e sulla cui base sono impostate le politiche governative. Lui credeva che li sapessero, i numeri; ma, dopo aver letto un dotto articolo su di una rivista americana, dove si svelava che le cifre sulla disoccupazione negli ultimi anni sono meno attendibili di prima, perché la gente tende a non essere più così sincera quando risponde ai sondaggi, ha capito. Ai sondaggi? Quindi le cifre sulla disoccupazione le sanno, facendo dei sondaggi telefonici. Dopo di che dovremmo forse invece rassegnarci che non è vero che si possano sapere queste cose con tanta precisione.
I numeri? È come i miei cronisti medievali, i quali dicevano: «L’Imperatore è entrato in Italia con un grande esercito, centomila cavalieri!». Tu lo sai ch’è una cifra buttata lì, perché i numeri servono a fare impressione, ecco, no?. “Quindi i numeri vengono introdotti, perché danno un’illusione di verità. Credo. Poi vai a vedere, e scopri che i numeri sono immaginari. Adesso nei casi che le ho citato, se non altro dietro c’è un calcolo, un sondaggio; nel caso di Fenestrelle è il nulla totale, tant’è vero che, appunto, da un sito all’altro la cifra rimpalla: migliaia, decine di miglia, quarantamila, centomila. E se tu chiedessi a uno qualunque come fa a saperlo, probabilmente scopriresti che per lui non è quello il problema. Lo sa e basta. Ma l’idea che una cosa devi essere consapevole di come fai a saperla, ecco, quello non fa più tanto parte, temo, della nostra mentalità, oggi».
Pozzani Silvio, mazziniano (dal minuto 1.15.51 all’1.18.52): “Io volevo chiedere al professore una delucidazione. Assistiamo a questa diffusione di bufale, di balle, diciamolo apertamente. E lei ha avuto la riprova poi, non solo, appunto, studiando e chiarendo la cosa, ma anche ricevendo gl’insulti. Lei ha potuto difendersi, qualcun altro che, ahimé!, è morto, come Giuseppe Garibaldi, per esempio, che in tutto il mondo è onorato, in Italia ha preso un carico d’insulti nel 2007 … Guardi, anch’io nel mio piccolo, che mi diletto di storia, non sono chiaramente un docente, uno storico come lei, ma nel 2005, che mi sono azzardato a parlare di Mazzini, a Villafranca, son venuti degli amici che c’erano sotto [vuol dire che anche a Villafranca c’erano dabbasso sempre quei cattivoni dei cattolici tradizionalisti, che anche adesso stanno volantinando contro di loro, qui sotto, innanzi alla napoleonica e giacobina Società Letteraria di Verona],con dei volantini, che Mazzini era un tale terrorista …”. Lamenta poi di essere stato vox clamantis in deserto [latino dubbio quello del testo orale] in ordine al fatto che il più diffuso libro di storia in uso nella scuola media scriveva ”mazziniani contro i contadini”, con riferimento alla repressione di Bronte da parte di Bixio, dove i fucilati furono cinque. E denuncia che questo è avvenuto nell’acquiescenza, ignoranza e tolleranza generale, sia di parte cattolica che marxista. Nessuno ha protestato. “Come si può fare, questa è la mia domanda, per reagire a un tipo di disinformazione di questo tipo? Perché tenete presente che nessuno sa niente e quindi quelli che risultano dare informazione sono appunto questi qua, i neoborbonici. La storiografia sana, fra virgolette, come reagisce, cosa fa? Io mi sono posto sempre il dramma di comunicare a un pubblico più vasto. Oggi a nessuno più importa niente dei giovani, però c’è chi vuol sapere, conoscere …”. [Hanno voluto l’indiscriminata libertà di stampa, bandiera di tutti i liberali e di tutti i relativisti, e ora se ne lamentano, quando si ritorce contro di loro. La libertà dei liberali è sempre e solo per il male].
Barbero (dal minuto 1.18.55 all’1.23.53): Dichiara che in Italia la conoscenza concreta e dettagliata dei fatti del Risorgimento è infima, come pure del fascismo, della Resistenza, della Repubblica di Salò, ma ci si scanna su questi argomenti, si scatenano delle polemiche. “Nessuno sa niente e, quindi, il primo giornalista che ha voglia di far soldi [qui c’è l’invidia] può pubblicare libri in cui, come dire?, ricucina cose che gli storici sanno benissimo, che la brava gente non sa, perché non va a leggere i libri degli storici, che sono difficili; e però il libro del giornalista, che ti parla invece de Il sangue dei vinti [di Giampaolo Pansa] o così via,quello di corsa lo si va a leggere: «Ah, vedi? Cosa ci hanno nascosto!». Naturalmente non è vero niente!
