Nel 2014, le forze delle operazioni speciali (SOF) statunitensi erano presenti in 133 paesi e le forze d’élite americane in 150. Praticamente una presenza nella quasi totalità del globo con i risultati che sono ormai evidenti. Dopo più di un decennio di guerre segrete, sorveglianza di massa, un numero imprecisato di incursioni notturne, detenzioni ed omicidi, per non parlare di miliardi su miliardi di dollari spesi, sono nati 36 nuovi gruppi terroristici, tra cui diverse succursali, propaggini e alleati di al-Qaida. Lo scrive Zero Hedge, citando Nick Turse sull’Huffington Post: The Golden Age of Black Ops. Questi gruppi operano oggi in Afghanistan e Pakistan, dove ce ne sono 11 riconosciuti affiliati di al-Qaida, e altri in Mali, Tunisia, Libia, Marocco, Nigeria, Somalia, Libano e Yemen, tra gli altri Paesi.
Uno dei rami nati con l’invasione dell’Iraq, alimentato da un campo di prigionia statunitense, ed ora è noto come Stato islamico che controlla una larga parte del Paese e della vicina Siria, un proto-califfato nel cuore del Medio Oriente che i jihadisti, nel 2001, potevano solo sognarsi. Solo quel gruppo, da solo, ha una forza stimata di circa 30.000 soldati che sono riusciti a conquistare grandi territori ed anche la seconda dell’Iraq, pur essendo incessantemente colpiti fin dall’inzio dal JSOC. E il tutto con il popolo americano che resta all’oscuro di tutto quello che gli operatori speciali statunitensi fanno e dove lo fanno, senza citare i fallimenti e le conseguenze che hanno prodotto. Ma se la storia è maestra, i blackout sulle Black Ops contribuiranno a garantire che continui ad esserci l’”età d’oro” dell’US Special Operations Command.