La Lega e la caccia al tesoro padano

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MARINI E SALVONI

RETROSCENA SUL PARTITO CHE OGGI VORREBBE SOSTITUIRE LA DESTRA:

Nella guerra di successione del dopo-Bossi, le fazioni si contendono un gruzzolo di 20 milioni di euro. Spostato su una banca di Bolzano

di Giovanni Tizian e Gianfrancesco Turano

11 novembre 2015

Le eredità guastano i rapporti nelle famiglie più unite. Figurarsi tra parenti serpenti quali sono diventati i leghisti. Il movimento delle scope che tre anni fa ha mandato in pensione il fondatore Umberto Bossi a vantaggio di Bobo Maroni e poi di Matteo Salvini, aspirante leader del centrodestra a reti unificate, ha innescato uno scontro finanziario e politico mascherato dietro la compattezza marmorea del movimentismo padano. È una storia già vista con il patrimonio di altri partiti, dal Pci ad Alleanza nazionale. Gli indipendentisti verdi non solo si battono sui soldi senza essersi sciolti ma non hanno nemmeno la possibilità di litigare in privato sulle decine di milioni di euro di contributi pubblici accumulati in un ventennio di politica. Due procure della Repubblica, Milano e Genova, più l’avvocatura dello Stato, stanno dando la caccia al tesoro della Lega e ipotizzano truffa e appropriazione indebita. La giustizia ordinaria aveva parlato di 41 milioni di euro. Gli avvocati dello Stato hanno ritoccato al rialzo (59 milioni) la cifra che la dirigenza leghista avrebbe avuto a disposizione, e male impiegato, quando il tesoriere era Francesco Belsito, finito sotto indagine ad aprile del 2012, arrestato a marzo dell’anno successivo e oggi dipendente di una gelateria genovese. La posizione della Lega è che non c’è più un euro in cassa, tanto che la spending review in verde ha dovuto licenziare fin nella sede storica di via Bellerio.

