Segnalazione Quelsi
by Rosengarten
Dal defilato e disincantato punto di osservazione degli Usa, al Grexit, cioè alla possibilità che la Grecia potesse uscire dal sistema della moneta unica europea, sono stati in pochissimi a credere. Neanche le tre sorelle del Cra (Credit Rating Agencies) di solito sempre all’erta ed a caccia di carogne da spolpare senza fatica si sono interessate più di tanto alla questione. Fior di analisti finanziari, di economisti, di politologi non si sono mai posti la “drammatica questione” del cosa sarebbe successo in Europa se la Grecia fosse uscita, od uscisse ora, dall’euro, perchè sarebbe un evento troppo catastrofico per potersi verificare.
Al massimo, di fronte ad una coppa di gelato o ad una bottiglia di bourbon del Kentucky ogni tanto è capitato qualcuno disposto ad indulgere in teoriche elucubrazioni od a qualche volo pindarico sul tema Grexit, al solo fine di dilettarsi in speculazioni meramente intellettuali nel quale esibire le proprie raffinate doti di strateghi della finanza per prevedere cosa sarebbe successo in quel caso alla Grecia, non all’Europa. In linea generale, si ritiene che il Grexit sia una sorta di passatempo, il tormentone dell’estate 2015 con cui riempire le ore passate sotto l’ombrellone, come a loro tempo lo sono stati il cubo di Rubik o la macarena perchè nessuno crede che esso sia una evenienza plausibile o possibile. E all’unico tema su cui si è svolto il dibattito, ovvero al cosa sarebbe successo alla Grecia nel breve, medio e lungo termine se fosse uscita dall’euro, la risposta è stata semplice e lapidaria: niente.
La Grecia non è un Paese industrializzato. Ha un po’ di agroalimentare, cereali, vino resinato, tabacco, ouzo, le olive delle Cicladi, lo yogurt, la feta, qualche allevamento. Poca roba che dà luogo ad un minimo di industria di trasformazione per ottenere i prodotti conservati. Messo tutto insieme non sia arriva al 15 % del Pil. La Grecia è però un Paese che eccelle nel terziario, che da solo fa il 70 % del tutto con due grosse fonti di reddito: il turismo e la flotta mercantile. Del turismo si sa. Invece pochi sanno che la flotta mercantile greca è la più grande del mondo, essendosi la Grecia ripresa il primato dal Giappone che gliel’aveva strappato per una decina di anni all’inizio del secolo. Secondo i dati aggiornati di un vero esperto in materia, l’inglese Martin Stopford della Clarkson Research, la bandiera ellenica oggi sventola su una stazza lorda complessiva di 164 milioni di tonnellate, lasciandosi dietro il Giappone, fermo a meno di 160 milioni, e poi Cina, Germania e Corea del Sud. Da sola, la Grecia controlla il 20 % del trasporto mondiale su nave ed il 40 % di quello europeo ed in particolare trasporta un quarto di tutto il petrolio in giro per il mondo.
A restituire la leadership del trasporto via mare agli armatori greci è stata proprio la crisi del 2008. In Giappone avevano fatto enormi investimenti per l’espansione delle flotte che con la crisi gli armatori nipponici hanno avuto difficoltà a ripagare, con il conseguente fallimento di molti di loro, specie dopo il crollo della Lehman Brothers che aveva fatto precipitare i volumi del trasporto merci ai livelli del 1980. Più lungimiranti, gli armatori greci avevano parsimoniosamente investito tra il 2000 ed il 2008 solo parte dei margini accumulati negli anni d’oro, per cui hanno sofferto un po’ sui ricavi, ma hanno evitato i rischi che comportano pesanti esposizioni finanziarie come accaduto in Giappone. Per quanto concerne il turismo, in effetti il Grexit qualche preoccupazione a brevissimo termine l’ha provocata. Molti turisti nordamericani e nordeuropei hanno disdetto le prenotazioni per l’estate in corso preoccupati che una eventuale uscita dall’euro mentre intenti a crogiolarsi al mare rendesse le loro carte di credito inservibili, o oggetto di sanguinose speculazioni sul cambio rispetto a non si sa a quale divisa. Ma una volta escluso che il Grexit sia una minaccia incombente, molti hanno fatto o faranno marcia indietro, affollando le sterminate spiagge elleniche affacciate sull’Egeo anche nel 2015.
