Al riguardo, facciamo presente che l’Ucraina è il Paese dal quale arrivano maggiori visite ad Agerecontra.it, dopo l’Italia.
L’EDITORIALE DEL VENERDI
di Arai Daniele
Un cattolico non può che essere fortemente pessimista sulla devastante politica internazionale, guidata da personaggi lamentabili e anche detestabili in Europa come in America. Eppure, sull’epilogo di questa disgraziata situazione storica non si tormenta, anzi, coltiva speranza e perfino entusiastica passione in vista del promesso trionfo finale del bene attraverso Maria, Madre di Dio e nostra. Per la maggiore gloria di Dio si deve vivere e patire ore buie.
In queste ore disperate, come insegnava Papa Pio IX: Quando sembrerà che la gente non sarà riportata a Dio se non con un atto non riferibile ad alcun agente secondario, allora tutti potranno riconoscere l’intervento soprannaturale esclamando: è stupendo ai nostri occhi! Una meraviglia che riempirà il mondo di stupore. Ma verrà dopo il dominio della rivoluzione, quando la Chiesa soffrirà terribilmente” («I Profeti e del nostro tempo, Rv. G. Culleton).
A questa luce, seguendo gli eventi più significativi per la Fede, si può testimoniare il corso verso l’esito finale. In tal senso riprendo ora in mano alcuni miei scritti più recenti o meno, come « La Russia nella Profezia Politica di Fatima – Il senso cristiano della politica» (pubblicato da FdF nel 2007) e « Padre Ulisse Alessio Floridi S.J. Missionario della liberazione dell’Ucraina cattolica e della conversione russa» (pubblicato nel 1987 da Chiesa Viva, dopo la morte del Padre); materie che tratto in modo ricorrente, anche su agerecontra e promariana.wordpress.com
Ora c’è da scrutare il vero senso del clamoroso incontro ad Avana del patriarca Kirill con Bergoglio, voluto da quest’ultimo. Ci aiuta a capirlo l’articolo di Sandro Magister – uno dei meglio informati vaticanisti del giro – del 16.3.2016, «Le poche grandi cose che Francesco e Kirill non si sono dette all’Avana». Come si poteva immaginare, si trattava di un incontro per alimentare la politica ecumenista bergogliosa, per cui le questione dottrinarie – sempre che il personaggio in questione creda di poter trattarle – sono escluse. Il risultato è stato di aver accentuato differenze, naturalmente celate dal solito make-up mediatico.
Per la stampa lo scoop stava nel fritto misto del ritorno di una faccia della Mosca sovietica ad Avana, nella salsa mediatica del grande impresario ecumenista Vaticano, en passant dal viaggio al Messico. Ma cosa può interessare al cattolico, sempre memore della richiesta di Fatima: la consacrazione della Russia all’Immacolato Cuore di Maria per la grande conversione e la pace? Interessa attualizzare i dati conosciuti del problema, ossia che sul dialogo politico-ecumenistra tra la Roma conciliare e Mosca rimane, come è stato sin dall’inizio, la barriera della fede di più di cinque milioni di cattolici ucraini cui nel passato il regime sovietico aveva tolto !a libertà di religione, obbligandoli a entrare nella Chiesa ortodossa russa. Ecco una realtà tuttora attuale: un centro di dura resistenza che lotta per conservarsi cattolico.
Oggi, il dissenso in Ucraina ha raggiunto un punto d’esasperazione tale che né Mosca né la Santa Sede possono ignorarlo. Ma quanto è tenuta ancora in primo piano, come nel passato, la questione religiosa? Dai miei ultimi contatti con la Chiesa cattolica «uniata» a Roma, di qualche anno fa, la vera resistenza si è rivelata in pericolo e lo dimostra il crescente dissidio interno, già in atto negli ultimi anni del cardinal Slipyj e poi nella recente valente iniziativa del gruppo di consacrati che ha anatemizzato pubblicamente i «papi conciliari». Ma chi sono questi?
Rivediamo un po’ di storia. l sovietici iniziarono ad attaccare la Chiesa cattolica ucraina nel 1939, quando in seguito al patto Molotov-Ribbentrop l’Armata rossa invase il territorio della Ucraina occidentale. A quel tempo era capo della metropolìa di Lviv uno dei più grandi vescovi cattolici orientali, il conte Andrej Septyckyj. Geniale apostolo del vero ecumenismo, amico del filosofo russo Solov’ev, aveva ricevuto i poteri e i privilegi di “patriarca” da Papa San Pio X.
Fu fatto prigioniero nella Russia zarista dal 1914 al 1917; aveva difeso la nazione ucraina sotto il dominio polacco (1921-1929) e la Chiesa ortodossa ucraina contro la persecuzione polacca. Durante l’occupazione nazista (1941-’44), egli protesse e diede rifugio agli ebrei, tanto che il rabbino Kahane ebbe a dire di lui: “Non credo ai santi, ma se ci fossero santi sono certo che il più grande di tutti sarebbe il metropolita Septyckyj». [Era in atto la causa di beatificazione].
