Segnalazione Quelsi
by Rosengarten
Da oltre un anno Renzi presiede quello che è il terzo esecutivo di fila che governa il Paese senza che sia stato eletto da qualcuno. Questo si verifica grazie ad una disinvolta interpretazione del concetto di democrazia rappresentativa dell’ex presidente Napolitano e della sinistra che rappresenta, il quale ora che è ultranovantenne, dal Colle, invece che al mare s’è trasferito a Palazzo Madama per “far numero e dare una mano” al Governo, che al Senato rischia di finire sempre in minoranza. Se poi pensiamo che il “grande elettore” a sua volta è stato eletto e rieletto non con una consultazione popolare, ma con accordi sottobanco e dopo inquietanti manovre condotte negli oscuri corridoi dei Palazzi romani, ecco che alla fine il cerchio si chiude su se stesso e si capisce bene perché la gente non ne possa più dei politicanti nostrani e della loro politica. Chi è intellettualmente onesto deve ammettere che la democrazia è tutta un’altra cosa.
Per arrivare a Renzi Napolitano ha dovuto ammettere a se stesso di aver fallito nelle prime due designazioni. Con Monti di fatto non ha operato una scelta, ma s’è supinamente adeguato al diktat della Ue, e diciamo così solo per non essere accusati di essere “not politically correct” qualora riferissimo di un ordine imperativo arrivato al Quirinale per telefono sulla linea Berlino-Roma. Per far deglutire al Paese l’amara pillola della recessione indotta per salvare le banche sono ricorsi alla truffa, all’inganno dello spread e delle casse dello Stato vuote con grave rischio per stipendi, sanità e pensioni. Una spudorata menzogna (cfr Qelsi, 12 settembre 2012, “Monti ammette: “Ho rovinato il Paese”. Ora ci dica tutta la verità sull’imbroglio dello spread”). Per tre anni da molte parti si è abbondantemente spiegato che lo spread col debito pubblico c’entra poco o nulla in un Paese che adotta la stessa moneta dei 14 Paesi della cosiddetta area euro. Era la minaccia della deflagrazione della moneta unica europea, che a differenza di sterlina, yen e dollaro e di molte altre divise non ha alle spalle un prestatore di ultima istanza, cioè una banca centrale, a far volare il divario del rendimento dei nostri titoli di stato rispetto a quello di altri Paesi europei, perché è ovvio che, eventualmente, se l’euro si disintegra, un conto è vantare un credito in marchi o fiorini, un conto è vantarlo in dracme, escudos o lire.
Infatti adesso che Draghi s’è messo a stampare moneta come fanno gli altri, e manco poca perché ha annunciato l’immissione di almeno 1140 miliardi sino a settembre del 2016, ecco che lo spread si rivela quell’alibi fasullo strumentalmente abusato dalla sinistra. Ed adesso tutti possono vedere come lo spread sui bundes tedeschi sia precipitato attorno ai 100 punti base, benché la situazione socio-economica attuale italiana, grazie a Monti, sia in assoluto peggiore di quella di tre anni fa: più disoccupati, più poveri, debito aumentato, PIL ulteriormente diminuito, tasse alle stelle, crollo della produzione industriale e del mercato immobiliare, e deflazione, nonostante il potere d’acquisto delle fasce medio-basse sia tornato ai livelli dell’immediato dopoguerra.
Con la scelta di Enrico Letta l’ex presidente si è semplicemente rifatto alla Nomenklatura secondo una prassi che il PD ha ereditato dal PCI stalinista, una cosa a suo tempo mai fatta neppure dalla Democrazia Cristiana, ovvero quella di mandare il segretario del partito a fare anche il capo del governo, e se questi fallisce, come successo a Bersani naufragato nel confronto con Grillo, passare la palla al suo vice. Solo che Napolitano non s’era accorto della congiura renziana in atto nel PD, ed una volta che questa ha portato al capovolgimento delle gerarchie interne di quel partito, non ha fatto altro che convocare i due, Letta e Renzi, facendo consegnare dal primo al secondo il campanellino del premier, peraltro pretendo pure che i due si stringessero la mano davanti a stampa e TV, senza neanche che il neopremier si fosse degnato di accennare ad uno straccio di programma e di precisare con chi realizzarlo. E’ così che la sinistra ritiene di poter formare governi in Italia.
