di Raimondo Gatto
Appresi di Fra Ginepro da giovanissimo, praticando l’ambiente degli “infrequentabili” missini, un mondo ai “margini”, fatto da umili persone che, avendo aderito alla RSI, aveva perso l’occupazione in seguito all’epurazione; rammento un dirigente dell’ATM (l’azienda tranviaria) che per sopravvivere, lavorava come “maschera” in un cinema di Torino, ed un anziano gerarca ricoverato all’ospizio , dov’era finito per lo stesso motivo.
Tra gli altri interessi, in quanto cattolico praticante, m’incuriosì il fatto, che Fra Ginepro, avesse confessato Benito Mussolini, come narra nel suo libro: “Ho confessato il Duce” che ho utilizzato per questa memoria. (ed. Grafiche Riviera- Ceriale SV-1973).
L’episodio è singolare perché tra molti fascisti della RSI e la Chiesa, non correva buon sangue; inutile tentare analogie con altri movimenti politici ed altri statisti cattolici; questa era l’opinione dei più[1] manifestata dai reduci; essi consideravano i preti “traditori”[2], assieme ai badogliani, i monarchici, e alla borghesia in generale; tale opinione si trasmise ai simpatizzanti della Fiamma Tricolore fondata nel 1946.1 Compresi anche i motivi che avevano provocato l’adesione alla RSI, che non era affatto motivato dal “risvolto sociale” del programma, quanto per riscattare l’idea di un’Italia infedele, procurata dal disgraziato armistizio dell’8 settembre 1943; ciò che indignava i fascisti del tempo, era nei fatti l’accordo di molti ecclesiastici con i comunisti, avvenuto sulla pelle di Colui aveva firmato il Concordato del ‘29[3].
Fra Ginepro (al secolo Antonio Conio) fu un cappuccino cappellano militare; nella guerra d’Abissinia conobbe il domenicano Padre Reginaldo Giuliani[4] medaglia d’oro, caduto nel 1936.
Allo scoppio della guerra nel 1940, il cappuccino fu mandato in Albania; fatto prigioniero dai greci venne da questi consegnato agli inglesi e deportato in un campo di concentramento nel Misore (India britannica); rimpatrio’ nell’aprile del ‘43 grazie ad uno scambio di feriti prigionieri[5].
Nel maggio, Egli incontrò Mussolini che, risaputo del suo apostolato tra i prigionieri lo volle conoscere; cosi racconta: “Il Duce mi chiamò a sé, mi prese il cordone e si chinò a baciarlo”. A giugno, gli viene chiesto dal segretario Sforza di presiedere un comitato d’ assistenza per le famiglie dei prigionieri; cio’ avviene mentre si sta tramando la “congiura di palazzo” che provocherà il 25 luglio, la caduta del regime.
Ma al crollo del regime, alla dittatura militare di Badoglio, e la liquidazione del PNF, succede la liberazione di Mussolini dal Gran Sasso e la nascita del nuovo stato repubblicano: Fra Ginepro vi aderirà senza esitazione.
Mussolini, conosceva del cappuccino le sue qualità umane e di predicatore, e quando divenne il Capo della RSI, lo ricevette a Villa Feltrinelli di Gargnano; in quest’occasione Mussolini si confessò sacramentalmente la mattina del 15 dicembre, e ricevette la Santa Comunione[6]. Il religioso colse l’occasione per enumerare a Mussolini i punti d’attrito esistenti tra la Chiesa e la RSI, che vertevano essenzialmente sulla linea anti-cattolica e filo-comunista di taluni personaggi gravitanti intorno al bi-settimanale “Il Popolo di Alessandria”[7], notoriamente il più acceso contro il Vaticano[8].
IL VIAGGIO DI FRA’ GINEPRO IN GERMANIA NELL’AUTUNNO DEL ’44.
