Segnalazione Quelsi
Qualche settimana fa, Matteo Renzi ha sostituito (in anticipo di quasi un anno) i vertici della Cassa depositi e prestiti, da sempre braccio armato della politica economica del governo. La scelta è caduta sul tandem Claudio Costamagna e Fabio Gallia e nonostante la notizia sia passata in sordina, alcuni commentatori si sono giustamente chiesti, senza ottenere risposta, quale fosse la strategia sottesa al cambio in corsa. La questione non è banale. Fa poco rumore, ma la Cassa depositi e prestiti è pur sempre la maggiore istituzione finanziaria del nostro Paese, con un bilancio pari a dieci volte quello di Unicredit e Intesa San Paolo messe insieme. D’altra parte, la poca chiarezza intorno a quest’ultima nomina è del tutto in linea con l’ambiguità che contraddistingue la natura e lo scopo della Cassa. Formalmente, la Cdp è una società per azioni. Ma l’abito formale non è altro che una foglia di fico, perché sia la legge che il suo statuto limitano notevolmente la circolazione dei suoi titoli, stabilendo che lo Stato debba in ogni caso rimanere azionista di maggioranza (oggi ha l’80%, il resto è in mano a fondazioni bancarie) e che nessun altro socio possa detenere più del 5% del capitale.
Potrebbe forse sorprendere, di conseguenza, che nel 2003 il governo abbia reso la Cassa una società per azioni. La spiegazione, in realtà, è molto semplice: la trasformazione ha fatto in modo che Eurostat, l’ufficio statistico dell’Ue, la classificasse come intermediario finanziario. In questo modo, la Cdp non è più considerata come ente statale e le attività finanziarie che compie non vengono conteggiate nel debito pubblico, in quanto il risparmio postale è considerato un prestito di privati a una S.p.A. privata. E lo stesso accade con l’acquisto di quote societarie dallo Stato: il corrispettivo, che quindi proviene o dal risparmio postale o da operazioni finanziarie della stessa Cdp, non è considerato come denaro pubblico. Ciò ha una duplice funzione: da una parte consente allo Stato di condurre operazioni che, se compiute direttamente dal governo, potrebbero destare l’accusa di aiuti di Stato; dall’altra, come accennato, è utile a spostare poste di bilancio da una tasca all’altra dello Stato con l’effetto di determinare un’apparente riduzione del debito pubblico (per esempio con la cessione di Fintecna, Sace e Simest dal Tesoro alla Cassa).
Il ruolo della Cdp, del resto, non si esaurisce qui. Anzi. L’ampiezza del suo oggetto sociale giustifica pressoché qualunque operazione di finanziamento, consulenza e partecipazione in enti, opere e società, pubbliche e private. Con un unico, vero vincolo: il divieto di investire in aziende in perdita. Ed è ormai divenuta una parodia di se stesso il ritornello con cui il governo e i vertici della Cdp individuano da anni “settori strategici” in cui quest’ultima debba investire, dagli alberghi all’agroalimentare, dalle banche alle aziende pubbliche locali, dalla siderurgia agli aeroporti. Legittimo, per carità: ma come si può credere al governo quando annuncia la futura privatizzazione di società in mano alla Cassa, senza che venga contemporaneamente stabilita la durata del possesso temporaneo di azioni da parte di quest’ultima? Ingenuità (o scelte) che hanno determinato, negli ultimi anni, la costruzione di un puzzle di partecipazioni e scommesse industriali sempre più confuso e difficile da districare. Un puzzle in cui diventa impossibile comprendere dove la Cdp sia volano per l’internazionalizzazione delle imprese, dove tampone ai “fallimenti del mercato” e dove, infine, investitore istituzionale. Rendere il quadro meno ambiguo sarebbe il minimo, se non altro perché quel puzzle vale circa 450 miliardi di Euro. E poco importa se sono soldi pubblici o pseudo-privati: dal ruolo attribuito alla Cdp si potrebbe comprendere molto di più della politica economica del governo Renzi.
Giacomo Mannheimer | settembre 2, 2015 alle 4:19 pm | Etichette: cassa depositi e prestiti | Categorie: Italia, Politica ed Economia | URL: http://wp.me/p3RTK9-9Rs