Il teologo tedesco Martin Lutero per “protestare” contro il sistema di indulgenze allora imperante per cui si poteva avere l’assoluzione per i peccati commessi aggirando la confessione con il versamento di somme di denaro, il 31 ottobre del 1517 affisse sul portone della chiesa di Wittemberg le famose 95 tesi con le quali avviò un profondo processo di revisione dell’intero castello teologico che costituiva la Chiesa di Roma, dando vita alla Riforma Protestante. Esattamente 494 anni dopo, il 31 ottobre del 2011, Matteo Renzi fece addirittura meglio del frate agostiniano quando alla Leopolda, in una manifestazione molto ambiziosamente denominata Big Bang, espose in 100 tesi i cardini di una politica nuova e tesa alla ricostruzione dell’intera impalcatura socio-economica ed istituzionale dell’Italia, per farne un Paese moderno, più giusto, ricco e vivibile, in sintonia con i Paesi più avanzati dell’Occidente. In quell’occasione Renzi, affiancato da Civati, l’inventore della “rottamazione politica”, toccò tutti i punti della vita socio-economica e politica nazionale, dai partiti alle pensioni, dalla scuola alla sanità, vagheggiando un PD “partito liquido”, cioè trasparente e senza correnti al suo interno. Chi può obiettivamete sostenere oggi che lui ne è segretario nazionale che il PD sia un partito così.
Ed ora che è si è impossessato della carica cui fortemente aspirava, da Presidente del Consiglio sta dimostrando che di tutti quei buoni propositi chiassosamente sventolati ai quattro venti oggi resta poco o niente. Il rottamatore fiorentino è andato al governo in un momento che per lui non avrebbe potuto essere più favorevole. Dopo il disastro Monti ed il placebo Letta, sarebbe difficile per chiunque fare peggio, per cui qualsiasi cosa lui faccia è sempre un qualcosa in più se confrontato con quel cimitero di macerie lasciatosi alle spalle dal macellaio sociale varesino. Il clima internazionale è favorevole. Con l’incisivo Quantitative Easing di Draghi lo spread è tornato ai minini storici facendoci risparmiare un paio di miliardi l’anno sugli interessi dei titoli di nuova emissione, un vantaggio che potrebbe però svanire se l’inflazione non tornasse a salire verso quota 2%, ovvero se non si registrerà la ripresa dei consumi. Ma gli effetti più importanti del QE sono quelli di un possibile forte allentamento della stretta creditizia, cioè credito più facile a famiglie ed imprese, se si evita quello che accadde con Monti, ovvero che i 280 miliardi destinati al credito in Italia dalla BCE con un prime rate dell’1% siano rimasti nei forzieri delle banche che li hanno utilizzati per speculazioni finanziarie (che tentazione quei Bot al 7 %…) e/o per ricapitalizzarsi praticamente gratis sulle spalle della collettività. Un altro aspetto molto positivo legato al QE è il forte ridimensionamento del super-euro rispetto alle più importanti divise internazionali, in particolare al dollaro sceso sotto la quota psicologica di 1,10, con incisivo effetto di rilancio della competitività dei sistemi produttivi di Eurolandia, nostro incluso.
Ricapitoliamo. Costo del denaro ai minimi storici, con il prime confermato da Draghi allo 0,05 %, cioè denaro prestato ad interesse quasi zero; grande liquidità finanziaria nell’eurozone; le locomotive che trainano l’economia mondiale, ovvero Usa, Cina e Giappone che hanno ripreso a marciare a tutto vapore; il costo del petrolio che s’è dimezzato; il deprezzamento del dollaro nel momento in cui riprende con grande vigore la domanda dei maggiori mercati internazionali, il che per un paese come l’Italia con un tessuto produttivo costituito da una miriade di piccole e medie imprese manufatturiere e leader mondiale in settori fortemente trainanti come l’agroalimentare ed il lusso, è un miscela esplosiva di fattori positivi, un formidabile incentivo per poterci incamminare rapidamente sulla via di una ripresa consistente e strutturale della produzione industriale, dell’occupazione e dei consumi.
