La Turchia evita (per ora) il regime islamico

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MAMMA LE TURCHE

Segnalazione Quelsi

by Mario Bocchio

Recep Tayyip Erdogan avrebbe voluto attuare una vera e propria riforma di stampo presidenzialista della forma di governo della Turchia, dando vita così ad un regime di fatto. Avrebbe dovuto ottenere i due terzi del Parlamento (367 seggi) per poi far votare la riforma del sistema di governo, in pratica approvarla con il solo appoggio del suo partito, l’Akp (Adalet ve Kalkınma Partisi), islamico-conservatore. Ciò però non potrà accadere, in quanto alle elezioni legislative tenutesi domenica 7 giugno, l’Akp ha perso la maggioranza assoluta, dopo essere stato per ben tredici anni il partito di maggioranza. Ora Erdogan sarà costretto ad un governo di coalizione, tenendo conto che l’Hdp (Partito democratico dei popoli) è riuscito a passare col 10% dei voti necessario per essere rappresentato tra i banchi dell’Assemblea nazionale, dove dovrebbe avere una presenza di oltre 70 deputati. La comunità curda rappresenta il 20% della popolazione turca. Vincitore di tutte le elezioni tenutesi in Turchia dal 2002, il partito islamico-conservatore si presenta così per la prima volta indebolito e “abbandonato” dagli elettori. Come ha fatto rilevare in maniera pressoché omogenea la stampa internazionale, il declino di popolarità vissuto dall’Akp è legato a doppio filo alle condizioni economiche vissute del Paese e alla forte critica alla deriva autoritaria del suo leader storico nonché attuale presidente della Repubblica turca, Erdogan.

Nel corso della campagna elettorale l’opposizione aveva più volte denunciato l’idea di riforma del presidente definendola un futuro tentativo di imporre una “dittatura costituzionale”.

Proprio durante la campagna elettorale si era verificato il caso del noto giornalista Can Dundar, direttore del quotidiano di opposizione Cumhuriyet, arrestato e che oggi rischia addirittura l’ergastolo. È accusato di aver svolto un’inchiesta sulle armi destinate a gruppi armati islamici in Siria a bordo di camion scortati dai servizi segreti del Mit. Uno scoop che aveva subito scatenato la veemente reazione proprio di Erdogan, che aveva avvertito il giornalista che avrebbe pagato “a caro prezzo” i suoi articoli.

Le foto incriminate erano state scattate nel gennaio 2014 da militari della gendarmeria che avevano effettuato un controllo dei camion scortati dal Mit; il governo aveva allora negato che a bordo ci fossero armi, ma aveva garantito che si trattava solo di aiuti umanitari.

I soldati che però avevano partecipato al controllo sono poi stati i primi a pagare per quelle immagini altamente compromettenti: infatti sono stati prima trasferiti e poi arrestati e incriminati per spionaggio.

Mario Bocchio | giugno 10, 2015 alle 5:25 pm | Categorie: Israele, Medio Oriente e Islam | URL: http://wp.me/p3RTK9-9Gs

 

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