Segnalazione di Federico Prati
DI MAURO BOTTARELLI
Ma l’Ucraina è sparita? Per settimane ogni singolo telegiornale apriva la propria edizione con gli sviluppi del conflitto nel Donbass, con i suoi risvolti geopolitici e con la reazione pavloviana dell’Europa alle sanzioni statunitensi contro Mosca. Oggi, a parte il giallo dell’aereo malese e della sua carcassa dispersa per migliaia di chilometri, silenzio totale. Come mai? Forse perché l’operazione “primavera araba” in salsa ucraina non è andata come si sperava? Anzi, come Washington sperava, almeno per adesso. E non è solo e tanto la questione militare a preoccupare, quanto quella del debito e della crescita economica, visto che la parte russa del Paese, la Crimea della
discordia, è il cuore industriale.
Inoltre, gli investitori esteri stanno già oggi abbandonando il Paese perché spaventati dalle continue tensioni, con i giganti Shell e Chevron che hanno già cancellato tutti i progetti legati al gas nell’area: di più, a causa del conflitto, l’Ucraina sta vivendo un paradosso, essendosi trasformata da fornitore netto di energia per la regione a nazione sempre di più dipendente da energia importata.
Unite a questo la crisi della moneta nazionale, la hryvnia, crollata di oltre il 60% sul dollaro da inizio di quest’anno e capirete facilmente come il debito del Paese, denominato in dollari, stia diventando sempre più insostenibile, tanto che il Fmi ha già sancito la necessità di una sua ristrutturazione, nemmeno a dirlo a condizioni molto meno capestro di quelle offerte alla Grecia (prima, oltretutto, di tagliare la corda dal terzo salvataggio, statuto alla mano).
E non basta, perché se da un lato Mosca va affrontata militarmente, dall’altro la Russia è uno dei principali creditori del Paese, il cui stock di debito da 70 miliardi di dollari sta ormai diventando argomento di intenso dibattito internazionale, ancorché molto sottotraccia e in silenzio. E mentre Grecia e Ue stanno provando a chiudere un accordo, nelle stesse ore Kiev ha detto chiaramente di non poter far fronte agli obblighi che i creditori le impongono. Sarà, ma non ho notato in giro lo sdegno riservato ad Atene, potere forse di buone amicizie. Il primo ministro ucraino, Arseniy Yatsenyuk, ha chiesto ai creditori di capire come il suo Paese sia in guerra e abbia già perso un quinto della sua crescita economica totale, con il Pil sceso del 23% dal 2012 e con il Fmi che quest’anno attende un’altra, dura contrazione.
E che qui la faccenda sia rischiosa lo ammette proprio il Fmi, il quale nel suo ultimo outlook sui rischi legati al debito ucraino ha definito gli stessi «eccezionalmente alti», arrivando a raccomandare ai detentori di bond di incorrere in perdite ora, in modo che la posizione debitoria ucraina non vada fuori controllo da qui al 2020, come ci mostra il grafico a fondo pagina. E ancora una volta, i cosiddetti regolatori stanno dimostrandosi niente più che dilettanti allo sbaraglio, visto che di fronte a una sostenibilità a lungo termine di questa delicatezza, il Fmi aveva previsto per quest’anno una contrazione del Pil ucraino del 5,5%, salvo rivederla a fine luglio al -9%!
Mikolay Gueorguiev, capo della missione del Fondo in Ucraina, ha dichiarato a discolpa delle errate previsioni che «il conflitto nell’area Est del Paese ha avuto un impatto più duro del previsto sull’economia nel primo trimestre» e ha messo in guardia dal fatto che, a fronte di un possibile, ulteriore peggioramento, potrebbe scatenarsi una crisi umanitaria con decine di migliaia di persone che si trasformeranno in profughi, scappando da un Paese a pezzi verso una vita migliore. Attenzione, quindi, a un
potenziale fronte di immigrazione anche da Est, visto che i governi dell’area balcanica non sembrano molto inclini all’accoglienza, come dimostra il muro ungherese al confine con la Serbia.
Inoltre, il deprezzamento selvaggio della valuta locale ha portato il tasso di inflazione alle stelle, tanto che il Fmi ha stimato che raggiungerà il 46% entro la fine dell’anno, con i salari in totale caduta libera! Per ora il Fmi ha già approvato un prestito da 17,5 miliardi per il Paese, somma che a Washington vorrebbero parte di un piano internazionale da 40 miliardi di dollari, di cui 13,5 si vorrebbe in forma di ristrutturazione del debito, ma non tutti paiono d’accordo, visto che la vicenda greca non ancora risolta vede i falchi europei del Nord tutt’altro che ben disposti verso altri regali. Per il ministro delle Finanze ucraino, Natalie Jaresko (cittadina americana), gli investitori devono accettare una perdita del 40%, mentre un gruppo di creditori già riunitosi in consorzio è pronto a discutere, ma su una percentuale che non deve superare il 5%: insomma, già oggi è muro contro muro.
