di Arai Daniele
Don Francesco Putti a trent’anni dalla morte
Il 21 dicembre si sono compiuti trent’anni della morte a Velletri dell’eroico Padre Francesco Maria Putti, nato a Roma il 3 aprile 1909.
Era figlio spirituale di Padre Pio, che l´ha incoraggiato a diventare Sacerdote. Così, dopo gli studi, è stato ordinato il 29 giugno 1956 a Sarzana, con 47 anni.
Don Putti, presto è stato riconosciuto come indefesso paladino antimodernista, in un’ora in cui era già devastante l’infiltrazione di tale setta ereticale nelle viscere della Chiesa romana. Situazione resasi evidente in ogni ambiente clericale e che lui ha subito già nei rapporti col suo Vescovo, come narra il libro (molto abbreviato) di Mons. Spadafora.
Col suo giornale “Sì sì no no”, che ha fondato nel 1975 (gennaio) e diretto fino alla morte nel 1984, ha iniziato a denunciare senza mezze misure le ambiguità e tradimenti di tante «autorità» di allora che tramavano la mutazione della Chiesa a partire da Roma.
Il motto suo e del giornale era“Ubi Veritas et Justitia ibi Caritas”. Di modo che, quando accusato di poca carità verso i progressisti conciliari, che lo detestavano, rispondeva: “in materia di Carità – che non soffochi la Verità e la Giustizia – abbiamo avuto dei buoni Maestri: nel precursore, che ai farisei diceva ‘Razza di vipere’, e ancor più nello stesso Gesù, che ha lanciato le più dure invettive contro i Farisei. (…) Noi, nella Verità e nella Giustizia, rimproveriamo a chi dobbiamo il suo comportamento, per amore. (…) Non è carità nascondere le piaghe dalle quali tutto un corpo è colpito, e per le quali non solo sta marcendo, ma ancor più tende a marcire. L’invocare la Carità, lasciando che terze persone ricevano danno alla propria anima, non solo è mancanza di vera carità, ma è un inganno del demonio che ha ogni interesse dacché i propaghi la falsa carità. Quindi, nessuno si attenda che ci lasciamo distrarre dal demonio” (Sì sì no no, settembre 1976, anno II, n. 9).
«Nel suo giornale don Francesco non si limitava a combattere l’errore in astratto, ma denunciava anche l’errante: il suo buon senso gli diceva che se non ci fossero erranti non ci sarebbero neanche errori, e che se ci sono errori, cioè qualcuno che li diffonde; e per combattere l’errore – per amore della Verità e della Giustizia – bisogna prima combattere l’errante. Il 7 ottobre 1978 (anno IV, n. 10) in Sì sì no no scriveva: “Fratelli, la crisi in atto che ha investito la Chiesa in ogni suo ordine e grado, non ha lasciato immune Roma. (…) Lo spatium poenitentiae, per quanto ci riguarda, è terminato: la nostra azione sarà intensificata. Da qui in avanti, i felloni, gli spergiuri, i rinnegati, saranno smascherati. (…) Lo sappiano i lupi travestiti da agnelli: le loro cattedre saranno controllate, le loro lezioni ciclostilate saranno analizzate, i loro libri saranno controbattuti, i loro articoli passeranno al setaccio, le loro trasmissioni radiofoniche e televisive saranno giudicate: a tutte le loro responsabilità saranno finalmente inchiodati. Per amore della Chiesa, noi faremo a questi falsi fratelli una guerra continua, aperta, implacabile”.
«Ed ancora nel Sì sì no no del maggio 1978: “Chi è peggiore? Il delinquente, o la guardia che, per una certa interna connivenza o benevola affinità, non gli impedisce di commettere il male? Sicuramente, senz’ombra di dubbio, il peggiore è la guardia, perché manca ai doveri specificamente assunti (…). C’è da considerare che delinquenti, e guardie più delinquenti dei delinquenti, nel senso canonico della parola, ci sono anche nella Chiesa (…). Tali ‘guardie-delinquenti’ sono i peggiori traditori di Gesù Cristo”.