Si tratterebbe di muoverci sulla falsariga di quanto successo negli anni ’60 con il boom economico, quel miracolo tutto italiano che ci permise di trasformarci da modesto paese agricolo uscito a pezzi dalla guerra, in quarta potenza industriale del globo, sopravanzando persino le ex grandi potenze coloniali Francia e Regno Unito. Ma allora si avviò la realizzazione di grandi infrastrutture con ingenti stanziamenti sulla spesa pubblica produttiva, le tasse non opprimevano l’economia e si promosse lo sviluppo di tutti i settori industriali, persino agricoltura, cantieristica navale e telecomunicazioni, con l’IRI, un’istituzione che mezzo mondo ci ha copiato ed invidiato, prima che ben noti boiardi di Stato travestiti da consulenti lo trasformassero nel carrozzone clientelare di un’area politica ben identificabile, cioè quella del consociativismo cattocomunista. Renzi cosa si propone di avviare se sta in difficoltà pure con TAV ed Expo 2015?
Naturalmente, la ripresa non avviene per processo spontaneo, ma come le culture in vitro necessita di un ambiente favorevole e di uno spunto iniziale senza il quale il processo di crescita neanche si innesca. Il clima favorevole, abbiamo appena detto, ora c’è; manca solo il catalizzatore per far innescare la reazione di crescita, cioè quello che fuori di metafora viene indicato “un adeguato pacchetto di riforme”. Ne parlano tutti di riforme, ma niente di concreto si sta facendo al di là delle chiacchiere, specialmente da parte di chi le ha teorizzate per anni, partendo dalla Leopolda per venire a pontificare a Roma. Si sa, in Italia poche cose girano per il verso giusto e ci sarebbe da riformare quasi tutto per migliorarci la vita ed ammodernare il Paese. Ma di tutte le riforme immaginabili, solo alcune sono decisive, più ancora che prioritarie, per il rilancio socio-economico e tutti sanno quali sono: riforma del lavoro, riforme istituzionali per snellire la politica ed accelerare i suoi processi decisionali, riforma della giustizia, riforma del fisco con riduzione della enorme pressione fiscale che sopportano gli italiani siano essi cittadini, imprenditori o pensionati, riforma dell’istruzione creando ponti tra scuola e mondo del lavoro, riforma del sistema bancario per azzerare i rischi dei derivati infetti che hanno creato una bolla finanziaria mondiale pari a 12 volte il valore dell’economia reale. Per decenni abbiamo giocato con i soldi del monopoli, sino a quando nel 2007 qualcuno ha preteso soldi veri facendo esplodere una recessione che ha devastato l’economia mondiale esattamente come fece quella del 1929, con tanto di fallimenti e suicidi a catena.
Di tutto questo Renzi che fa? Quando ha traslocato a Palazzo Chigi s’è dimenticato che prima di poter mettere mano ad un qualsiasi intervento da premier occorre disporre e ricercare adeguate fonti finanziarie con le quali avviare e sostenere le riforme, risorse senza le quali qualsiasi programma del Governo diventa un compito in classe da quinta elementare: tema, “Cosa ti piacerebbe fare da grande?”. Non occorre un laureato ad Harvard, Princeton o Yale per comprenderlo. Invece, s’è mai inteso Renzi o un qualsiasi compenente della sua compagine, incluso il superministro dell’economia, esporsi con chiarezza su questo fronte, al di là della necessità di aumentare le entrate solo e sempre con nuovi balzelli, addirittura con tasse sulle tasse, e continuare ad aumentare la pressione fiscale (+ 1,4% medio secondo l’Istat nel primo anno di regno del pricipino, con il raggiungimento di quota 50,3 % a fine anno) pur riconoscendo la necessità di ridurla? Voleva eliminare il bicameralismo perfetto, ma il Senato è ancora lì, così come quelle voragini di spesa e di clientelismo che sono le province.