Durante la micidiale carestia del 1933, in cui perirono milioni di Ucraini , in un appello al mondo scriveva: «Già si vedono le conseguenze del regime comunista, che ogni giorno si fa più spaventoso. La vista di tali delitti inumani fa inorridire e raggelare il sangue nelle vene. Non potendo recare aiuto materiale ai nostri fratelli morenti, noi scongiuriamo i fede li di implorare dal Cielo … l’aiuto divino. Inoltre, protestiamo di fronte al mondo intero contro la persecuzione dei bambini, dei poveri, dei malati e gli innocenti ; d’altra parte, chiamiamo i persecutori a render conto al tribunale di Dio onnipotente. Il sangue dei lavoratori che coltivano il suolo ucraino, ridotti alla schiavitù e alla fame, grida vendetta al cospetto di Dio; il lamento dei mietitori che stanno morendo di fame è salito in Cielo fino a Lui. Noi imploriamo i cristiani del mondo, tutti quelli che credono in Dio e in particolar modo i nostri connazionali di protestare insieme a noi per far conoscere ia nostra angoscia f in nei più remoti punti della terra!. .. “.
Già dal 1937 egli aveva previsto la possibilità di una penetrazione comunista nell’Ucraina occidentale e aveva detto ai seminaristi : “La nostra Chiesa, come la Chiesa universale, ha bisogno di sacerdoti senza paura, pronti a compiere il sacrificio della vita, come lo erano i primi cristiani ». Quando con l’occupazione dei sovietici iniziarono le persecuzioni, il vecchio metropolita volle che il suo successore fosse proprio il sacerdote che occorreva. Scelse quindi il reverendo dottor losif Slipyj, rettore dell’accademia teologica di Lviv, uomo di enormi capacità e soprattutto sacerdote impavido ed esemplare. Con il consenso di Roma, padre Slipyj fu segretamente consacrato vescovo coadiutore di Lviv.
Poco dopo la morte del metropolita Andrej, il Governo sovietico, seguendo le orme degli zar, soppresse la Chiesa cattolica ucraina, utilizzando la Chiesa ortodossa russa (che, a quell’epoca , era già filosovietica) per controllare le sue proprietà temporali e gli stessi cattolici.
All’inizio del 1945, il neo-eletto patriarca di Mosca, Aleksij, in un appello ai cattolici ucraini pertanto scriveva: ” Liberatevi , spezzate le catene che vi legano al Vaticano, che con i suoi errori vi conduce fuori della retta via, verso il buio e la rovina spirituale, e che oggi vuoi mettervi in lotta contro tutti gli uomini amanti della libertà e separarvi dal mondo intero. Affrettatevi a tornare nelle braccia della vostra vera madre, la Chiesa ortodossa russa». [Era un ultimatum di conversione al regime]. Pochi giorni dopo, i sovietici arrestarono il metropolita losif Slipyj e tutti gli altri vescovi della provincia di Halic. Il processo contro il Metropolita ebbe luogo a Kiev, a porte chiuse: la condanna fu di dieci anni di lavori forzati. Pari sorte spettò agli altri vescovi, anche ad uno già ottantenne. Molti dignitari dei Capitoli e della Diocesi vennero arrestati e gli studenti di due seminari vennero fatti arruolare, per compiervi il servizio militare nell’Armata rossa.
In seguito, si costituì, a Lviv, un “Movimento per la riunione delle Chiese greco-cattolica e ortodossa”, vero atto di intimidazione e di terrore che portò 204 sacerdoti (su un totale di quasi 3.000) a dichiarare, in una specie di concilio, tenuto a Lviv nel marzo 1946, cessata l’unione con Roma e inviare una delegazione al patriarca Aleksij di Mosca, che proclamò il «ritorno» dei cattolici ucraini in seno alla Chiesa ortodossa russa. Tale «ritorno» fu un’altra menzogna pianificata dai sovietici con la complicità del Patriarcato di Mosca e dura tutt’ora. Pochi mesi dopo l’arresto dei vescovi cattolici ucraini, Papa Pio XlI, nell’Enciclica “Orientales Omnes”, ricordava le varie tappe del martirio del popolo ucraino, usando il linguaggio già usato dagli Apostoli per i cristiani delle catacombe; è importante citarlo oggi, quando lo spirito di distensione ecumenista sembra considerare i martiri moderni della Fede come dei fanatici, vittime di fazioni politiche o di pregiudizi religiosi. Nella primavera del 1974, un sacerdote, membro del Segretariato per l’unità dei cristiani, ebbe il coraggio di dire sui cattolici ucraini: «Che tornino all’ortodossia! Dovremmo anzi dare loro cento lire l’uno, e liberarci di questi fanatici una volta per tutte”.
Per comprendere la grandezza di alcuni di questi “fanatici” resistenti è necessario tener presente non tanto i patimenti fisici quanto e soprattutto la crudeltà e violenza delle pressioni morali alle quali essi vennero sottoposti perché diventassero collaboratori del regime. Solzenicyn lo descrive nell’ «Arcipelago Gulag»: l’informatore è un uomo comune, invischiato da metodi capziosi per le proprie debolezze. Ciò non è facilmente comprensibile in Occidente.