Era il tempo di Paolo 6º, il cui funerale paganizzato, il quindicinale ha descritto. Sono divenute note le «Lettere di Don Putti al Papa», da Giovanni Paolo 1º, di cui in certo modo ha previsto il mortale complotto, fino a Giovanni Paolo II, che seguirono in un ‘crescendo’ a causa delle devianze ecumeniste scandalose di Wojtyla. Diverse di queste lettere sono nel mio libro «Entre Fátima e o Abismo» – il Segreto che sfida il pontificato e atterrisce la Cristianità – presentato da Monsignor Antonio Castro Mayer.
Nel 1983 è riuscita l’iniziativa intrapresa insieme a Don Putti, di avvicinare i due Vescovi, Mons. Lefebvre e Mons. Castro Mayer, affinché si riunissero per redigere una dichiarazione comune sullo stato della Chiesa. Ciò è avvenuto a Rio. È il «Manifesto Episcopale» del 21 novembre 1983, molto mal ricevuto in Vaticano. Come sola risposta l’«autorità» ha varato in seguito il famigerato «indulto» per la Santa Messa che, però, imponeva ai «beneficiati» di prendere le distanze dai tradizionalisti in causa.
Infatti, tale «indulto-insulto» è riuscito a dividere ancora di più i fedeli alla Santa Messa tradizionale. Da una parte gli accordisti di sempre, guidati dalla mente, almeno bislacca di Don Franz Schmidberg, allora superiore della FSSPX. Basti pensare che esso obbligò i priorati della Fraternità a raccogliere le firme per «ringraziare il santo Padre» di tanta «grazia»! Tale idiozia ha causato molti dissidi ma Mons. Lefebvre taceva. Pertanto, quando si rese di nuovo a Rio un anno dopo il «Manifesto», a causa dell’«indulto» non ha voluto pronunciarsi sulla pertinacia vaticana quanto alle eresie conciliari.
Non così Mons. Castro Mayer, che in quella data ha concesso un’importante intervista al quotidiano di San Paolo, «Jornal da Tarde», accusando il Vaticano 2º e l’indulto doloso. Tale intervista è stata pubblicata in parte sul «Sì sì no no» insieme al mio: «Per ignoranza o pertinacia?». Ma per pubblicare tutta la posizione di Mons. Castro Mayer Don Putti richiedeva una sua lettera firmata e registrata. Ne è stato soddisfatto.
Ora, nel frattempo Don Schmidberger, il tale superiore, veniva a Roma per completare l’impresa del suo comico ringraziamento al Vaticano per l’indulto-insulto, di fronte ad un sorpreso card. Ratzinger che si espresse in questo modo: – “ma siete rimasti proprio contenti?” Quanto so di tale «gesta comica» è per mezzo di Don Francesco Ricossa, che l’ha sentito direttamente dal fuhrer apprendista.
Tristissimamente Don Putti viveva le sue ultime ore. Mi ha sollecitato ad assumere la direzione del quindicinale, ma aveva però la necessità di lasciare un consacrato per la sua Comunità di Suore. Avrebbe voluto ricorrere a Mons. Lefebvre, che allora, quasi sicuramente indicherebbe il Priore di Albano, Don Francesco Ricossa. Ma covava già una grave frattura nella FSSPX, tra il partito del «superiore accordista», e i sacerdoti che, come Don Putti, avevano sempre visto tale accordo con la Roma conciliare come un grave tradimento alla causa per cui avevano subito tanto isolamento.
Ecco che Don Schmidberg piomba a Velletri per impartire le sue condizioni per indicare il suo uomo per il quindicinale e la Comunità nella persona di Don Emmanuel du Challard, già di casa lì e ad Albano e conosciuto come il loro «nunzio» in Vaticano. Il Superiore allora, sempre nella testimonianza, riferitami da Don Ricossa, sventolò l’ultimo numero di Sì sì no no per dire che articoli come questo – il mio – non devono più essere ammessi; quel che va pubblicato sono articoli anticomunisti, come quello di Jean Madiran (nello stesso numero di quello mio, ma con meno rilievo). Il gioco era fatto, purtroppo.
Il risultato tristissimo, oltre la tragica sparizione del nostro amato Padre, è che la sua opera attraverso quel giornale unico veniva alterata nelle mani, appena lievemente controllate da Suor Maria Caso e il giornale non è diventato apertamente «accordista», come certamente voluto da Don Emmanuel del Taveau du Chalard, sempre più «nunzio presso il Vaticano»!