Quello che premeva a Mussolini, era la sorte degli internati italiani in Germania; egli conosceva l’odio che nutrivano i tedeschi a causa del tradimento; sapeva dei fatti di Cefalonia[9], e la rabbia che nutriva l’ex alleato; il vero statista rifulse infatti, con la fondazione della RSI, in altre parole quell’opera di contenimento del furore germanico provocato dall’armistizio che solo una ripresa dell’alleanza poteva placare; “Una Repubblica necessaria (RSI) come la definì Piero Pisenti, suo Ministro della Giustizia, nel suo libro.[10]
Mussolini ottenne da Hitler il rilascio di gran parte degli internati catturati dopo l’armistizio, e incaricò Fra Ginepro di verificare se ciò fosse avvenuto veramente inviandolo in Germania; altro motivo era di saggiare lo stato d’animo degli internati e dei lavoratori volontari, inviati prima dell’8 settembre, nonché di amministrare i sacramenti della Chiesa ai prigionieri da molto tempo privi.
La missione iniziò nel settembre del ’43, con la visita al lager di Wittenau, vicino a Berlino, dove furono liberati i primi internati, poi Wartemberg in Baviera; cosi annota Fra Ginepro: “A Wartemberg, il bombardamento di stanotte ha fatto sessanta vittime. I poveri morti sono quasi tutti a brandelli..,ho riuniti i superstiti e li ho rincuorati e benedetti insieme ai morti”. E prosegue: “A Salisburgo, c’è in tutti l’ostilità più aperta verso i tedeschi. Hanno sofferto troppo e non possono dimenticare così presto, anche se il passaggio dall’internamento alla libertà è stato sbalorditivo…C’è chi mi assicura che a ottobre la guerra sarà finita. Non solo la Germania non possiede le nuove armi, ma non ha più neppure le vecchie”. Altri internati, che entreranno nelle quattro divisioni del nuovo esercito, affermano: “Quando torneremo in Italia, li metteremo a posto i vili imboscati e i traditori rintanatisi sui monti”. Molti però, condannavano la guerra fratricida. Fra Ginepro osserva: “I tedeschi, benché contrari a Hitler, non si augurano la disfatta della patria”. Ugualmente nota che:“Negli stabilimenti, alla periferia di Berlino, e a estrarre le macerie nel centro della capitale, lavorano più di trentamila italiani”. Inoltre una dolorosa constatazione dopo la visita al campo internazionale di Seestrasse nel quale lavorano molte donne; gli segnalano che: “ Dopo le polacche, le più facili non sono le francesi o le spagnole o le ucraine, ma le italiane, me lo dicono con pena i nostri operai. In questo campo ho l’occasione di confessare una ragazza mantovana che custodisce fra tanti scandali il tesoro della vocazione religiosa”. Il racconto di Fra’ Ginepro è una preziosa testimonianza, sull’autunno del 1944, all’interno della Germania bombardata, e ricorda: “I russi, imbaldanziti dalle vittorie, influiscono col loro ascendente sull’animo degli italiani che si vedono abbandonati, e che esercitano una vera propaganda comunista, come mi aveva detto il Duce. Al campo di Rudow oltre due terzi degli operai ricevonola Santa Comunione” ..