In un anno di governo Renzi non ha cambiato praticamente nulla e delle riforme annunciate comincia a sbiadire il ricordo. I costi della politica sono invariati, così come il numero dei parlamentari, della riforma della giustizia neanche si parla più, le pmi continuano a non essere pagate, Equitalia imperversa con cartelle pazze, la riforma della scuola è fatta, anzi no, mentre della spending review non se ne cura più nessuno e Cottarelli sta per essere preso da una violenta crisi di nervi. E magari è pure meglio che non se ne parli, visto che per Renzi ed associati si tratterebbe solo di “tagliare la spesa”, cioè servizi resi ai cittadini, molti dei quali essenziali o vitali. Sospesi tra incoscenza ed incompetenza pensano che se tagliano le spese si riduca il debito. Non sanno che i tagli della spesa pubblica sono pari pari dei tagli del Pil, per cui il rapporto debito/Pil, cioè l’indebitamento complessivo sul quale l’Europa ci misura, addirittura peggiora.
Apriamo una parentesi. In effetti un risparmio netto immediato su sprechi e spese inutili si potrebbe fare eliminando almeno 7mila delle 8mila e passa società pubbliche partecipate dagli enti locali, la stragrande maggioranza delle quali sono enti inutili, centri per il mantenimento di privilegi e clientele, dove si intrecciano le più losche connivenze tra politica e malaffare. In merito Renzi aveva annunciato un piano per la fine di luglio 2014 che ci avrebbe fatto risparmiare oltre un miliardo l’anno almeno, ma la stima è molto sottovalutata, da qui all’eternità, soldi spesi solo per pagare un inutile esercito di 8mila AD, 10mila DG e relativi aggiunti, una miriade di dirigenti fasulli che nelle partecitpate sono molti di più dei dipendenti ordinari. Senza dire di quello che si potrebbe risparmiare impedendo a queste partecipate di operare con sprechi ed interventi inutili o dannosi. Ma di questo non se ne parla più, forse perchè a Renzi hanno spiegato che nella stragrande maggioranza dei casi quei carrozzoni stanno in mano al PD ed ai suoi derivati. Parentesi malinconicamente chiusa, torniamo alla revisione di spesa.
Nell’accezione anglosassone Spending Review è la revisione della spesa che non mira necessariamente a diminuire il budget, ma ad una più razionale allocazione delle risorse disponibili sulle voci di spesa per eliminare sprechi, privilegi e spese improduttive, che può avere come ricaduta anche una contrazione della spesa complessiva. Ma è evidente che in questo caso, per non tagliare anche il Pil occorre che qualcun altro faccia ciò che lo Stato dismette o smette di fare direttamente. Ma non ci pare che l’innovatore Renzi segua questo approccio, ma che piuttosto lui si appresti a ripetere gli errori di Monti e Tremonti: tagli lineari ed una prece per chi ne subisce le conseguenze.
In questa disamina a volo d’uccello, e dopo aver sorvolato pietosamente sulle irrisolte problematiche della sanità e della coperta corta delle pensioni, per le quali l’aumento dell’età pensionabile contrasta la possibilità di creare occupazione giovanile e viceversa, avremmo delle domande per la Renzi&Co.: se non se ne occupa il Governo, a chi ci si deve rivolgere per conoscere quanto attiene alla politica estera di cui nessuno sembra occuparsi alla Farnesina nonostante le questioni aperte di Siria, Isis, Marò, Libia, Iran, MO e via cantando, di cui scontiamo le conseguenze in primis in Europa? E della prevenzione e regolamentazione dell’immigrazione clandestina che ha da tempo raggiunto situazioni parossistiche e non più sopportabili con chi se ne deve parlare? O della sicurezza, con bande di clandestini che scorazzano indisturbate, anzi pure difese dalle istituzioni, che assaltano ville, sequestrano, stuprano, rubano ed ammazzano, con gruppi terroristici che ci minacciano ogni giorno di questo o di quello, a chi si deve chiedere visto che non una parola trapela in merito dal Governo?
