Segnalazione Quelsi
by Rosengarten
Che nella vicenda dei Marò ci fosse del torbido e che i due fucilieri fossero vittime sacrificali per altri interessi è sempre stato molto più di un sospetto avanzato da molte parti, a cominciare da Qelsi. Però adesso se ne ha la conferma perchè, come spesso accade, anche se immerse nella melma più vischiosa, a lungo andare spesso le cose affiorano per spontaneo e naturale processo di decantazione. Ieri è apparsa in rete una lettera che l’allora Ministro delle Giustizia, sig.ra Paola Severino, tramite il suo capo di gabinetto dott.r Eugenio Selvaggi, inviò il 13 marzo del 2013 ai colleghi del Governo Monti per spiegare le ragioni per le quali, sulla base delle rilevazioni satellitari, del diritto penale e di quello internazionale l’Italia avrebbe potuto e dovuto rifiutarsi di riconsegnare agli indiani i Marò che si trovavano in Italia per una licenza elettorale di 4 settimane. Si ricorderà, che in un primo momento il governo annunciò che i Marò sarebbero restati in Italia, decisione che però il premier Monti presto si rimangiò dietro i “saggi” consigli di due membri di quel terrificante esecutivo, il Ministro della Difesa amm. Giampaolo Di Paola e quello per lo Sviluppo Economico, nonchè ad interim anche per le Infrastrutture ed i Trasporti, Corrado Passera.
Di questi figuri, il primo “tremò” all’idea di disonorarsi per il mancato rispetto della parola, ma non lo sfiorò nemmeno l’idea del disonore che rappresentava per gli indiani e per noi stessi l’avere catturato con l’inganno due ignari soldati italiani in missione operativa, di averli trattenuti e poi arrestati senza nessun capo di accusa e senza un termine di scadenza per la detenzione preventiva, nonostante la totale assenza di capi di imputazione. Il secondo temeva che la decisione di trattenere i Marò avrebbe deteriorato od addirittura pregiudicato le floride relazioni commerciali con l’India, ed in particolare la fornitura dei superelicotteri della italo-inglese AgustaWestland, un’azienda che gravita nella galassia Finmeccanica. Poi si sa come è finita. Invece di restiturci i Marò e tenersi gli elicotteri gli indiani hanno fatto il contrario, ci hanno restituito gli elicotteri e si sono tenuti i Marò, ma non è che Monti, malconsigliato, ed i due cattivi e sprovveduti consiglieri abbiamo dimostrato un qualche pentimento.
Monti si gode un supervitalizio da senatore ed ogni tanto va a salutare gli amici al Senato (sembra incredibile, ma pare che persino lui ne vanti un paio a Palazzo Madama), invece di sedere sul banco degli imputati per spiegarci per conto di chi e per quali ragioni ha fatto il Terminator dell’Italia. L’amm. Di Paola, dopo aver scaricato tutte le colpe sul malcapitato ministro Terzi, che invece si era tenacemente schierato con la Severino e voleva trattenere i Marò, tanto che si dimise per dissenso, siccome era stato così bravo a riconsegnare al “nemico” i Marò, cioè dei suoi soldati che avrebbe dovuto difendere con “sprezzo della vita”, a gennaio del 2014 tornò in Finmeccanica come consulente, con diritto a suontuoso ufficio personale con annessa segreteria presso la sede della Finmeccanica Group Service di Via Piemonte, a Roma.
Passera, dal canto suo, in attesa degli sviluppi dei tanti procedimenti giudiziari che lo riguardano per i suoi precedenti di disinvolto manager – noi ricordiamo quello avviato nel 2014 presso la procura di Trani per truffa pluriaggrvata circa una serie di derivati finanziari collocati sul mercato da Banca Intesa di cui era amministrato delegato, e quello in tandem con De Benedetti per le morti da amianto in Olivetti, società di cui era consigliere di amministrazione, ma chissà se non ce ne dimentichiamo qualcun altro – è ricicciato come assai poco credibile leader politico di un sedicente movimento Italia Unica, con la pretesa adesso di venire a dire a noi, lui che non riuscì a trattenere due soldati innocenti che già stavano qui, come fare per far risollevare le sorti assai compromesse del Paese. Ma mentre Monti imperversava lui dove stava? Il lato tragico della faccenda è che è tutto vero e che non stiamo su Scherzi a Parte.