Il viaggio prosegue da Monaco a Linz, poi Stoccarda, Colonia Emden, Konisberg, Rostock, e verso le regioni del Baltico. Egli raccoglie lo stato d’animo dei molti che rifiutano l’arruolamento nella RSI: “Siamo stati prigionieri finora, e vogliamo rimanerlo…intanto la fine è prossima”. “Tra i più accesi e ostinati in questo proposito sono i sottufficiali effettivi, i quali aderendo, temono di compromettere la carriera”. E poi la visita ad Amburgo devastata: “Nonostante la selva di scheletri cui è ridotta la bella città, oggi gli italiani sono considerati tutti senza distinzione traditori. Gli ex prigionieri che ritornano dal lavoro estenuati dalla fatica e dalla fame sono scherniti con l’invettiva di nuovo conio “badogliani”(Badoglio-leute). Al ritorno attraversammo la zona di Gropperling. Gli edifici, senza discontinuità ardevano e crollavano. La meravigliosa Mark-Platz, una delle più classiche della Germania, finora rimasta intatta, bruciava come un rogo dalla base ai pinnacoli.” Il religioso rileva pure: “Vedevamo la popolazione che con calma rassegnata e forte si adoperava a salvare il salvabile delle case distrutte. Vedevamo i posti di assistenza funzionare con un’organizzazione perfetta, dando a ogni sinistrato il più largo ristoro”. Sul lager di Warnemunde: “Qui l’ambiente è più sereno…anche i malati si vogliono alzare per partecipare alla riunione che inizia con la lode Mira il tuo popolo e termina con un canto alpino. Poi il campo di Aufmarshegelande, dove amministro un battesimo”. A Oldenburg, l’ incontro con gli italiani del III battaglione nebbiogeni, che in mezzo agli avvenimenti dell’armistizio, hanno aderito, volente o nolente, alla RSI; tutti chiedono la Santa Messa, e si comunicano. E ancora: “Visitiamo altri campi: il lager 490905, quello A.K.E. in Schutzenpforte. Solo pochissimi indossano vestiti civili. I più portano ancora la divisa militare ridotta a brandelli. Fa pena vederli così. Tengo il discorso del decoro nazionale ma mi sento umiliato”. Ho reclutato un centinaio d’italiani e li ho portati a messa nella chiesa di Santa Maria, l’unica costruzione rimasta in piedi tra le rovine. I due campanili che si levano snelli e intatti fra cumuli di macerie sono come un simbolo che grida: fra le distruzioni degli uomini solo resta l’opera di Dio”. Nei Lager, Fra Ginepro incontra anche dei comunisti internati in quanto “sospetti”.[11] E poi Lubecca: “Le sue bellezze storiche sono per gran parte colpite. La cattedrale, il cui mirabile organo era preferito da Bach, è distrutta. Sotto i campanili, già alti centotrenta metri ed ora mozzi. Una squadra di ex internati cerca i cadaveri tra le macerie”. Una sosta a Wittemberg: “Nella breve attesa sui binari mi avvicino ad un gruppo di nostri ex internati. Uno di essa lavora senza giubba con la camicia aperta. Gli si vede pendere dal collo una medaglia della Madonna; è una franca affermazione di fede cattolica nella città di Lutero…Da Magdeburgo ad Halle ci accompagnano quasi senza interruzione gruppi di ciminiere fumanti”.Dopo la visita agli italiani di Breslavia, Fra Ginepro è ricevuto dall’Arcivescovo Cardinale Adolf Bertram, inviso ad Hitler per essere stato tra i redattori dell’ Enciclica: “Mit Brennender Sorge”, emanata nel 1938 per denunciare le derive paganeggianti del nazionalsocialismo[12]. Dopo Breslavia, la visita alla fabbrica Wumag-Machinenbai di Gorlitz, e poi Stettino, Francoforte sull’Oder, Danzica, Marienburg, popolazioni cui toccherà il martirio da parte dei mongoli dell’Armata Rossa, e poi da parte dei polacchi[13]; infine il ritorno a Verona dove svolgerà la sua relazione a Mussolini.
IL 25 APRILE A GENOVA, NEL RACCONTO DI FRA GINEPRO.