A Renzi interessa solo l’Italicum, la riforma della legge elettorale, l’unica che non ha alcun effetto sulla ripresa economica. Ha partorito uno Job’s Act che è il risultato della media delle medie di tutte le mediazioni, cioè una inutile ed indecente oscenità perchè flessibilizza meno di poco il mercato del lavoro e non risolve il problema di costruire un solido ed efficace sistema di ammortizzatori sociali a protezione dei lavoratori nei periodi di transizione tra un’occupazione e l’altra. La società civile è in continua evoluzione, professioni e mestieri evolvono in continuazione, alcune figure professionali vanno in disuso, altre ne nascono ogni giorno. Una seria riforma del lavoro dovrebbe servire a creare le condizioni per eliminare i rami secchi del sistema produttivo nazionale, distogliendo le risorse disponobili dai settori improduttivi ed indirizzrle là dove si possono mettono in moto attività remunerative che creano ricchezza ed altro lavoro. Se siamo ridotti come siamo è anche perchè per decenni ci siamo incaponiti a mantenere in vita aziende cotte e decotte, per le quali ci sarebbe costato molto meno pagare i dipendenti tenendoli a casa piuttosto che farli lavorare in perdita. Con questa visione assistenziale (spesso clientelare) dell’economia ci siamo preclusi l’innovazione tecnologica e ci siamo suicidati con un sistema fiscale penalizzante, causando una diffusa perdita di competitività delle aziende e del sistema Italia, che sarebbe tutta da recuperare in un momento di feroce competizione internazionale e di grande crisi globale.
Obbiettivi neanche sfiorati dallo Job’s Act. Però dopo la sua approvazione il ciarlatano fiorentino ha subito strombazzato a destra e manca che il primo immediato effetto del suo provvedimento è stata la creazione di ben 76mila unità lavorative con contratto a tempo indeterminato già nel primo mese, gennaio 2015. Non lo avevano avvertito che si è trattato di un risultato contingente dovuto all’accumulo di poche nuove assunzioni da parte di datori di lavoro in attesa dell’entrata in vigore della legge, per risparmiare sui contributi sociali. Ed infatti ecco che già il mese dopo, febbraio 2015, arrivare la gelata a raffreddare i facili ed infondati entusiasmi : la bollicina s’è sgonfiata e la disoccupazione ha ripreso a crescere, specie quella giovanile, per non dire di quella delle donne.
Tra le riforme in cantiere ce ne sono alcune che mirano a blindare lo strapotere della sinistra in ottica di governo ed a minare dalle fondamenta libertà e democrazia in Italia. Se fanno il nuovo Senato delle Regioni i 95 nuovi senatori saranno tutti di sinistra perchè non saranno eletti, ma saranno designati scegliendoli tra gli amministratori locali, oltre a 5 nominati dal Capo dello Stato, un’istituione questa di cui la sinistra si è appropriata senza che nessuno abbia avuto qualcosa da ridire a destra. E’ vero che questo nuovo Senato avrà un potere (quasi solo) consultivo. Ma la sinistra con la legge truffa della Camera (200 seggi catturati dal PD grazie a poche migliaia di voti in più su 41 milioni di elettori), un Senato controllato al 100%, gli scranni di presidenza delle Camere saldamente nelle proprie mani, con 12 membri su 15 di sinistra dentro la Consulta, il controllo della Rai e dell’80 % dei media nazionali, rischia di trasformare, con l’avallo di un assente (o compiaciuto?) Renzi, in un monolitico sistema alla bulgara, dove alla fine decideva tutto la segreteria del partito, quel sistema garantista nazionale fatto di pesi e contrappesi istituzionali voluto dai padri costituenti per garantire alla maggioranza di governare ed all’opposizione di avanzare critiche costruttive. Basta vedere come funziona adesso il Parlamento: si fa tutto per decreto legge governativo, senza poter discutere od apportare correttivi migliorativi in qualsiasi materia legislativa.
Di fatto, in questo momento in Italia si approva solo quello che decide Renzi. Ma le riforme funzionano solo se sono condivise, per cui c’è da aspettarsi che con questo approccio renziano alla fine salterà tutto il banco, di vere riforme manco l’ombra e vedremo passare il treno della ripresa limitandoci a salutare col fazzoletto quelli che, beati loro, si trovano già a bordo. Ma c’è di più, perchè Renzi ed i renziani palesano un disarmente capacità progettuale senza la quale qualsiasi nuovo disegno è inefficace o controproducente. Per esemplificare il concetto prendiamo la riforma al momento più strombazzata: quella per combattere la corruzione. E’ chiaro come su questo obbiettivo si sia tutti d’accordo. Ma c’è da chiedersi se la riforma già licenziata dal Senato e che si appresta a varare questo esecutivo sia efficace per reprimere questo triste fenomeno che rende nel mondo noi italiani tutti dei famigerati disonesti per colpa di relativamente pochi corrotti annidati nella politica e nella PA.
