Ad un «popolo dalla dura cervice»

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Segnalazione di Federico Prati

Riflessioni su “Cristo giudice” di Paolo Pasqualucci

di Cristina Siccardi

San Paolo, nella sua Lettera agli Ebrei, non usa mezzi termini per coloro che si macchiano di apostasia, il suo avvertimento è drastico e tagliente:

«Infatti, se pecchiamo volontariamente dopo aver ricevuto la conoscenza della verità, non rimane più alcun sacrificio per i peccati, ma soltanto la terribile attesa del giudizio e la vampa di un fuoco che dovrà divorare i ribelli» e poi comunica con tono perentorio: «È terribile cadere nelle mani del Dio vivente!».

È chiaro che Paolo di Tarso ammonisce e mette paura. Perché oggi queste parole e questo genere di insegnamenti non vengono più riproposti? A rispondere in maniera efficace e con argomenti solidi è il Professor Paolo Pasqualucci in un denso articolo apparso su conciliovaticanosecondo.it (http://www.conciliovaticanosecondo.it/articoli/il-cristo-giudice/#more-2650), dal titolo Il Cristo giudice.

Il filosofo cattolico, fra i più profondi e raffinati dell’età contemporanea, sostiene che la pastorale odierna della Chiesa non rammenta mai ai fedeli che Gesù Cristo è il «giusto giudice», che deciderà in modo infallibile il destino eterno di ciascuna anima immediatamente dopo la morte. Il motivo per cui il destino ultimo e definitivo di ogni individuo (Paradiso, Purgatorio ed Inferno) non viene più citato e non è più oggetto di attenzione né orale, né scritta, ha le sue pastorali origini nell’Allocuzione di apertura del Concilio Vaticano II (11 ottobre 1962), nella quale Giovanni XXIII si faceva portavoce di una nuova tendenza «implicante un’inconcepibile divaricazione tra “misericordia e dottrina”.

Infatti, fu Giovanni XXIII a propugnare l’idea straordinaria secondo la quale la Chiesa non doveva più condannare gli errori, dato che gli uomini contemporanei già mostravano, disse, di “essere propensi a condannarli”.

Pertanto, la Chiesa preferiva ora “usare la medicina della misericordia piuttosto che della severità. Essa ritiene di venire incontro ai bisogni di oggi mostrando la validità della sua dottrina, piuttosto che rinnovando condanne” (AAS 54 – 1962, p. 792). Forse in passato la Chiesa non aveva mai cercato di dimostrare la “validità della sua dottrina”, indipendentemente dalle condanne? Basta leggere una qualsiasi Epistola degli Apostoli… Conseguenza?

«Cessando di condannare gli errori che attentavano numerosi alla salvezza delle anime, dentro e fuori la Chiesa, la Gerarchia veniva meno al suo dovere e di fatto apriva le porte dell’Ovile ai lupi».

Pasqualucci non fa altro che riproporre, in termini espliciti ed esaustivi, le leggi dell’Antico e del Nuovo Testamento. Cristo diede il primato del suo governo in terra a Pietro e al Papa, «roccia della Chiesa», diede le chiavi del Regno dei Cieli. Cristo risorto disse: «Come il Padre ha mandato Me, anch’io mando voi. E detto questo, soffiò su di loro e disse: ‒ Ricevete lo Spirito Santo. A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi, e da chi li riterrete, saranno ritenuti» (Gv 20, 22-23).

Giovanni XXIIII considerava dei «profeti di sventura» (Allocuzione, 11 ottobre 1962) coloro che si opponevano alla rinuncia della Chiesa a condannare l’errore. Oltre 50 anni dopo possiamo constatare le ragioni di coloro che temevano il troppo ottimismo del Papa… e in Il Cristo giudicepossiamo comprendere l’assoluta necessità di ricordare alle anime che cos’è l’errore e dove esso conduce, e allo stesso tempo possiamo capire che uno scorretto concetto di misericordia apre la porta ad innumerevoli errori per sé e per le nazioni. Ci fu un Vescovo, fra i «profeti di sventura», a continuare, anche dopo il Concilio Vaticano II, a ricordare alla Chiesa questo suo indispensabile compito: Monsignor Marcel Lefebvre.

Pasqualucci ha pubblicato un libro filosoficamente e giuridicamente stimolante a questo proposito, La persecuzione dei “lefebvriani” ovvero l’illegale soppressione della Fraternità Sacerdotale San Pio X (Solfanelli). Nel maggio del 1975 la Fraternità Sacerdotale San Pio X, congregazione di vita in comune senza voti (pubblici), fondata cinque anni innanzi secondo le leggi del diritto canonico, venne soppressa unitamente al suo Seminario, dove continuavano ad essere formati sacerdoti secondo la Tradizione della Chiesa. Secondo il Diritto canonico, soltanto al Pontefice spettava il potere ultimo di dissolvere una congregazione regolarmente istituita; tale volontà doveva risultare da una pontificia «approvazione in forma specifica» della procedura di soppressione:

la prova di questa stessa approvazione non è mai stata fornita; l’autore, con il suo consueto stile puntuale e preciso, ne offre ampia dimostrazione giuridica.

Anche gli uomini di Chiesa, come tutti gli uomini con un potere, sia esso religioso o civile, sono tenuti a giudicare. Sommo e privo di «dialogo» con le anime trapassate è il potere di Dio, il quale conferisce al Figlio il ruolo di Giudice Supremo: Gesù sarà il Giudice temibile di alcuni e il Salvatore di altri. Alla fine dei tempi, incontreremo Gesù come nostro prezioso e amato Salvatore oppure come Giudice implacabile a seconda di come avremo vissuto.

Pasqualucci spiega molto bene in Il Cristo Giudice la pericolosità di far prevalere il primo volto di Cristo sul secondo: «Proseguendo su questa china, si è giunti oggi a proclamare, nella prassi di un’ufficiosa e anomala “pastorale liquida”, mirante comunque a far emergere ed imporre ulteriori “novità” sulla scia di quelle introdotte dal Concilio, che la misericordia di Cristo “va oltre la giustizia soprattutto perché essa vuole “facilitare” la fede delle persone senza comportarsi come una “dogana”». Vegliare e vigilare per non cadere in tentazione, per non lasciarsi mai vincere dal sonno spirituale, tenendosi sempre pronti ad andare incontro alla volontà di Dio, la sola degna di sublime ascolto.

Per quanto concerne la volontà di Dio in fatto di Misericordia e di Giudizio è stata ampiamente esplicitata dalla Seconda Persona della Trinità e presentata nel Nuovo Testamento. Ai Pastori fedeli al loro mandato, autenticamente misericordiosi, che desiderano non altro se non tutelare le anime, la mansione di rammentare questa volontà divina ad un «popolo

 

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