C’erano molti indizi ad indicare che il Grexit non fosse una cosa seria. L’economia greca pesa meno del 2 % in quella del gigante europeo dell’Ue-28. In percentuale sembra ancora un’entità significativa, ma che diventa niente scritta in valore assoluto: 0,02. La Grecia viene dopo la virgola, e pure dopo il primo decimale. Che impatto reale potrebbe avere la sua defezione sull’intera economia europea? Eppure l’Europa si è impegnata con tutte le sue forza a “salvare” la Grecia. Perchè? Solo per encomiabile e solidale spirito altruista, o che altro? Ad illuminare lo scenario ci sono un paio di affermazioni del responsabile della Bce Mario Draghi, uno che si condivida o meno quello che dice non esprime mai banalità, dichiarazioni che la dicono lunga su quali fossero le reali preoccupazioni dell’Ue rispetto alla Grecia. Nei giorni scorsi Draghi interrogato su un eventuale dopo-Grexit ha detto che “l’euro è irreversibile”, per poi aggiungere che “se la Grecia uscisse si entrerebbe in terreni inesplorati”. Parole apparentemente criptiche, ma che invece hanno un ben preciso significato. Ma soprattutto che a differenza di come sono state interpretate da molti politici, analisti e commentatori, non si riferiscono alla Grecia, ma all’Europa.
Tre anni fa, è bastato paventare il default di Italia e Spagna, oltre a quello della Grecia, per fare schizzare lo spread oltre quota 500. Era semplicemente successo che gli investitori internazionali guidati da agenzie di rating interessate a facili speculazioni avevano scommesso sull’esplosione e relativa frantumazione dell’euro. In questo caso, si sarebbe assistito nei vari Paesi al ritorno alle ex monete nazionali, spesso parecchio inflazionate, per cui per ridurre i rischi connessi ai cambio ed alla restituzione dei crediti si sono pretesi interessi su prestiti obbligazionari e rendimenti dei titoli pubblici molto più elevati di quelli offerti dal mercato con l’euro moneta unica. Il solito principio che tanto più i rischi di recupero degli investimenti sono elevati, tanto più alti devono essere gli interessi corrisposti. Per ripagare questo rischio noi in Italia arrivammo a pagare i rendimenti dei titoli di stato sino al 7% ed oltre, mentre nella finanziariamente molto più credibile Germania erano scesi quasi a mezzo punto.
Poi ci siamo salvati con Draghi, che ha fatto sapere a tutti che l’euro sarebbe stato difeso ad ogni costo, con ciò tranquillizzando investitori speculativi ed istituzionali. Ed infatti gli spread si sono subito ridimensionato, anche sotto quota 100, nei Paesi come i PIIGS in cui era arrivato a livelli stratosferici. Ma se la Grecia esce dall’euro, ecco che va in pezzi il teorema dell’irreversibilità della moneta unica europea e ci sarebbero effetti domino catastrofici per gli spread. E qui interviene la seconda affermazione di Draghi, quella dell’ingresso in territori inesplorati, per cui non si sa dove si andrebbe a finire. In un Paese come l’Italia con 2200 miliardi di euro di debito pubblico, e in molti altri Paesi dell’eurozone in analoga situazione, uno spread sopra i 250 punti base divorerebbe per interessi quelle poche risorse disponibili per la ripresa e si cadrebbe veramente in un baratro senza fine, altro che recessione. Quindi la Grecia non esce dall’euro non perchè le convenga rimanerne dentro, ma perchè è l’Europa a non potere sopportare i costi della sua uscita ed usa il ricatto del catastrofico indebitamento ellenico per tenerla dentro.