Eppure, come “l’Espresso” è in grado di rivelare, 19,8 milioni di euro in liquidità e titoli sono stati trasferiti dalla filiale Unicredit di Vicenza e dalla sede milanese di Banca Aletti per essere messi in sicurezza dai debitori. Alla filiale milanese della Cassa di risparmio di Bolzano all’inizio del 2013 sono stati aperti due conti intestati alla “Lega nord per l’indipendenza della Padania”, come si chiama il partito per esteso. L’operazione, ordinata dall’allora segretario Maroni, è stata portata a termine grazie ai due principali soci dello studio legale AB e associati: il catanzarese Domenico Aiello e l’altoatesino Gerhard Brandstätter. Il primo è l’avvocato di fiducia di Bobo Maroni ed era presidente dell’Organismo di vigilanza della Sparkasse altoatesina. Il secondo era, al tempo dei fatti, presidente della Fondazione Sparkasse, azionista di controllo della banca. Alla fine di aprile del 2014 Brandstätter è stato spostato dalla fondazione e nominato numero uno dell’istituto di credito bolzanino. I due professionisti hanno seguito insieme processi molto importanti. I principali sono la malversazione di fondi attribuita all’ex presidente della Provincia, Luis Durnwalder, leader della Südtiroler Volkspartei (Svp) in carica alla Provincia per 35 anni fino al gennaio 2014, l’inchiesta per frode sportiva contro l’olimpionico di marcia Alex Schwazer, condannato e da poco rientrato in attività. Il procedimento più importante riguarda la Sel, la municipalizzata locale dell’energia, e le sue concessioni, con vari politici della Svp coinvolti. IL MALLOPPO DOVE LO METTO? Al margine dell’operazione Lega-Sparkasse, il nuovo vertice del movimento padano post-bossiano a guida Maroni avrebbe preso in considerazione varie soluzioni. Fra queste, la creazione di una fondazione sul modello di An e la costituzione di un trust di scopo per preservare il patrimonio. Entrambe le opzioni puntavano a sottrarre i fondi accumulati durante la gestione Bossi dalle rivendicazioni dei bossiani e, in primo luogo, di Matteo Brigandì, ex parlamentare leghista ma soprattutto legale di fiducia del partito fino alle dimissioni del Senatùr dal vertice del movimento nordista il 5 aprile 2012, due giorni dopo l’inizio dell’inchiesta contro il suo cerchio magico. «Le ipotesi di una fondazione e di un trust di diritto italiano», dice Aiello, «erano state avanzate da alcuni consulenti ma sono state rigettate per difficoltà tecnico-normative. Del resto, Brigandì aveva già pignorato 2,6 milioni di fondi sul conto Unicredit di Vicenza dove erano passati anche i fondi di Banca Aletti, che aveva consentito a Belsito di fare i bonifici a se stesso senza le procure che lo autorizzavano. Brigandì si è trovato in una situazione di infedele patrocinio avendo occultato a tutti, escluso Belsito, che aveva un titolo di debito verso la Lega riconosciuto da Bossi, fin dal 2004. Con Maroni segretario, il partito ha aperto un conto in Sparkasse che poi Salvini ha chiuso trasferendo il residuo in Banca Intesa nel 2014». Sulla tempistica è più preciso Brandstätter. «Mi sono informato in direzione generale», dice il presidente della banca impegnata in un roadshow per la ricapitalizzazione con Reinhold Messner come testimonial. «La Lega ha aperto un normale conto “easy business” nella nostra filiale milanese a gennaio del 2013 e poi un conto deposito titoli a marzo del 2013. Le posizioni sono state di fatto chiuse il 9 luglio del 2013 perché la Lega non era soddisfatta degli interessi che poteva offrire la Sparkasse, con un massimo del 2,5 per cento in quel periodo, poi sceso all’1,9. La chiusura formale della posizione è avvenuta un anno dopo, quando restavano poche migliaia di euro. Ma mi risulta che anche la cifra versata inizialmente fosse di alcuni milioni e non di 20. Quanti milioni non saprei dire». Aiello, che difende il governatore lombardo nel processo milanese per le consulenze all’Expo 2015 e che Maroni ha nominato nel cda della stessa Expo, concorda con Brandstätter anche sull’entità del tesoro, parlando di un paio di milioni al massimo. Un po’ poco per un partito che si è alimentato per anni con contributi pubblici e dazioni volontarie di parlamentari e militanti. Ma è il caso di procedere con ordine. DERBY CALABRO-SICULO IN SALSA VERDE Il 3 aprile 2012 il tesoriere leghista Belsito finisce sotto inchiesta. Insieme a lui, è coinvolto il cosiddetto