Però questo è anche un difetto del pubblico, mi permetto di dirlo, che abbocca facilmente, così com’è difetto sicuramente degli specialisti, che faticano a volte, no! faticano sempre, a comunicare la loro scienza e la loro specialità a chi ne sa poco. E quello è un problema che c’è ed è una contraddizione che c’è. Però, al di là del fatto che gli specialisti dovrebbero riuscire a comunicare di più e il pubblico [dovrebbe]essere un pochino meno di bocca buona però, rimane il fatto del perché, in questo Paese, noi dobbiamo, sul passato, scannarci in questo modo.
Noi siamo un Paese di una faziosità spaventosa, da sempre. Non dimentichiamo mai niente, dicevo. A me è capitato di trovarmi a Benevento, quindi nel Sannio e sentir parlare con entusiasmo delle forche caudine in cui i Sanniti hanno sconfitto i Romani e, se vai a Siena, ti parlano con entusiasmo della battaglia di Montaperti; e, fin lì, va ancora bene, è folclore. Ma quando si arriva al Risorgimento o alla Resistenza, lì non è più folclore, lì è proprio questo Paese spaccato, che non riesce a ritrovare una storia comune”.
Fa quindi un parallelo con gli Stati Uniti, dove la guerra civile avvenne negli stessi anni del Risorgimento italiano fra Nordisti e Sudisti, con Lincoln; da loro le librerie sono strapiene di libri sulla guerra civile, un’infinità; hanno un pubblico enorme; tutti i campi di battaglia della guerra civile sono tenuti benissimo e visitati da orde di turisti; tutti i loro eroi della guerra civile, da una parte e dall’altra, sono conosciutissimi; “quella guerra civile [americana] è stata una guerra civile spaventosa, che ha fatto 600mila morti, cento volte di più che il nostro Risorgimento; e tuttora lascia delle passioni, perché nel Sud degli Stati Uniti comunque le bandiere sudiste le vedi ancora dappertutto; però un uomo pubblico, un politico, un giornalista americano, che cercasse di fare scandalo, dicendo «Voi del Nord, Voi del Sud», mistificando su quelle vicende là, sarebbe preso a calci nel sedere. Non avrebbe nessun successo, nessuno si sognerebbe in America di usare quel passato, su cui si sono ritrovati. Si sono ritrovati, dicendo: a loro modo ognuno ci credeva, è andata bene così. Loro li rispettiamo tutti, li ammiriamo tutti, però è andata bene così, dopo tutto, che abbiano vinto i Nordisti, che abbia vinto Lincoln.
[Qui Barbero, chiaramente filo-nordista, non la racconta giusta; negli Stati del Sud vorrebbero il ritorno dei Confederati, eccome!, ancor oggi: cfr. https://www.youtube.com/watch?v=YAfHigPsC_s; e, se taluno si è rassegnato e ha accettato la vittoria nordista, è perché è capitolato allo spirito liberale].
È una grande pagina della nostra storia e ci accomuna tutti; mentre noi le grandi pagine della nostra storia continuiamo a usarle per dividerci tutti, ecco […].
[Facile la risposta. Anzitutto in Italia vige il Munizipalgeist, lo spirito comunale, come diceva Metternich. In secondo luogo la storia della Rivoluzione francese, del Risorgimento, della Resistenza e del XX secolo sono troppo infami, per non generare reazioni e indignazione ancor oggi, tanto più che sono tuttora al potere gli epigoni di quelle usurpazioni. In terzo luogo in Italia e in Europa (si pensi alla Francia) il peso della Tradizione è troppo forte; quindi ci si divide sul Medioevo, sulla Rivoluzione francese, sul Risorgimento, sulla Resistenza ecc., poiché nello scontro, che perdura a tutt’oggi, fra l’Europa e l’Italia della tradizione e l’Europa e l’Italia della sovversione, non v’ha alcun compromesso possibile, troppo grande essendo il retaggio glorioso dei secoli della Civiltà Classico-Cristiana, l’unica vera; questo gli americani, senza storia e nati essi stessi, prima da un errore di navigazione, e poi da una rivoluzione liberal-massonica, non possono capirlo].
