by Redazione |
La base italiana ospita 750 uomini appartenenti a esercito, aeronautica e marina Il brindisi del 31 non si ripeterà. I nostri restano solo come supporto alle forze locali L’INTERVISTA «Il nostro scopo era creare forze di sicurezza afghane Ora controllano il territorio»
HERAT – Sul libro all’ingresso della piccola cappella l’ultimo messaggio è datato 30 dicembre 2014. Lo ha scritto Daniele: «Nel giorno del mio rientro a casa voglio augurare la pace e la serenità a tutti i fratelli che restano qui». Le pagine che precedono sono piene di preghiere e pensieri personali. Molti sono stati lasciati prima di partire. Ma questo è diverso. Perché Daniele, che come tanti militari italiani in questi anni è stato chiamato a prestare il suo servizio all’estero, non tornerà più qui ad Herat.
Dopo 13 anni la missione Isaf (acronimo di International Security Assistance Force) a guida Nato, la più lunga per l’Italia dalla fine della Guerra Mondiale, cambia. La fase più strettamente militare, di combattimento, quella che aveva l’obiettivo di portare stabilità in Afghanistan, è conclusa. Al suo posto inizia Resolute Support. Meno uomini impegnati sul terreno e con la funzione di «supportare» le forze locali di polizia e di sicurezza. Per dirla con un famoso aforisma: «Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno. Insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita». In questi anni le forze della coalizione internazionale hanno insegnato agli afghani «a pescare», continueranno a consigliarli nei prossimi mesi, ma ora sono loro a dover dimostrare di sapersi «nutrire» da soli.
Mai come in questo 2014, quindi, il Capodanno � un giorno di passaggio. Nella base italiana di Herat, dove attualmente opera la brigata bersaglieri Garibaldi guidata dal generale Maurizio Angelo Scardino, restano 750 uomini. Continueranno a diminuire. Tra un anno, il 31 dicembre 2015, non ci sarà più nessuno (gli ultimi ancora impegnati nelle operazioni di «support» verranno trasferiti a Kabul). Nessun brindisi, nessun cenone. Questo è l’ultimo.
L’ARRIVO. E LE PARTENZE
Quando atterriamo ad Herat è già buio. Il C130 su cui abbiamo viaggiato è uno di quelli che, da mesi, fa la spola tra l’Afghanistan e l’aeroporto di Al Bateen ad Abu Dabhi. Ci sono da trasportare uomini e mezzi, si torna a casa. È il 30 dicembre e la prima cosa che colpisce è il silenzio. In giro non c’è quasi nessuno. Poche le finestre delle stanze illuminate. In una, aperta, si intravede un piccolo albero di Natale realizzato con pacchetti di sigarette. In mensa, forse anche a causa dell’ora tarda, pochissime persone. Al risveglio l’atmosfera non è diversa. Le stradine tra gli alloggi mostrano piccoli segni di chi è passato. Qualcuno ha affisso un cartello con i chilometri che separano Afragola da Herat: 4.232. La cittadella che gli italiani hanno costruito e che in questi anni è arrivata a ospitare anche più di 4.000 uomini, somiglia ad uno di quei paesini da cui in tanti sono emigrati per cercare fortuna altrove. I piccoli negozietti gestiti dai civili afghani che lavorano nella base hanno cartelli che segnalano sconti e offerte, ma i clienti languono. Dal barbiere, il salone si chiama Capellimania, un paio di persone in attesa. A rendere ancora più inusuale l’atmosfera contribuisce il clima. Solitamente a Herat, poco più di 900 metri sul livello del mare, le temperature sono rigide e a dicembre non è difficile trovare la neve. Il 2014 si chiude con un sole quasi primaverile. Che sia un buon auspicio per il futuro?
VIA ISAF ARRIVA RS
Ma se le stradine della base sono vuote, negli uffici l’attività non si ferma. C’è da organizzare, pianificare. Bisogna capire cosa serve per garantire l’efficacia della nuova missione. E c’è da preparare anche il passaggio «grafico» da Isaf a Resolute Support. La tipografia ha già predisposto il nuovo simbolo in tutti i formati. Vicino agli uffici del TAAC WEST, il commando a guida italiana delle forze della coalizione multinazionale che operano nell’Ovest dell’Afghanistan, due afghani con un secchio di vernice bianca e un pennello, stanno «cancellando» il logo verde di Isaf. Pochi minuti ed ecco pronto il nuovo simbolo con la sigla RS. Anche le bandiere, una dopo l’altra, vengono ammainate per lasciare spazio al «nuovo corso».
IL RICORDO DEI CADUTI
Il 31 dicembre è un giorno particolare anche per un altro motivo. Quattro anni fa, l’ultimo dell’anno, moriva il primo caporal maggiore Matteo Miotto. Il suo nome è scolpito insieme a quello degli altri 53 militari italiani caduti in Afghanistan alla base dell’altare che si trova su piazza Italia. C’è anche un monumento su cui si trovano le lapidi realizzate dalle Brigate che sono passate da Herat. La scritta sopra il nome di Miotto recita «Andati avanti». Quest’anno padre Mariano Asunis, cappellano della base (il 12 novembre 2003 era a Nassirya) ha voluto ricordare i caduti attaccando i loro nomi all’albero di Natale. È stato realizzato anche un manifesto con i loro volti e una frase semplice: «Hanno dato la vita per noi». Nella messa prima del cenone padre Mariano ricorda Miotto e tutti questi «figli che hanno dato la vita per una Patria migliore, la nostra, e per questa Nazione».
UN BRINDISI SPECIALE
I preparativi del cenone iniziano nel pomeriggio. Il menù prevede antipasti misti, linguine al ragù d’astice, orecchiette broccoli e salsiccia, filetto al pepe, baccalà fritto, grigliata del Golfo alla piastra. Si cena e si chiacchiera aspettando il nuovo anno. Alle 23.30 i militari si radunano nella sala rossa. Vengono portati cotechino e lenticchie. Alcuni si appartano per una videochiamata di auguri con le famiglie. Il ritorno a casa non sarà immediato e in sere come queste la lontananza è ancora più dura da sopportare. La mezzanotte si avvicina. Il conto alla rovescia, visto anche la presenza di militari Usa (nella base ci sono anche spagnoli che però festeggiano altrove) è un misto di italiano e inglese. Poi esplode la gioia. Si brinda e si festeggia. L’ultimo pensiero è per questo 2015 che si apre. Per questa base che nel corso dell’anno verrà consegnata all’esercito afghano. Che ne sarà di piazza Italia? Della pizzeria, del bar Desmo ritrovo degli amanti della Ducati, della sala multifunzione che sulla facciata mostra la scritta «Italia 150°»? Che ne sarà del ricordo dei caduti, 54, in questi 13 anni di missione? Difficile immaginarlo. Di certo c’è che anche per gli afghani continuerà a valere il motto che campeggia sotto il simbolo del TAAC WEST: «Winners never quit and quitters never win». Tradotto: i vincitori non mollano mai, quelli che mollano non vincono mai. Dopo 13 anni le forze della coalizione lasciano l’Afghanistan. Ma non è una ritirata. È una vittoria.
Nicola Imberti per Il Tempo