Nelle “radiose giornate”, il cappuccino è a Genova in incognito, poi il 2 maggio troverà rifugio nel convento di San Barnaba in Castelletto per ordine dei superiori; prima di salire al convento Fra Ginepro annota: “La folla applaude i negri e i gialli che sfilano in via XX Settembre. Fiori e baci volano dalle finestre…mentre per questi campioni di colore c’è l’entusiasmo, per i nostri soldati rimasti fedeli alla parola data c’è l’ignominia…ho visto i bimbi correre dietro i negri per avere i cioccolatini. Ho visto gli adulti mostrare ai negri le case di tolleranza in cambio di una sigaretta. Ho visto sotto i portici della Borsa, un lustrascarpe di Genova lucidare gli stivaloni di una squadra di negri, tutto contento per la mancia ricevuta… mi dicono che è così in ogni città. Come si possono inoculare iniezioni di dignità nazionale ad una razza che vuole servire, che è soddisfatta come i più fatalisti indiani di appartenere per sempre alla casta dei servitori e dei lustrascarpe”. “Quanti assassinati per le strade! Quante ingiustizie per fare “giustizia”. Poi arrivano le tristi notizie: “Padre, hanno ucciso il Duce. L’hanno fucilato ed impiccato a Milano…la notizia mi ha così sgomentato che non so dove volgere i passi. Mi dirigo verso galleria Mazzini, ma uno spettacolo disgustoso mi arresta. I partigiani hanno rasato la chioma a un’Ausiliaria e sul cuoio cappelluto le hanno dipinto con l’inchiostro lo stemma comunista. L’hanno chiusa a metà in una gabbia di reticolati, esponendola al ridicolo della folla assetata di scherni…la riconosco quella figliola. E’ un’ottima ragazza di moralità ineccepibile, arruolatasi volontaria per occupare il posto del fratello caduto in Libia”[14] “Beati i morti che non vedono lo sfacelo della Madre Patria, sul cui cadavere gioisce con macabra danza un popolo crudele che gli stessi alleati giudicano stupido vile e crudele”.
“Lungo il Passo San Nicola, assisto ad un altro episodio il cui epilogo sarà tragico. Mentre salgo per l’ammattonato rosso, incontro due partigiani che scendono rapidamente tenendo in mezzo a loro un signore sulla cinquantina con le manette ai polsi. All’altezza di via Lorenzo Stallo lo spingono con pedate e strattoni verso la villa che una volta era il collegio del Sacro Cuore…passano pochi secondi e odo un colpo di rivoltella seguito da un urlo lamentoso”.
A Genova, nelle “radiose giornate”, si susseguono festeggiamenti per la liberazione: scrive il frate: “La popolazione genovese è così giubilante che non sospende le manifestazioni neppure per la disgrazia di San Martino (uno dei tre ospedali della città) che ha mandato all’ospedale decine di bimbi carbonizzati…di loro si occupa solo la cronaca cittadina…le mamme con le mani e gli occhi supplichevoli cercano di prolungare loro la vita, in Piazza sella Vittoria, rosseggiante di bandiere, si svolge la prima grande manifestazione social comunista”.
Fra Ginepro, in San Barnaba, assiste alla messa da uno sportello vicino al soffitto e narra: “Da lassù, ho visto inginocchiarsi una vecchia ottuagenaria che conosco bene. E’ la mamma del tenente Motta Emanuele, assassinato nel giugno scorso in Vico Casana. “Essendo morto per un governo illegale, non per la vera Italia (hanno detto due sacerdoti alla madre piissima) è dubbio che si sia salvato”. E la povera vecchia, straziata dal dubbio della salvezza eterna del figlio, va in cerca di sacerdoti che la rassicurino”. Hanno ucciso una benefattrice del convento, colpevole di difendere ancora Mussolini. La povera Linguiti, con la mamma e il padre quasi ottuagenario fu strappata dalla casa di via Bernardo Strozzi, con i suoi piccoli risparmi…il delitto fu consumato l’altro ieri notte. Stamattina tre cadaveri furono trovati nelle acque del Lagaccio (uno stagno artificiale ora scomparso), così tristemente noto nella cronaca nera di questi giorni”.