Dopo di che io vedo però anche, mi scusi, dico ancora questo, io li capisco anche i miei colleghi, specialmente gli specialisti di queste cose (perché io sono un medievista, ho fatto questo libro, e va bene, da allora mi capita che se vado in giro, ci può essere qualcuno che volantina, peraltro molto civilmente, non credo di dover temere che mi pestino, ecco, tutto sommato); però, se io fossi un professore dell’Università di Napoli, che studia il Risorgimento, non avrei voglia di andare tutti i giorni a discutere con certa gente, con cui è inutile discutere, perché tanto non li convinci.
Parlare a un pubblico, che viene per capire e che può giudicare quello che dici, essere d’accordo o no, ma non ha un’idea preconcetta, è un conto; ma, con certa gente, non puoi proprio discutere; non serve a niente; e allora, come dire?, capisco anche quelli che dicono: «Non è il mio mestiere andare a combattere contro i mulini a vento», ecco. [Però Barbero ha rifiutato ogni contraddittorio anche con civilissimi studiosi, come Francesco Mario Agnoli, come mai?]
A cura di Maurizio-G. Ruggiero, cui si devono nel testo le glosse fra parentesi quadre e in carattere rosso
Verona, 23 novembre 2014
http://www.larena.it/stories/Cultura/953097_leggenda_di_lager/?refresh_ce#scroll=3108 – L’Arena – 20 novembre 2014
LEGGENDA DI «LAGER»
Fenestrelle fu una prigione sulle Alpi per i borbonici Già nel 1861 «La Civiltà Cattolica» la dipinse come «ghiacciaia per schiavi». Davvero? Un’indagine
La fortezza di Fenestrelle in Piemonte: vi furono detenuti i borbonici
La serie di anniversari inauguratasi nel 2011 con il 150° della nostra Unità e che di qui al 2018 vedrà ricorrere il lungo centenario della Grande guerra, il 70° della Liberazione e i centocinquant’anni del Veneto all’Italia, si offre come terreno particolarmente fertile per strumentalizzazioni e stravolgimenti della storia, esposta a usi e abusi politici, a revisionismi di ogni sorta e a quella idiota forma di relativismo per la quale tutti i pensieri e tutti i giudizi si equivalgono, prescindendo dalla consistenza dei dati documentali su cui si basano. In questa prospettiva bene ha fatto l’editore Laterza a riproporre in edizione economica, rendendolo così meglio accessibile al grande pubblico, un lavoro di Alessandro Barbero che è allo stesso tempo un perfetto saggio di contro-revisionismo e una magistrale lezione su come la storia, per essere scritta seriamente, richieda una metodologia scientifica e non il dilettantismo di chi stravolge i fatti per piegarli a tesi preordinate (I prigionieri dei Savoia. La vera storia della congiura di Fenestrelle, 369 pagine, 11 euro).
Studioso con al suo attivo un lungo e prestigioso elenco di pubblicazioni ma anche piacevolissimo divulgatore e assiduo ospite dei programmi di approfondimento storico prodotti dalla Rai, Barbero è uno specialista del periodo medievale con vaste competenze in ambito militare, ma sa muoversi altrettanto brillantemente nel XIX secolo (come aveva peraltro già fatto con un saggio su Waterloo), richiamatovi forse in questo caso dall’urgenza e dall’irresistibile impulso di controbattere la mole di assurdità e falsità che sono andate accumulandosi e diffondendosi sulla vicenda dei soldati borbonici fatti prigionieri dall’esercito piemontese dopo il 1860. L’autore, con un rigoroso rispetto per fonti e documenti, ricostruisce il destino di questi vinti del Risorgimento partendo dalla fondamentale definizione del loro effettivo status (prigionieri, sbandati, refrattari, disertori) e seguendoli dalla cattura alla prigionia, fino alla scelta di entrare nei ranghi del nuovo esercito italiano o di darsi alla macchia, aggregandosi in molti casi alle bande che in una complessa miscela di banditismo e di patriottismo ispirato dalla fedeltà al Regno delle due Sicilie, animeranno la resistenza antiunitaria nelle regioni del Mezzogiorno.