cerchio magico. Emergono le spese pazze dei figli dell’Umberto: il maggiore, Riccardo, e il laureato albanese Renzo “il trota”. Due giorni dopo Bossi si dimette da segretario. All’interno della Lega, inizia uno psicodramma padan-freudiano dove la figura del padre, sofferente dopo l’ictus del marzo 2004, deve essere distrutta senza che si sappia in giro per non danneggiare l’intero movimento. Il 10 aprile 2012 c’è la notte delle scope anticipata dallo slogan “pulizia, pulizia, pulizia” di Maroni e conclusa dalla stretta di mano sul palco di Bergamo fra il fondatore e il leader in pectore. A riflettori spenti volano i coltelli. L’ala dura, dove non tarderà ad emergere il consigliere comunale milanese Matteo Salvini, pone il problema di una costituzione di parte civile della Lega al processo Belsito. Il desiderio di rivalsa del nuovo corso è forte anche se l’aggressione in tribunale al fondatore resta un’eresia. Il messinese Brigandì, interprete sanguigno del leghismo in salsa sudista, si elegge ultimo difensore dei bossiani in declino. La sua strategia si concretizza in una parcella da 6 milioni di euro complessivi presentata ai nuovi padroni della Lega a compenso di centinaia di cause perorate gratis et amore Dei in favore del movimento e dei suoi dirigenti. All’inizio del mese di ottobre del 2012 Maroni affida i pieni poteri legali del movimento a un altro diversamente padano, il calabrese Aiello che, secondo la vulgata ufficiale non confermata dagli interessati, il neosegretario ha conosciuto allo stadio di San Siro durante una partita dell’amato club rossonero. Fra i due avvocati del Sud sono subito scintille. Brigandì non è solo legato alla vecchia gestione ma ha parecchi problemi in proprio. Fra questi c’è l’estromissione dal Csm per avere, da consigliere laico, passato un dossier alla stampa con notizie diffamatorie su Ilda Boccassini, magistrato della Procura di Milano impegnato nel Rubygate. Dopo mesi di tensioni seguiti alle dimissioni di Bossi, la prima guerra civile leghista è dichiarata il 5 dicembre 2012 quando Brigandì ottiene il blocco di fondi per 2,6 milioni di euro sul conto della Lega in Unicredit a Vicenza, città del nuovo tesoriere Stefano Stefani, leghista della prima ora confluito nel nuovo corso maroniano insieme ad altri esponenti di primo piano del movimento come Roberto Calderoli e l’allora governatore piemontese Roberto Cota. Brigandì presenta come titolo di credito la dichiarazione firmata da Bossi, cioè dal suo cliente. Il sequestro fa parte di una strategia che punta, fra l’altro, a proteggere Bossi e la sua famiglia da eventuali ritorsioni della nuova dirigenza. Non è un timore infondato perché Aiello si costituisce parte civile per conto della Lega in tutti i rami del processo Belsito, legato a triplo filo con il clan del Senatùr. Gli ufficiali di collegamento tra le fazioni avviano una mediazione per lavare in casa i panni sporchi. Non si tratta soltanto di evitare l’attacco leghista a Bossi nei processi ma anche di garantirgli un vitalizio. Una richiesta iniziale di 800 mila euro all’anno viene ridotta a metà ma non c’è accordo su come affrontare i processi. E sotto il profilo giudiziario il 2012 per la Lega è un anno davvero sfortunato. Le indagini della cosiddetta rimborsopoli investono la Lombardia formigoniana e il Piemonte di Cota. In entrambi i casi, i consiglieri leghisti finiscono sotto inchiesta. L’EREDITÀ DEL CERCHIO MAGICO A febbraio del 2013 uno scoop di Paolo Biondani su “l’Espresso” rivela la mappa delle elargizioni di Belsito: 19 milioni di euro distribuiti a 67 persone o società amiche, a partire da Belsito stesso, da Bossi e figli, da Brigandì e dal falso avvocato calabrese Bruno Mafrici, consulente del ministro della Semplificazione Calderoli e indagato dalla direzione antimafia di Reggio Calabria nell’inchiesta Breakfast. Il 18 marzo 2013 Maroni diventa governatore della Lombardia. Il suo progetto è di approfondire i buoni rapporti in Alto Adige per costituire in parlamento un gruppo per le autonomie con Svp e Union Valdôtaine. Sono i giorni a ridosso della condanna in primo grado a due anni di Brigandì per il dossier anti Boccassini (26 marzo). Sono anche i giorni in cui arrivano alla Sparkasse i titoli della Lega dopo i primi 6 milioni di euro cash spediti ad apertura di conto in gennaio. I fondi sono remunerati al 3,5 per cento in Unicredit. La