Ecco un altro episodio significativo…ho visto un misterioso venditore che gridava:”Sei cartoline per cento lire. Le cartoline rappresentano un’orrida fotografia dei cadaveri del Duce, della Petacci e di altri gerarchi assassinati”[15] . Giungono altre brutte notizie:“Hanno ucciso don Fasce, parroco di Fegino…ebbe il torto di sconsigliare l’adesione al partito comunista…Jemma di Taggia è stato trovato cadavere in una calata del porto…Mangano di Sanremo, per sfuggire ai partigiani, si è gettato dalla finestra fracassandosi il cranio sul lastricato di Via Doria”. Il religioso è duramente provato: “Gli amici cercano di alleviarmi il peso della sofferenza, ma il cuore è sempre più triste. Mi opprimono le mille voci che vengono dal di fuori, e tutte dicono che l’orizzonte è sempre nero, anzi rosso…Sono le notizie dei giornali che mi comunicano arresti e fucilazioni di cari amici dalle Assise straordinarie. Sono le orge dei balli di beneficienza organizzati per i reduci dalla Germania. Assistenza che si regge sulle belle gambe femminili. Sono i clamori dei comizi in cui i social comunisti vanno a braccetto in perfetta armonia con i demo-cristiani…” Ecco un episodio emblematico che così commenta: “Il mio pensiero fu sommerso da un suono repentino di campane e sirene. Tutti i campanili e gli opifici di Genova commemoravano Giacomo Matteotti…perciò la Curia Arcivescovile aveva invitato a suonar le campane al passaggio del corteo…distinguevo fra tutte la voce profonda del campanone di San Lorenzo. Con la morte nel cuore pensavo che tanta gente è caduta per l’Idea e la Curia non ha mai pensato di esaltarne il sacrificio in questo modo solenne. Ora, i comunisti atei hanno teso la mano ai democristiani, i quali gliela stringono cordialmente…non importa che certe “compagne” inneggino al “libero amore” e agli altri diritti che vantano le seguaci di Stalin. Specialmente alla donna, arretrata in Italia per opera del Cattolicesimo che le ha negato ogni indipendenza”.[16]
Passano pochi giorni, e la polizia irrompendo nel convento di San Barnaba, arresta il religioso che è rinchiuso alle “case rosse”, cioè, il carcere giudiziario di Marassi.
Fra Ginepro è conosciuto, ma nessuno oserà provare che abbia compiuto qualcosa di moralmente o legalmente illecito; unica colpa, quella di aver aderito alla RSI. Saranno undici mesi di carcere che egli affronterà con coraggio.
Va ricordato che, i governi succedutisi a Badoglio, si erano consegnati al CLN, predisponendo speciali leggi comminanti sanzioni per chiunque avesse collaborato con la RSI, tra cui il famigerato Decreto Legislativo Luogotenenziale, del 27 luglio 1944 n. 159, titolato: “Sanzioni contro il fascismo”. L’art. 5 di questo D.L.Lt,, recitava: “Chiunque, posteriormente all’ 8-9-1943, per favorire il tedesco invasore, abbia prestato o presti ad esso qualunque forma di aiuto, assistenza, intelligenza, corrispondenza e collaborazione è punito con la morte”.
Il successivo D.L.Lt. del 4 gennaio 1945 n. 2, dava il via all’epurazione, per eliminare i funzionari statali oltre il 7 grado, ed ancora, il D.L.Lt. del 22 aprile 45 n. 142, istituiva le Corti d’Assise Straordinarie per la durata di un anno; l’articolo 4 ordinava: “Entro 7 giorni, i Comitati di Liberazione Nazionale…compilano un elenco di 50 giudici popolari…previo accertamento che si tratti di persone d’illuminata condotta morale ed ineccepibili precedenti politici”. Altri due decreti firmati da Umberto di Savoia, ampliavano e completavano la sfera d’intervento delle C.A.S.[17]
Ogni aderente alla RSI, era praticamente incluso in questa vendetta “legal- giudiziaria” programmata dai partiti ciellenisti. Passata la “primavera di sangue”[18], ritorna nell’Italia del nord, una parvenza di legalità; ma le procure sono sommerse da un marea di denunce per reati comuni commessi tra il ‘44 ed il ’45, prevalentemente a carico di ex-partigiani.
Le Corti d’Assise Straordinarie, sono sostituite da Sezioni Speciale di Corte d’Assise; oltre alle accuse, si crea un caos enorme nella pubblica amministrazione, e perciò, Palmiro Togliatti, ministro di grazia e giustizia del governo De Gasperi, dopo il referendum del 2 giugno 1946, fu costretto a varare la famosa “amnistia” il 22 dello stesso mese, provvedimento che in parte vanificava, i decreti baresi.
L’amnistia, giovò alla liberazione di Fra Ginepro, che ritornò a dedicarsi all’apostolato tra i reduci.