Senza minimamente occultare il sentimento di sottile razzismo nutrito da parte delle gerarchie militari e politiche sabaude per questi prigionieri, l’oggettiva difficoltà nel gestirli, i disagi e l’effettiva durezza di una detenzione scontata da circa un sesto del totale nelle regioni alpine, durante un inverno particolarmente freddo, Barbero smonta però con millimetrica precisione l’idea che ai loro danni si sia voluto imbastire un progetto genocida, dimostrando come la storia di quei soldati non sia «in alcun modo quella di occulto sterminio additata da una pubblicistica sconsiderata».
Questa manovra di controinformazione era iniziata da subito e, insieme a una parte della stampa antigovernativa, aveva avuto il suo principale propagatore nel giornale «La Civiltà Cattolica». Il battagliero foglio vaticano, impegnato in una violentissima campagna contro l’Unità d’Italia, il liberalismo e altri «mali del secolo», aveva pubblicato nel gennaio del 1861 un articolo definito da Barbero ad «altissimo tasso di mistificazione», nel quale si descriveva il trasferimento di una parte dei prigionieri a Fenestrelle come un espediente «crudele e disumano, che fa fremere», escogitato per spezzare la resistenza di «soldati fedeli al loro giuramento militare ed al legittimo Re» gettandoli «peggio che non si fa coi negri schiavi, a spasimar di fame e di stento fra le ghiacciaie».
LA FAVOLA è poi tornata in auge negli anni Novanta del secolo scorso quando, con un transfert di immagini e concetti a dir poco discutibile, si è cominciato a parlare dei prigionieri borbonici deportati al nord ricorrendo a termini quali Lager, campi di concentramento, Auschwitz, sterminio, pulizia etnica. A questa operazione Barbero dedica un capitolo che, senza mezzi termini, ha giustamente intitolato Miseria della storiografia. È una piccola galleria degli orrori fatta di svarioni metodologici, inesattezze, mancanza di precisione e di verifiche nell’uso delle fonti fino ad arrivare a deliberate e tendenziose falsificazioni volte a creare la leggenda nera di prigionieri morti in condizioni disumane e fatti sparire a migliaia e migliaia nel nulla. Anche autori di testi costruiti su ricerche d’archivio e generalmente precisi, quando arrivano a queste vicende si lasciano inebriare da un irrefrenabile desiderio di sensazionalismo e si perdono in una selva oscura di mistificazioni, citazioni di seconda mano e «affermazioni perentorie fatte senza citare nessun documento».
Ci troviamo per certi versi di fronte a una operazione speculare a quella messa in atto dai negazionisti sulla Shoah e che condivide con quella lo stesso livore ideologico insieme alla stessa assenza di dati storiograficamente attendibili. Proprio per questo, l’unico dubbio di fronte al lavoro di Barbero è se i revisionisti e i loro affezionati seguaci in libreria o sul web, potranno mai avere l’onestà intellettuale necessaria per ragionare sinceramente sui fatti e abbandonare il mito menzognero di cui si sono innamorati.
Quanto le fiabe siano da sempre più allettanti della realtà storica ce lo ricorda del resto un divertente aneddoto che ci riporta al centenario della Grande guerra e che ci è stato narrato in una pagina di Le scarpe al sole da Paolo Monelli. È lui il giovane ufficiale degli Alpini che, in licenza dalla prima linea, decide di concedersi un po’ di svago in un cinema di Vicenza: «Al cinematografo proiettavano la battaglia per la presa di Ala. Che era qualcosa di buffo, una concezione quarantottesca, truppe al “Savoia!” Per quattro sullo stradone, piume di bersaglieri e trombe che suonavan l’attacco, ufficiali caracollanti, austriaci in fuga in ordine chiuso. Io espressi le mie proteste e la mia meraviglia con un po’ d’esuberanza. Ma il mio vicino mi guardò brutto e mi disse: “Scusi, se non le piace se ne vada”. — Ma caro signore, non vede che buffonata? Io che faccio la guerra, le dico che la guerra non è così. “E che cosa me ne importa? Cosa volete venire a raccontarmi la guerra come la fate voi? Lasciate che me la goda riprodotta come me la figuro io”».
Stefano Biguzzi