Ecco che la lettera registrata di Mons. Castro Mayer, dove parlava dell’autorità deviata a Roma contaminata dagli errori ed eresie del Vaticano 2º, che allora ad alcuni ancora sembrava frutto di pura ignoranza: forse pertinacia, è rimasta archiviata se non distrutta.
Eppure «tanta vergogna» denunciata da Don Putti è continuata come prima, molto più di prima con l’abominio di Assisi e derivazioni desolanti fino all’attuale Bergoglio. Era ormai evidente che tutto accadeva e accade per spudorata pertinacia modernista!
Molti hanno lasciato allora la Fraternità. Nel caso italiano i principali sono rimasti ancora qualche mese dopo l’intervento di Schmidberger che ha declassato il loro superiore, don Munari a coadiutore a Parigi e avrebbe voluto spedire don Ricossa in Gabon! Salvato in extremis e messo sotto tutela, in quel momento, del rude Don Tam ritirato fuori dal cilindro del Seminario di Ecône e messo a capo del Distretto. Quelli erano rimasti in attesa di una decisa dichiarazione di Mgr Lefebvre sull’assenza dell’autorità cattolica a Roma (dove erano subentrati degli anticristi).
L’anno 1985, in occasione del sinodo per i vent’anni del Vaticano 2º, Mons. Castro-Mayer e Mons. Lefebvre scrissero insieme a Giovanni Paolo 2º per dire che: se il sinodo non tornava al magistero della Chiesa, ma ribadiva in materia dil ibertà religiosa tale errore, fonte di eresie: avremo il diritto di pensare che i membri del sinodo non professano più la fede cattolica… e Voi non sarete più il Buon Pastore.” Di fronte a queste gravi parole, ritoccate dall’originale con questa formula ambigua, Giovanni Paolo fece un solo un commento sarcastico alla stampa: – “Attenti che io non sono più il buon pastore!”. Era quanto bastava per sapere che tale discreto «avvertimento» era stato ricevuto.
Poi è venuta la dichiarazione dei due Vescovi del 2 dicembre 1986 a Buenos Aires: «Gli atti attuali di Giovanni Paolo II e degli Episcopati nazionali illustrano di anno in anno questo cambiamento radicale della concezione della fede, della Chiesa, del sacerdozio, del mondo, della salvezza che si ottiene con la grazia. Il colmo di questa rottura con il magistero anteriore della Chiesa si è raggiunto ad Assisi e dopo la visita alla sinagoga. Il peccato pubblico contro l’unicità di Dio, contro il Verbo Incarnato e la Sua Chiesa, fa fremere d’orrore: Giovanni Paolo II che incoraggia le false religioni a pregare i loro falsi dei: scandalo incommensurabile e senza precedenti.[…] Noi consideriamo, dunque, come nullo tutto ciò che è stato ispirato da questo spirito di rinnegamento: tutte le riforme postconciliari e tutti gli atti di Roma che sono compiuti con questa empietà.»
Tali dichiarazioni episcopali, che entrano comunque nella storia della Chiesa perseguitata dal suo interno, sono ignorate, se non censurate nell’attuale FSSPX. Certo, con dei Sacerdoti nella Fraternità che capissero la gravità di quanto dichiarato, sarebbe difficile accordarsi col Vaticano conciliare! Ma lì si ammette ancora delle fosche scusanti sulle gravi deviazioni, che sarebbero perpetrate solo per ignoranza, non per pertinacia!
Quanto al quindicennale, lì si è arrivati recentemente a escogitare perfino l’inaudita teoria di «una Chiesa, due dottrine», pubblicato sempre sotto il motto della «resistenza al modernismo»; scusante – viscidamente ereticale – per accreditare ancora la setta conciliare e i suoi capi come cattolici.
Che non si pensi di coinvolgere l’eroico Don Putti in oscenità religiose di tanto misero tenore. Lui è morto e rimane come un araldo della Fede cattolica da ricordare così. Di modo che, se passa per la mente di qualcuno che l’eroico Don Francesco, col suo Sì sì no no, avrebbe cambiato visione sulla verità cattolica o nascosto dei fatti per accordarsi con tale Vaticano anticristo e continuare a trattare Giovanni Paolo da papa cattolico (come del resto anch’io l’ho fatto fino al 1986), si deve ricredere per non disonorare la memoria di un vero esempio di Sacerdote antimodernista.