Egli morirà compianto da amici e nemici, nel 1962; ancora oggi nel convento di Loano, una statua lo ricorda, e pure lo rammentano coloro che videro in lui un esempio di coerenza e di fede, prezioso esempio in questi tempi in cui la Croce di Cristo è tradita e vilipesa dagli stessi uomini di Chiesa.[19]
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1- I motivi vanno ricercati, da una parte, nell’ideologia marxista che aveva caratterizzato il fascismo delle origini, cui la RSI, pretendeva richiamarsi; dall’altra, al tentativo di “accattivarsi” gli alleati da parte di Pio XII, pensando di utilizzarli per contenere il comunismo dilagante. Le cose non andarono secondo le intenzioni dell’ultimo vero Sommo Pontefice
[2] Non penso che ci fosse cognizione di ciò che era maturato nell’ambiente della FUCI e nel clero negli anni ‘30, ma, non si può negare che certi risentimenti furono giustificati in seguito; tali diffidenze nei confronti dei cattolici, si trasmisero all’ambiente missino del dopoguerra, nonostante l’ MSI abbia sostenuto tutte le battaglie in difesa di famiglia, morale e religione. La crisi della Chiesa, iniziato con il Vaticano secondo, ha fatto il resto.
[3] Va ricordato che il concordato tra stato e Chiesa, era stato un auspicio dei modernisti italiani, e non ha caso, esso fu recepito interamente dall’art. 7 dell’ attuale costituzione.
[4] Sulla figura di Padre Giuliani, il regista Roberto Rossellini, girò nel 1940, il film “La croce sul petto”; una lapide posta nella chiesa di San Domenico in Torino, lo ricorda; Egli fu maestro del Padre Ceslao Pera O.P. insigne tomista, una dei pochi domenicani, in dissenso con la svolta vatican-secondista.
[5] di fra’ Ginepro predicatore, ne parla ottimamente don LUIGI FERRARI, nel suo libro: “La croce sul petto”. Il Ferrari, cappellano della Julia, l’ incontro’ nel campo di concentramento del Pireo (Atene), ed ancora su una nave di prigionieri in rotta verso l’isola di Creta.
[6] E’ noto, l’influsso che ebbe su Mussolini, la lettura della “Vita di Gesù Cristo”, dell’abate Giuseppe Ricciotti, uscito allo scoppio della guerra: l’opera, demoliva le tesi di Renan, Sabatier, e degli altri modernisti, ed è tutt’ora sconsigliato dagli intellettuali vatican-secondisti..Oggi resta ancora una confortante lettura di fronte alla spaventosa crisi che si abbattuta sulla Chiesa
[7] Sulla linea anti-cattolica del “Popolo di Alessandria, ho la testimonianza del suo direttore, Gian Gaetano Cabella, che conobbi negli anni ’70. Dopo Torino, Alessandria era la città dove la massoneria aveva lavorato con più successo negli anni del cosiddetto “Risorgimento”. Con la guerra civile, tra “pseudo-mazziniani”, e “pseudo garibaldini” era affondata la mitologia unitaria.
[8] Notissima la vignetta del foglio alessandrino, in cui si raffigura un prete, pedalare sul tandem assieme ad un partigiano comunista.
[9] Sull’episodio: Del Padre Ghilardini: “Sull’arma si cade ma non si cede-i martiri di Cefalolonia e di Corfù”– tipolitografia Opera SS. Vergine di Pompei-Genova -1965
[10] ) Piero Pisenti Una repubblica necessaria (R.S.I.)-ed. Volpe –Roma-1977
[11] E’ bene ricordare che l’idea di internare i comunisti perché “sospetti”, venne “in primis” al democratico governo francese di Daladier, nel 1939, dopo gli accordi Molotov-Von Ribbentrop; essi furono liberati dai tedeschi, dopo l’invasione del maggio 1940 . I tedeschi, erano pronti a far pubblicare L’Humanitè, organo del PCF a Parigi, ma desistettero per le proteste di Pétain. La collaborazione nazi-comunista, fra il ’39 ed il ’41, in Francia, è ancora oggetto di un interessato “tabù”, per non sminuire la “resistence”.
