La risposta cinese ai progetti americani di ridefinizione delle regole del commercio mondiale. Ecco dove si ridisegna il futuro, già ora. [Giulietto Chiesa]
di Giulietto Chiesa.
Fino a ieri pochi, al di fuori dei ristretti circoli dell’alta finanza, sapevano dell’esistenza della Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB).
Nata a Pechino nel 2014, ha fatto subito una serie di mosse ad ampio raggio, concentrandosi in primo luogo su possibili “clienti” europei. Per meglio dire: azionisti europei. In America i cinesi non si sono affacciati anche perché, con ogni evidenza, la AIIB si è subito presentata come un concorrente della Asian Development Bank, che è una distillazione finanziaria anglo-americana, e che, in coppia con la Banca Mondiale, ha fatto in questi ultimi decenni il bello e il cattivo tempo in Asia.
Il governo cinese – che continua con una linea solo apparentemente di basso profilo – sta in realtà assumendo, una dietro l’altra, iniziative di grande rilievo strategico. Nel dicembre 2013, come si ricorderà, Pechino decise di dare vita alla propria agenzia di rating. Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch si trovarono di fronte a un competitore, il Da Gong, che puntava a sottrarre loro il giudizio di ultima istanza sulla “salute” di stati e imprese multinazionali.
L’apparire di AIIB è di un ordine di grandezza analogo. E lo dimostra il fatto che il governo degli Stati Uniti si è adoperato con grande profusione di uomini e di mezzi, per impedire che paesi europei si facessero accalappiare in quella che Washington considera una trappola. Ma, come si dice a Londra, “business is business”. E la City non ha voluto perdere l’occasione. L’Asia è il futuro per le infrastrutture, i trasporti, l’energia. E la Cina domina già ora quel mercato. Gl’investimenti che andranno in quella direzione, e con quel partner, saranno molto probabilmente assai redditizi, e ben protetti. Così la Gran Bretagna è entrata nella partita. Seguita a ruota da Germania, Francia e Italia.
Le pressioni di Washington sono riuscite a frenare il Giappone, la Corea del Sud e l’Australia. Altri paesi, come il Vietnam, non hanno fatto nessun gesto in quella direzione. Ma sono eccezioni. Anche il Giappone e l’Australia cederanno presto, per evitare di vedersi tagliare fuori. Soprattutto la Russia non fa mistero di un grande interesse in questa joint venture finanziaria. Basti guardare la Siberia, soprattutto l’estremo oriente russo, per rendersi conto che la AIIB sarà presumibilmente lo strumento-chiave per accelerare e coinvolgere investimenti stranieri da tutto il mondo e con la “tutela” cinese.
Del resto è altrettanto evidente che tutti i paesi del BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud-Africa), cui si aggiunge ora l’Iran, entreranno nella compagnia. Con un concorrente di questo calibro gli Stati Uniti avranno parecchie gatte da pelare. Ma, in realtà, anche quest’ultimo episodio non fa che confermare un dato ormai evidente. E’ la Cina il nuovo punto di attrazione della finanza mondiale, il cui centro di gravità si va sempre più velocemente spostando in Asia. Modificare questo “trasferimento di potere” reale non è possibile con sistemi come il “quantitative easing”. La crisi dell’economia occidentale, inclusa quella degli Stati Uniti -nonostante i dati della crescita, non si sa quanto attendibili – è nel carattere artificiale della sua finanza, sempre più scollegata dalla produzione di beni e servizi. E’ l’Asia, ormai, il luogo della “produzione materiale” di ricchezza, e chi ha lo sguardo lungo comprende che solo questo è un porto relativamente sicuro, almeno nel medio termine.
Così la Cina risponde anche ai progetti americani di ridefinizione delle regole del commercio mondiale, quelle che si stanno discutendo a tappe forzate, sia con il progetto Trans-Pacifico, sia con il TTIP trans-atlantico: entrambi con lo scopo, neanche troppo misterioso, di costringere l’intera area pacifica e quella europea, sui binari dell’interesse e del controllo statunitense.
Fonte: http://it.sputniknews.com/economia/20150318/132614.html
Fonte: http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=117320&typeb=0
Articolo egregio che indica quali sono le prossime tappe della “dedollarizzazione” in atto. Viene chiamata così questa nuova azione, comune a tante nazioni importanti, volta ad impedire che gli Usa decidano , e solo loro, dove debba agire il FMI oppure come fare transazioni (quale moneta usare). Usare il dollaro, come è stato da almeno 100 anni, come moneta di scambio mondiale è servito agli Usa a dominare il mercato mondiale, specialmente quello energetico. Ora che i paesi del Brics si sono mossi per evitare di transare con la moneta statunitense, finalmente il mercato mondiale potrà avere la concorrenzialità sana di cui gli anglosassoni hanno sempre parlato, ma mai fatto attuare ad altre nazioni, per fare solo il loro interessi spicci.
Partendo dalla Persia, di cui hanno eliminato lo Scià e finendo alla Libia, eliminando Gheddafi, gli Usa hanno sempre mirato, con la scusa dei dittatori a garantirsi un’egemonia economica e politica che fosse serva dei loro interessi e delle loro industrie, specialmente quella militare il cui badget è enorme ed è dimostrato dal fatto che la spesa Usa per la “difesa” è del 40% del Pil, superiore di gran lunga alla spesa del 20% della Cina e del 14% della Russia !
La Cina sta ponendo bastoni nelle ruote dell’egemonia politico/economica Usa e non per nulla gli Usa reagiscono a loro modo cercando con la forza di riconquistarsi il terreno perduto e lasciato alla Cina in Africa, Asia, America del Sud per incapacità congenita dei presidenti a capire veramente bene la storia delle nazioni e dei popoli.
Ma ormai l’era degli Usa è finita ed il pericolo è che il gigante morente possa scatenare, oltre alle guerre sparse nel mondo, una guerra totale e definitiva per sè e per gli altri nemici.
Veramente lo Scià di Persia (Iran) non è stato eliminato dagli Usa, ma da Komeìni. Il presidente Carter, mi pare, tentò invano di resistergli.