Mayonnaise balcanica, il grande ricatto di Bruxelles

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Mayonnaise balcanica

Segnalazione Quelsi

by Stefania Elena Carnemolla

Il 20 aprile scorso, a Belgrado, abbiamo fotografato in un parco della città, uno dei tanti rifugi a cielo aperto, iracheni e afghani. La capitale serba, ormai al collasso, è il simbolo del fallimento della comunità internazionale. Dopo la guerra dei Balcani, all’orizzonte una crisi le cui spie si sono già accese. E dov’era la notizia? Che le frontiere sono state sfondate? Al di qua dell’Adriatico le frontiere erano già state sfondate, questo mentre la Casa Bianca, con i suoi alleati, destabilizzava la Siria, seminando macerie anche altrove. Il più sincero è stato Daniel Pavlov Mitov, ministro degli Esteri bulgaro, che da Sofia, intervistato dalla tv di Stato, accusa: “In Siria lo Stato islamico è il maggiore generatore di flussi di rifugiati”. E fanno di riflesso sorridere le parole del generale americano Martin Dempsey, capo di Stato Maggiore delle Forze Armate Usa, ora preoccupato per i flussi umani dalla Siria e dal Nord Africa verso l’Europa. “È un’emergenza enorme, una crisi reale”, così, l’alto ufficiale, intervistato dalla Abc.

Sotto ricatto dell’Unione Europea il Montenegro, paese candidato a far parte del club. “Fino a un anno fa” racconta una giovane montenegrina “a Podgorica anche fra la comunità musulmana si viveva una certa normalità, poi tutto è cambiato. Quando abbiamo visto le giovani donne coperte e velate, abbiamo avuto uno shock. Nei luoghi di preghiera, non si prega, s’indottrina. Sottratti alla scuola, i ragazzi vengono nutriti a odio contro l’Occidente”. Il governo tace per amore di Bruxelles, i cui diktat sulla “società multiculturale” accetta supinamente. Anche gli ambasciatori di Obama in Montenegro trascorrono, non da oggi, più tempo al centro culturale islamico di Bar – Antivari, il porto montenegrino sull’Adriatico – che altrove. Tutto, in quel centro, tranne che cultura. Nostalgia dei bei tempi in cui in Egitto regnava il Fratello Musulmano Mohamed Morsi, protetto e vezzeggiato dalla diplomazia americana e ingozzato a dollari.

In mezzo ci sono loro, quelli che fuggono e che si trovano stritolati dall’una e dall’altra parte. Nei Balcani, i più deboli cedono, diventando carne da macello degli estremisti. Tutti gli altri, fuggono. Semplicemente.

Sotto ricatto dell’Unione Europea anche la Serbia: “Non usiamo spray al peperoncino, non picchiamo la gente”, così Aleksandar Vučić, primo ministro serbo, il 27 agosto scorso al Western Balkans Summit di Vienna, fra gli stucchi dell’Hofburg, l’antico palazzo imperiale. Vučić accusa: “Stiamo trattando queste persone nel migliore dei modi possibili, aiutandole in diversi modi. Queste persone si trovano in una situazione davvero difficile, ecco perché le stiamo trattando responsabilmente. Stiamo solo aspettando che la Merkel e l’Unione Europea ci dicano cosa dobbiamo fare. Non abbiamo chiesto soldi, ad oggi abbiamo solo ricevuto 390.000 euro”.

Una mancia. Non come quando si è trattato di aiutare la Francia, dove, allentati i cordoni della borsa, da Bruxelles sono arrivati 5,2 milioni di euro. La Serbia, e non solo la Serbia, abbandonata a se stessa, rischia il collasso. Bocconi amari da inghiottire, non tanto per spirito umanitario. C’è chi pensa che la diplomazia di Belgrado stia solo tentando di impressionare Bruxelles per mettere sul piatto della negoziazione, per il suo ingresso fra i paesi membri, l’aver ridotto la Serbia a una spugna, ormai logora, con cui assorbire flussi e flussi di persone provenienti dalla Siria, dall’Iraq, dall’Eritrea, dalla Somalia, dall’Afghanistan. Nei Balcani – dove, dopo il conflitto degli anni Novanta, gli equilibri sono ancora deboli e dove la popolazione, piegata dalle conseguenze della guerra, non accetta la situazione – la pentola è esplosa. Da Bruxelles solo diktat, ricatti e nessun aiuto, questa l’accusa. Perché l’Unione Europea ha voluto fare dei Balcani un luogo-cuscinetto dove stivare i tanti che fuggono? E in mezzo ai quali s’annidano anche mele marce? Perché non ha mai aiutato i governi in difficoltà? Cui prodest? “Alla Nato”, rispondono in molti. Perché è in queste terre che la Nato vuole allungare la sua ombra. “La Nato ci proteggerà”, così, infatti, il battage pubblicitario su stampa, tv, locandine, grandi manifesti urbani. “Da cosa?”, si chiedono anche i più giovani. La gente dei Balcani è acuta e reattiva, sa e capisce, nonostante la stampa, in particolare internazionale, non aiuti, inquinando, al guinzaglio delle cancellerie e non solo delle cancellerie, i pozzi. Una mano all’altra “grande causa” la dà Al Jazeera Balkans, con sede a Sarajevo.

Nessuno vuole i Balcani, e le vicine regioni, in pace. L’Unhcr, l’Alto Commissariato per i Rifugiati dell’Onu, continua ad accusare i governi locali e le loro politiche non all’altezza, chiedendo a paesi reduci da un sanguinoso conflitto di fare miracoli e che, imbarazzata, ora invoca un coordinamento fra Unione Europea, governi locali e Ong.

Nel frattempo, il 4 settembre scorso, a Ohrid in Macedonia, i ministri dell’Interno di Austria, Serbia, Ungheria e Macedonia, paesi coinvolti dai flussi umani lungo la rotta balcanica, hanno siglato un memorandum, che presenteranno a Bruxelles in occasione della prossima riunione dei ministri dell’Interno dell’Unione Europea. “Il documento”, così Mitko Cavkov, ministro dell’Interno macedone “rappresenta una piattaforma per ulteriori nostre attività congiunte”. Maggior coordinamento fra i paesi interessati, aiuto a migranti e rifugiati e, soprattutto, contrasto ai trafficanti di uomini. Con uno sguardo a Bruxelles, cui si chiede sostegno e aiuto.

Non c’era solo il mare, anche la via di terra era a rischio e non da oggi. Una mayonnaise impazzita, che i gourmant di Bruxelles e d’oltreoceano ancora oggi guardano con inconfessabile compiacimento.

Stefania Elena Carnemolla | settembre 5, 2015 alle 4:18 pm | Etichette: belgradodegrado,profughi | Categorie: AttualitàPrimo Piano | URL: http://wp.me/p3RTK9-9Sn

 

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