[12] Sulla materia, il libro di MARIO BENDISCIOLI. “Neopaganesimo Razzista”-ed- Morceliana-Brescia -1937-XV, d
[13] sulla tragedia dei tedeschi dell’est, vedi-MARCO PICONE CHIODO- “… E malediranno l’ora in cui partorirono”Mursia-Milano-1987
[14] Nel 1949, comparve un primo libro sugli assassinati del 25 aprile; lo scopo era fare un computo dei morti , per distinguere le uccisione eseguite dai “veri partigiani”, da quello dei profittatori dell’ultima ora: si titolava: “I giustiziati fascisti del 25 aprile” di CARLO SIMIANI (edizioni Omnia-Milano) . Le cifre riscontrate furono di 40 mila morti divisi per regione, e 16mila, le donne rasate per vendetta. Secondo il Simiani, la “rasatura”, era un tipo di punizione importata dalla resistenza francese, ma che in Italia, fu applicata in maniera molto più estesa. (pag. 195)
[15] ricordo che le macabre fotografie in bianco e nero, di Mussolini in Piazzale Loreto, circolavano in modo semiclandestino, ancora negli anni ’60.
[16] Sull’annotazione del religioso, ricordo che al tempo, l’arcidiocesi di Genova era retta dal Cardinale Pietro Boetto.
[17] per la legislazione anti-fascista, ed anti-RSI del governo di Bari, vedi: ALDO BOSELLI, sostituto procuratore del Regno presso la Sez. Speciale di Corte d’Assise di Genova: “I reati di collaborazione col tedesco invasore”-Società EDITRICE UNIVERSALE-Genova-1946.
[18] I cosiddetti “tribunali del popolo”, affiancarono il lavoro delle C.A.S. La “resistenza” negli anni cinquanta, era già caduta in discredito presso la pubblica opinione, quando fu riesumata nel 1960, grazie ai governi di centro-sinistra. Fu il pretesto atteso dai comunisti di tutte le tinte, per scatenare in Italia, il ’68 ed i successivi “anni di piombo”.
[19] Il ricordo dei morti continua a Genova, attraverso il lavoro di Padre Clementino da Montefiore, presidente dell’associazione “Amici di Fra’ Ginepro”: Essa ha pubblicato i due preziosi volumi : “I caduti della R.S.I, a Genova-1943-1946”, che ho utilizzato per il presente articolo.
Ottimo articolo che ricorda le nefandezze su cui è stata costruita l’Italia “nata dalla Resistenza” come invocano spesso i politicanti italiani rappresentati dai presidenti di repubblica votati da lorsignori !
Uno squarcio di verità che fa bene a tutti e specialmente a tanti cattolici di tradizione che qui leggono ma che ignorano quasi totalmente le realtà della guerra civile italiana. Preambolo importante per il marcio che è seguito, e segue, e che investì pure la chiesa cattolica nel suo profondo con il conciliabolo Vat2.
“Fra” si scrive così, senza apostrofi (cfr. Luciano Satta, “La prima scienza”, Firenze, Sansoni, 1987).
FRA O FRA’? In Italiano la parola Frate abbreviata potrebbe essere scambiata per una elisione, richiesta però solamente nel caso in cui la parola seguente incominci con la vocale. Ci troviamo invece in presenza di un troncamento che non ha bisogno di apostrofi per indicare l’abbreviazione: chi mai metterebbe l’apostrofo su ‘’gran’’ per indicare ‘’grande’’ oppure ‘’bel’’ per indicare ‘’bello’’? Nessuno! Con questi esempi è già più facile capire che in presenza dell’abbreviazione, la risposta alla domanda: Frate: Fra o Fra’? E’: si scrive semplicemente Fra.
Questa spiegazione di un comune errore grammaticale, di cui ci scusiamo con i numerosi attenti lettori che lo hanno fatto notare, è molto più utile di una semplice citazione.
oggi a un mercatino ho trovato il libro di Fra Ginepro Madre di Eroi.. con dedica Pasqua 59
occasione per conoscere meglio un uomo e un religioso coraggioso.