Ma in tutto questo, evidenza della lettera Severino a parte, erano cose risapute che riguardano fatti e circostanze già di pubblico dominio e su cui molto si polemizzò prima che Monti e compari sparissero nel nulla, di notte, alla chetichella, facendo perdere le loro tracce e senza nulla pagare per tutto il male reso al Paese. In effetti oltre a Passera, in attesa di sviluppi giudiziari ci dovrebbe essere anche l’amm. Di Paola, il quale giusto un anno fa, fu denunciato da Alfredo Saitto, un ex alto ufficiale della Marina Militare, ammiraglio in pensione che era stato in servizio presso il Quirinale durante la presidenza del picconatore Cossiga. Nell’esposto inviato alla Procura Generale Militare di Roma contro Di Paola si denuncia “grave inettitudine al comando e l’abbandono di due militari in servizio, da lui dipendenti, in territorio straniero ad essi chiaramente ostile”. In altri termini, quello descritto è un vero e proprio tradimento dei due fucilieri. Aggiunse poi il denunciante : “…Questa è stata solo la punta dell’iceberg. Il comando dell’intera vicenda è stato disastroso. Risulta che quando gli indiani chiesero alla nave Enrica Lexie con i Marò a bordo di rientrare in porto, da Santa Rosa a Roma (quartier generale delle operazioni della Marina, ndr), all’inizio dissero no. Poi l’armatore, la Farnesina e alla fine lo stesso ministro Di Paola decisero diversamente”.
Questo mosaico dell’intera vicenda, che in tanti hanno tentato di ricostuire mettendo insieme le tessere che si sono via via rese disponibili, è tuttavia gravemente incompleto, perchè in esso manca una delle componenti che invece a nostro avviso ebbe un peso determinante per il ritorno in India di Latorre e Girone ed il trascinarsi di un caso di cui oggi neanche si intravvede la conclusione. Questa “presenza” vagamente avvertita, ma che brilla per la sua assenza, è la magistratura italiana, la Procura di Roma in particolare.
E’ il 24 dicembre del 2012, vigilia di Natale. Latorre e Girone sono a casa con le rispettive famiglie. L’India ce li ha rimandati con la certezza, più che con la speranza, che ce li saremmo tenuti. Infatti, ci fanno depositare una cauzione da 840mila euro, che vanno ad aggiungersi ai 300mila già versati alle famiglie dei due pescatori uccisi. Un milione centoquarantamila euro, niente male come riscatto per la liberazione di due marinai che sono completamente estranei all’omicidio dei due pescatori keralesi. E la liberazione da una patata bollente che scotta sempre di più. Ci pensi l’Italia. Il clima internazionale è favorevole alla richiesta italiana della giurisdizione del caso. Onu, Ue, Nato, sono tutti d’accordo. Addirittura è Catherine Ashton, una inglese allora ministro degli Esteri della Ue, a sposare la causa dei Marò con insospettato furore, una che ama gli italiani così tanto da essersi fatta stampare una carta dell’Europa in cui Austria e Svizzera sono direttamente affacciate sul Mediterraneo, anche se poi i clandestini si fermano molto prima.
Sull’onda del consenso, la Farnesina aveva già preparato una richiesta di arbitrato da spedire al Tribunale Internazionale del Mare di Amburgo. Ma successe qualcosa e quella richiesta sarà spedita solo due anni e mezzo dopo e ad un altro indirizzo, l’Alta Corte di Giustizia dell’Aia. La Farnesina, cioè Terzi, scrive una lettera per informare tutti, inclusi Monti, Severino e Di Paola circa l’opportunità più unica che rara che si offre di tenersi i Marò e di non rispedirli in India, senza nessun inghippo e senza nemmeno rischiare una crisi politico-diplomatica. Si evidenzia, infatti, che nell’affidavit, cioè nel documento che l’ambasciatore italiano Mancini deve sottoscrivere prima del rilascio dei Marò, c’è una clausola clamorosa, che certo non è capitata lì per caso e di cui i magistrati indiani hanno perfetta conoscenza. Una formulazione accettata e sottoscritta dai giudici della Corte del Kerala che allora avevano in custodia i Marò, in cui con una frase si afferma che “l’Italia si fa garante del ritorno dei due Marò in India, fatte salve le garanzie costituzionali dell’Italia e nell’ambito del loro esercizio”.