La corruzione è figlia diretta della burocrazia, perchè è chiaro che se i passi da svolgere per avviare un’attività imprenditoriale o commerciale, ottenere licenze, rimborsi ed autorizzazioni, sono decine e decine, e per completare l’iter di approvazione occorrono anni ed anni, la tentazione di prendere scorciatoie è forte. In questo, i concedenti hanno un enorme potere negoziale, o paghi od aspetti, ed ai richiedenti non rimane altro che rassegnarsi e mettere mano al portafoglio. Così, si deve pagare per ottenere ciò che dovrebbe essere concesso per diritto. Ora, col nuovo provvedimento, le pene per i corrotti saranno inasprite, ma questo risulterà un deterrente sufficiente a scoraggiare individui che si danno da fare per raccogliere e mettere da parte centinaia di migliaia, o milioni, di euro per sistemare se stessi, amici e parenti, con la prospettiva di campare tutti di rendita? Pensiamo proprio di no, perchè cosa volete che spavento rappresenti per questa gente qualche teorico anno di galera in più in un Paese come l’Italia dove tra condoni e presunta buona condotta si entra e si esce di prigione a proprio piacimento come fosse un albergo, dove nemmeno più gli assassini vanno in galera, ed anzi agli ergastolani vengono concessi permessi-premio durante i quali rapinano banche e negozi, assaltano furgoni portavalori ed ammazzano i rivali d’affari o d’amore? Ai corrotti dimostrati provino a toccarli nel portafoglio, non solo per pretendere la restituzione del mal tolto, ma sequestrando senza pietà qualsiasi avere loro e dei loro parenti sino al quarto grado, poi vediamo se ne cominciamo ad eliminare qualcuno.
Se affrontato con intelligenza, il problema corruzione potrebbe essere risolto intervenendo a monte, snellendo la burocrazia e rendendo gli iter veloci e trasparenti, in modo che tutti sappiano quali sono i passi burocartici e la loro calendarizzazione. Non parliamo dei marziani, la cosa è fattibile. Abbiamo raccontato qualche tempo fa quanto successo al pastificio Rana di Verona. Di fronte al successo al di là delle aspettative di alcuni nuovi prodotti, la Rana progettò la realizzazione di un modulo produttivo per raddoppiare la produzione in Italia. Lo stesso modulo sarebbe stato clonato anche negli Usa, a Chicago, per rafforzare la presenza nel Nord e Sud America dove il mercato della pasta fresca era ed è in forte espansione, nel momento in cui si è creata una catena di omonimi ristoranti. Per fare la stessa cosa, cioè realizzare lo stesso stabilimento, sono occorsi 5mila firme e 7 anni a Verona, 5 firme ed 11 mesi nell’Illinois. Non solo. Le autorità municipali di Chicago dettero sostegno alla società Rana in tutta la fase realizzativa, con i VV.FF che suggerivano soluzioni efficaci per i sistemi di sicurezza, in modo che risultassero economici pur nel pieno rispetto delle normative del settore, e la polizia faceva la stessa cosa dispensando consigli per i sistemi antintrusione. Con tutti i ragazzi volenterosi che non trovano neanche un lavoretto, che ci vorrebbe ad istituire anche qui in Italia degli sportelli unici, dove aspiranti imprenditori nazionali ed esteri presentando una domanda possano ottenere in tempi ragionevoli le autorizzazioni richieste per l’avvio di attività, senza dover girare anni per i vari uffici dove rischiano di dover versare delle mazzette per trovare un minimo di ascolto?