In giro per il mondo non è che il Qe (Quantitative Easing) di Draghi da oltre 1000 miliardi di euro l’abbiano preso benissimo. Negli Usa la Fed ha introdotto il Qe da anni ed ha stampato molta più carta (dollari) di quanta ne stamperà la Bce. In quel caso il Qe si è reso necessario per raffreddare i tassi, cioè ridurre costo di denaro e rendimenti, per creare liquidità e rendere meno appetibili gli investimenti sui titoli di stato od a reddito fisso. In Europa invece i tassi stanno già al minimo, allo 0,05 %, cioè praticamente il denaro non costa nulla ed i rendimenti sono bassissimi: a che serve allora il Qe? Secondo l’affermato economista Martin Feldstein, negli Usa l’iniziativa della Fed ha avuto come immediata conseguenza lo spostamento sulle equity di una enorme massa di denaro, che ha prodotto grandi plusvalenze che hanno accresciuto la ricchezza di famiglie ed investitori che hanno ripreso a spendere, con immediati e positivi riflessi su consumi e produzione industriale, cioè al sostegno di crescita ed occupazione.
In effetti in Europa il Qe è servito soprattutto a riequilibrare il cambio euro-dollaro, che da 1,34 s’è assestato attorno ad 1,10, rendendo più competitivo sui mercati internazionali il sistema produttivo dell’eurozona, a scapito dei BRICS, Usa e Giappone. Ma alla Grecia, che è tutto meno che un Paese industriale o manifatturiero, cosa gliene importa del Qe? Anzi, se uscisse dall’euro ed adottasse una svalutatissima dracma la sua competitività sarebbe superiore, e di molto, a quella che gli può garantire l’euro, per quanto indebolito ed artificiosamente inflazionato con lo strumento messo a punto da Draghi. Ecco quindi confermarsi che mentre la Grecia ha una sua struttura peculiare che le consentirebbe di sopravvivere all’euro, non è vero il viceversa ed il Grexit sarebbe la fine dell’Euro, la fine di una Europa fatta di egoisti tenuti insieme con lo scotch, con molti Paesi gettati nel baratro dei default dalle demenziali politiche europee degli ultimi decenni improntate a rigore, invece che allo sviluppo ed all’occupazione.
Con il crollo di Eurolandia, tanti di quelli che ora pontificano a Strasburgo ed a Bruxelles, cioè gli inutili politici per professione, non per vocazione, dovrebbero mettersi in cerca di un posto di lavoro, ammesso che lo trovino, per guadagnarselo il vitto e l’alloggio, invece che fare la bella vita su e giù in aereo in business class, con stipendi mensili a 4 zeri con privilegi e prebende accollati sulle nostre spalle. Ergo, da oggi in poi, guardando i telegiornali, ascoltando i notiziari o leggendo la stampa europea, che riferiranno con toni trionfalistici del raggiunto accordo con la Grecia, guarda caso con uno di sinistra che sta facendo l’esatto opposto di quanto promesso in campagna elettorale, occorre fare la tara della falsa retorica europeista e transcodificare le informazioni: Grexit si traduce con Euxit e Grecia con Europa. Per cui un titolo che suonasse :l’Europa evita il Grexit e salva la Grecia, va tradotto in : la Grecia evita l’Euxit e salva l’Europa. Ma quella delle banche, non l’intima unione dei popoli sui territori ed orizzonti socio-economici e culturali comuni prefigurati dai padri fondatori col trattato di Roma del 1957.
Rosengarten | giugno 24, 2015 alle 7:43 am | Categorie: Politica ed Economia | URL:http://wp.me/p3RTK9-9IQ
Interessante analisi !