Ora si dà il caso che la Procura di Roma avesse già da tempo aperto un fascicolo sui Marò indagati per duplice omicidio volontario, un reato per il quale, in base alle prerogative della giustizia previste nella Costituzione italiana, l’azione penale E’ OBBLIGATORIA. Infatti Terzi si fa parte diligente e nella lettera indica a Monti, Severino e Di Paola “l’opportunità, o meglio l’esigenza di segnalare prontamente alla Procura della Repubblica che i due Marò si trovano in Italia, ed il ricorrere delle condizioni affinchè la nostra giurisdizione sia effettivamente esercitata. Ne deriverebbe l’impossibilità pratica per i due interessati a rientrare in India nei tempi previsti….” Quindi nessuno scippo, nessuna furbiza all’italiana, ma Latorre e Girone sarebbero dovuti rimanere qui in Italia, a disposizione della magistratura italiana per le indagini e la fase istruttoria per il reato di omicidio avvenuto su una nave italiana in acque internazionali, secondo quanto previsto dalla nostra Costituzione e dal Diritto Internazionale che ci consegnava la giurisdizione del caso.
Di fatto l’India ci aveva lasciato carta bianca sul caso, ma noi abbiamo rifiutato di occuparcene. Tra l’altro c’è anche un altro punto costituzionalmente rilevante. Siccome Latorre e Girone certo non volevano tornare in India, la loro partenza forzata dall’Italia si è configurata come una vera e propria estradizione verso l’India, un Paese in cui vige la pena di morte, che per loro non poteva essere esclusa perchè allora l’accusa era di omicidio volontario. Ma secondo esplicita indicazione della Carta costituzionale, l’Italia non può estradare nessuno dal proprio territorio, italiano o non, verso Paesi come l’India nei quali, per i reati di cui si è accusati è prevista anche la pena di morte. Quindi, Latorre e Girone non avrebbero dovuto lasciare il Paese, invece avvenne l’esatto contrario. Ci sarebbe stata eventualmente una controversia od una disputa tra magistrature che avrebbero dovuto trovare un accordo tra loro senza il coinvolgimento della diplomazia, dei governi e dei rapporti bilaterali, ed anche di quelli internazionali, ora che la Ue ha sospeso la ratifica del trattato di libero scambio con l’India.
Secondo voci di corridoio, che prima o poi verranno fuori allo scoperto, fu Palazzo Chigi ad esercitare una sorta di “moral suasion” per fare insabbiare l’indagine che avrebbe trattenuto e mai più rispedito in India i Marò. Noi siamo certi che la magistratura italiana sia molto gelosa della sua indipendenza e della sua più completa autonomia, per cui ci rifiutiamo di credere che i magistrati romani si fecero influenzare da qualcuno o che cedettero a pressioni interessate o che furono compiacenti con chicchessia. Detto questo, però qualcuno ci dovrà pure spiegare perchè in qualche caso giudiziario si arrivi a completare tre gradi di giudizio in un mese, per giunta nel corso di un mese tipicamente da ferie estive come luglio, mentre per Latorre e Girone il fascicolo sia stato sepolto sotto montagne di scartoffie che con le carte hanno seppellito pure le loro e nostre speranze di una rapida ed equa soluzione del loro caso. Perchè la Procura di Roma ha smesso di indagare, e che fine ha fatto il fascicolo dei Marò?
Però adesso è tutto a posto, anche se Latorre è ricercato e Girone carcerato. Piccoli, fastidiosi, trascurabili danni collaterali. Invece, Monti si gode la pensione, Passera si propone di salvarci, Di Paola sta al fresco nel suo ufficio di Via Piemonte, la Procura romana va in ferie, gli indiani vanno al mare e Renzi è sereno e si diverte ad ascoltare gli altri al telefono. Tutti contenti, no? Di che ci lamentiamo?
Rosengarten | luglio 10, 2015 alle 6:47 pm | Categorie: Giustizia e Società | URL:http://wp.me/p3RTK9-9L0
Ho inviato ad amici e conoscenti questo articolo che è degno di un romanzo ! Purtroppo è la realtà riguardante una nazione con governi indegni e schiavi di tutto e di tutti.
Se si potesse tornare indietro nel tempo, in un futuro ipotetico, questi personaggi meriterebbero la fucilazione alla schiena come traditori della Patria. Ma non sarà mai fatta giustizia di questi esseri e pochissimi conosceranno la storia, così come ora pochissimi conoscono la storia di’Italia e come si è costruita questa nazione. Ora non si raccolgono che i frutti più amari, dopo decenni di speranze e decenni di guerre e sconfitte cocenti dall’unità d’Italia in poi.