Quindi una riforma inutile quella di Renzi, perchè non risolve il problema della corruzione, non dà occupazione, ma è anzi dannosa perchè crea un problema enorme, quello dell’invadenza dei magistrati. Tra i risvolti del provvedimento, si può rilevare che i termini di prescrizione dei reati di corruzione, che a leggere il codice panale esperti di diritto stimano in 16 anni, si allungano di altri 6. Ora il reato di corruzione è sul piano dell’immagine uno dei più devastanti, per cui ci si dovrebbero aspettare tempi brevi per i giudizi. Quante persone innocenti hanno visto troncarsi attività o carriere per accuse riconosciute infondate dopo 10 o 15 anni? E chi restituisce loro queste vite buttate? E poi l’impostazione data al provvedimento fa nascere nuovi problemi. L’accusa di corruzione, o di un reato ad essa assimilabile, ti appiccica addosso un’etichetta della quale è difficile, se non impossibile, liberarsi. Già non è facile rifarsi un’immagine nel caso di piena assoluzione, figuriamoci quando questa non arriva mai, non perchè non si sia innocenti, ma per l’impossibilità di potere dimostrare la propria innocenza perchè interviene la prescrizione del reati di cui si è stati accusati. Ma comprendiamo che questo per i giustizialisti di professione non sembra essere un problema visto che tutto dipende poi se si è o meno di sinistra, per cui i vicesegretari indagati non si devono dimettere, il ministro non indagato sì, perchè lui non è di sinistra.
Ora tutti hanno assistito all’esondazione in questi ultimi anni della magistratura che ha invaso tutti i settori della società, del sistema produttivo, dell’etica e della morale, con interpretazioni disinvolte e soggettive delle leggi che dovrebbero imporre e far rispettare, e che invece applicano a loro discrezione, in base alle loro convinzioni politiche od ideologiche. Un modo che ha condotto alla disuniformità di giudizio e da questa al vero e proprio libero arbitrio contro il quale per il cittadino pare non possa esserci difesa alcuna. Basti vedere come si sono svolti e conclusi negli ultimissimi tempi alcuni eclatanti casi giudiziari, con imputati dichiarati prima innocenti e poi colpevoli, o viceversa, in diversi gradi di giudizio, sulla base degli stessi atti processuali. Si può avere fiducia in questo sistema giudiziario che adotta meccanismi che sembrano mutuati dal gioco del lotto e dove l’esito di un processo è più affidato alla fortuna, al caso, alle circostanze che non al diritto? Poi c’è la piaga dei rossotogati, che essendo la minoranza dei magistrati, hanno creato un sottosistema urlato, in ossequio al principio che la maggioranza è silenziosa e la minoranza chiassosa, nel quale si espongono con evidente a smania di protagonismo con l’utilizzo della la giustizia per indirizzare ed asservire la politica. Decidono tutto loro, in qualsiasi settore della vita quotidiana. Dipende tutto dai rossotogati, se un’azienda può o meno svolgere attività, se si può staccare la spina ad un malato, se gli omosessuali possono sposarsi ed adottare bambini, se un disegno di legge va bene oppure non piace loro e va radicalmente cambiato rima che lo approvino, e se per caso passa poi lo sfasciano in Corte Costituzionale.
Uno che dichiara di essere animato da tanti buoni propositi come Renzi dovrebbe opporsi a questo stato di fatto, proporre ed attuare una riforma atta a cacciare la politica dalla giustizia ed i giustizialisti dalla politica, riconducendo la magistratura nell’alveo che le compete nella visione accettata da tutte le democrazie del mondo della divisione e separazione dei poteri Esecutivo, Giudiziario e Legislativo. Invece lui che fa? Fornisce ai giudici schierati la possibilità di servirsi della legge anticorruzione non per combattere e reprimere i disonesti, ma per permetter loro di perseguire e far fuori avversari politici indagandoli senza prove anche per 22 anni.
Quando si affacciò al Quirinale, Renzi promise solennemente che il suo non sarebbe stato un governo di “solo annunci”. In questo è coerente: infatti il suo è un governo fatto solo delle chiacchiere di uno pseudo-politico che invece di rottamare la politica come millanta, sta distruggendo le residue speranze di rilancio del Paese.
Rosengarten | aprile 7, 2015 alle 5:04 pm | Etichette: governo renzi, renzi | Categorie: Italia,Politica ed Economia | URL: http://wp.me/p3RTK9-8r9