tesoreria retta da Stefani vorrebbe spuntare un tasso del 4 per cento. Viene avviata una trattativa che coinvolge l’allora direttore generale della Cassa, Peter Schedl. Il dirigente si mostra subito titubante sulla richiesta in una fase in cui i tassi d’interesse stanno scendendo. L’ipotesi di impiegare il denaro in operazioni a maggiore rischio, e con remunerazione superiore, deve essere scartata perché la legge 96 del luglio 2012 vieta ai partiti di investire fondi di provenienza pubblica in altro che non siano titoli di Stato italiani o dell’Ue. Schedl sarà estromesso dalla Cassa sei mesi dopo l’arrivo di Brandstätter (ottobre 2014) per le sue responsabilità nei cattivi risultati della banca (38 milioni di perdite nel 2013, 231 milioni l’anno dopo). Il negoziato sul tasso di remunerazione non va a buon fine anche perché la Bce continua ad abbassare i tassi. Così alla fine di luglio del 2013 torna in ballo l’opzione di un trust o di una fondazione dove conferire il patrimonio della Lega, dagli immobili alla liquidità che, nel giro di pochi mesi, è diminuita di diversi milioni. L’idea è discussa fra Maroni e Calderoli, poi trattata a livello tecnico. Uno dei professionisti consultati è il commercialista Carmine Pallino, addetto alla spending review di via Bellerio e consulente del Ministero del Lavoro con Maroni. MATTEO ROTTAMA BOBO Mentre prosegue la battaglia sui soldi pignorati da Brigandì, che Aiello attacca in tre tribunali (Milano, Vicenza, Pinerolo), sul fronte politico la Lega si prepara a un nuovo ribaltone. A settembre del 2013 Maroni ribadisce la sua intenzione di non mantenere il doppio incarico come governatore e segretario e annuncia le primarie per il mese di dicembre. La corsa a segretario è vinta da Matteo Salvini che, come l’altro Matteo del Pd, non resta inoperoso. Cancella tutte le costituzioni di parte civile della Lega dai processi contro Belsito. Rimpiazza Aiello con i suoi legali trentini Claudia Eccher e Christian Gecele. In parallelo con la rottamazione del sistema Maroni, confinato nel suo potere locale, Salvini avvia un nuovo negoziato con Brigandì e Bossi. All’inizio, fa la voce grossa e minaccia di dimezzare il vitalizio del Senatùr a 200 mila euro. Poi capisce che non ha senso mettere in discussione il fondatore. La scrittura privata del febbraio 2014, quella che stabilisce un primo accordo tombale sul passato fra la vecchia guardia e il nuovo corso, viene elaborata a lungo in modo che tutti abbiano soddisfazione. Il risultato finale è che Brigandì si tiene i 2,6 milioni di euro pignorati alla Lega e Bossi ottiene vitalizio e manleva da parte della Lega. Tramontato Maroni, nessuno nel partito nordista parla più di cercare investimenti in Alto Adige dove la cassa di risparmio (aprile 2014) cambia vertici e insedia alla presidenza Brandstätter con un vicepresidente di area Pd, l’ingegner Carlo Costa. In ottobre inizia un’ispezione di Bankitalia che durerà sei mesi. Aiello si separa consensualmente e in amicizia dallo studio legale del collega altoatesino alla fine del 2014. Non che gli manchi il lavoro. Difende Maroni dalle accuse di finanziamenti illeciti alla Lega nel processo contro l’ex manager di Finmeccanica Giuseppe Orsi. Fuori dall’area leghista difende sia Selex-Finmeccanica nel processo napoletano sul sistema Sistri sia l’ex numero uno dell’Inps, Antonio Mastrapasqua, arrestato lo scorso ottobre per le truffe sui rimborsi all’ospedale Israelitico. A partita chiusa, l’avvocato Brigandì minimizza. «Mi sto limitando a difendere Bossi», dichiara l’ex Procuratore generale della Padania, «e non c’è stato nessun contenzioso. L’abbiamo risolta con una conciliazione senza neppure arrivare in udienza. Certo ci sono stati momenti di tensione con Aiello, l’avvocato di Maroni, una vita fa. Ma Maroni non c’è più».

 

 

 

Fonte: http://m.espresso.repubblica.it/plus/articoli/2015/11/11/news/caccia-al-tesoro-padano-1.238374?refresh_ce

Una Risposta

  • Interessante leggere di come si inseriscano avvocati e dirigenti padani, nelle collusioni nazionali.
    Sarebbe un gran bene per i “padani” sempre attivi e, direi, fanatici, leggersi l’articolo e farsi un po’ di meditazioni al proposito.
    Ma si sa che chi non vuol vedere, cieco rimane !
    Tante volte la fede politica o sportiva vale ben più della fede cristiana !

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