Questo gruppo chiamato “Ad-hoc Committee of Bondholders to the Ukraine”
ritiene infatti che il debito di Kiev non sia così insostenibile e pensa che il
problema sia solo di liquidità governativa nel breve termine: come dire, subito
un’iniezione di capitali per pagarci quanto dovuto e vedrete che tutto si
risolve. Sembra la pantomima dei fondi Ela per le banche greche. Nemmeno a
dirlo, il gruppo rappresenta quattro creditori – fondi con base a Londra e New
York – che detengono in tutto bond governativi e di aziende a controllo statale
per un controvalore di 9 miliardi di dollari, poco più di un ottavo del totale
e più della metà dello stock di debito contrattabile da Kiev: guidato dalla
Frankyn Templeton, il comitato ritiene che la sua proposta di ristrutturazione
del debito ucraino non solo accontenti tutti i criteri del Fmi, ma garantisca
anche 16 miliardi di risparmio tra interessi e maturazioni, poco distante come
risultato dal prestito da
17 miliardi messo in campo da Washington.
E la questione è dirimente non solo per le tasche di chi ha investito, ma per
il futuro stesso del mercato ucraino, visto che un haircut troppo pesante
potrebbe scoraggiare futuri investitori, i quali cercherebbero mete più sicure
per il proprio business, il tutto con il rischio potenziale di chiudere fuori
dal mercato di capitale sia il governo che il settore privato ucraino,
rallentando la ripresa e, anzi, esacerbando il carico di debito per finanziarsi
a condizioni sempre più svantaggiose, se non impossibili. E la situazione
generale è anche qui da partita di giro, visto che il Fmi pensa che l’Ucraina
sarà in grado di ottenere circa 7 miliardi da investitori privati entro il
2020, periodo nel quale dovrà però ripagare proprio al Fmi circa 8 miliardi di
dollari!
Per Evghenia Sleptsova della Oxford Economics, «i negoziati sulla
ristrutturazione quasi inevitabilmente porteranno a un inadeguatamente basso
haircut, questo perché comunque andranno inglobati rischi negativi che sconta
il Paese, come un’escalation del conflitto con Mosca, una ripresa più debole
del previsto, una nuova ondata di perdite per il settore bancario o l’
incapacità del governo di implementare le riforme economiche richieste dai
creditori istituzionali». Sempre la Sleptsova fa notare che «i creditori
potrebbero puntare a un default prima della ristrutturazione, visto che questo
potrebbe portare a maggiori profitti futuri rispetto al valore dei bond che
detengono». A oggi sembra che il Fmi proporrà una moderata riduzione sul
capitale di quei bond, quindi un qualcosa che non va incontro alle necessità di
breve-medio termine di Kiev, ma il tempo stringe, perché tutti vedono la
deadline fissata per il 23 settembre, quando Kiev dovrà
onorare una scadenza da 500 milioni di dollari. Visto però che servono 21
giorni a entrambe la parti per studiare i termini e accettarli, il punto finale
dei negozi potrebbe essere già all’inizio della prossima settimana.
In compenso, però, Kiev ha già detto che il suo obiettivo è quello di
completare i negoziati entro «la fine di settembre», facendo implicitamente
capire che potrebbe non onorare la scadenza del 23, tanto che Christine Lagarde
ha già detto che il Fmi resterà comunque al fianco dell’Ucraina e continuerà a
prestarle soldi anche in caso di default. Per Vadim Khramov di Bank of America-
Merrill Lynch, però, «l’uso dei media invece che il contatto diretto tra il
ministro delle Finanze ucraino e i detentori di bond dimostra quale sia il
livello di improduttività attuale della negoziazione. La minaccia di una
moratoria e di un hard default sono di fatto sul tavolo».
E se “filantropi” come George Soros parlano di Piano Marshall per l’Ucraina, l’
alternativa potrebbe essere quella di un default disordinato, ben peggiore dell’
equivalente greco, visto che parliamo del rischio di miseria e tensioni sociali
in un contesto già di fatto di guerra e con una popolazione che è quattro volte
quella ellenica in termini numerici. Attenti a scordarvi l’Ucraina, potrebbe
tornare a farsi ricordare in maniera molto brutale.
Mauro Bottarelli
Fonte: www.ilsussidiario.net