- Floridi ricorda il gesto di sorpresa e d’indignazione di un gesuita, professore al Pontificio Istituto Orientale di Roma, quando gli disse che, secondo il suo parere, il metropolita di Leningrado Nikodim era un agente sovietico. [Parere condiviso dai servizi segreti occidentali]. Egli aveva avuto il privilegio d’incontrarsi più volte con il prelato ortodosso e ne aveva avuto un’ottima impressione, come di persona mite, devota e, soprattutto, sincera. Le obiezioni, basate sulle dichiarazioni del metropolita o sui giudizi negativi di uomini come Talantov e Hromadka, non valsero a scuotere minimamente la fiducia di questo intelligente e ancor giovane gesuita nel metropolita di Leningrado. [Vedi testimonianza di P. G. Jakunin e Lev Regel’son nei libri Coop. Ed. “La Casa di Matriona”].
Quando i rappresentanti del Vaticano, nel trattare con i governi comunisti, ammettono che i cattolici non sono “anticomunisti” o “antisovietici” e che possono essere sudditi ” leali” o anche “collaboratori” dei regimi più o meno “legittimi” dei loro Paesi, non si accorgono di avere già fatto, per sé o per i cattolici che essi intendono aiutare, il primo passo che potrebbe farli cadere nella “vischiosa ragnatela” di cui parla Solzenicyn.
Alcuni ecclesiastici ritennero crudeli Pio Xl e Pio XlI quando esigettero che i vescovi, nei territori occupati dai comunisti, non si muovessero dalle loro sedi, anche se ciò poteva significare per essi morte sicura o duri anni di prigionia. [Gli stessi Mindszenty, Slipyj e Beran erano d’accordo]. Quando Giovanni 23 cercò di ottenere la liberazione di questi Prelati – tentativi già fatti, per la verità, anche da Pio Xl e Pio XII – i metodi usati furono diversi, perché comportarono il silenzio e la messa a riposo dei prelati liberati e la sostituzione dei medesimi con altri vescovi e “leali” amministratori, “patrioti” o “pacifisti” [al che erano contrari quei grandi Prelati che furono ingannati!].
FATTI RIGUARDANTI IL METROPOLITA IOSIF SLIPYJ
Nel 1953, Egli fu portato a Kiev e a Mosca, dove gli fu fatto provare un poco di quella libertà, dignità e onori di cui avrebbe potuto godere qualora egli avesse rinunciato alla sua fedeltà a Roma e avesse accettato il posto di metropolita ortodosso dell’Ucraina Occidentale, con la possibilità di diventare in seguito patriarca di Mosca. Egli respinse con sdegno l’offerta, e si prese quindi un’altra condanna a 7 anni. All’inizio del 1963, i tentativi vaticani per liberare l’Arcivescovo «ebbero buon esito». Prima di partire da Mosca, il Metropolita chiese al rappresentante pontificio: «Devo andare, o posso scegliere?”. Gli fu risposto: “È la volontà del Santo Padre”. La stampa riferì che egli voleva invece ritornare nella sua arcidiocesi di Lviv.
Dopo la sua “liberazione”, alcuni titoli sui giornali dicevano: «Un vescovo parla della tortura rossa, ma il Vaticano si affrettò a dire, sulla prima pagina dell’Osservatore Romano: ” … la Santa Sede e l’arcivescovo Slipyj si dissociano completamente da queste relazioni”. Purtroppo, l’esilio del vescovo e il suo forzato silenzio nell’appartamento messogli a disposizione in Vaticano, non portarono quel “miglioramento” nella situazione religiosa sovietica che si era sperato. Nel 1963, il Superiore di un monastero clandestino di Lviv, che aveva scontato un lungo periodo di “torture rosse”, disse a un visitatore: “Le mie sofferenze non sono nulla rispetto a quelle del primate della nostra Chiesa. Se le sue sofferenze e il suo esempio non sono abbastanza apprezzati dal Santo Padre e dalla Congregazione per le Chiese orientali, che il nostro martire torni da noi in Ucrania, anche se qui fosse destinato a morire. Un martire, qui, servirà la causa della nostra Chiesa e dell’intera Chiesa cattolica di più che un eroe non riconosciuto nelle sede di governo di quella Chiesa che si è rifiutato di tradire; un eroe morto è, per la Fede, uno stimolante più potente che un prigioniero vivo in Vaticano»!
Con il passare del tempo, la presenza a Roma del metropolita Slijyj diventava sempre più imbarazzante per quei funzionari vaticani che cercavano un avvicinamento politico con il governo sovietico e dei contatti ecumenici con il patriarcato moscovita. Il Primate ucraino, per rispettare gli accordi fatti dai capi vaticani, mantenne sempre silenzio sulle «torture rosse» né si decise mai a pubblicare le sue memorie, ma fin dal principio fece intendere chiaramente a Paolo 6º che il suo impegno verso il popolo ucraino non era terminato con il suo esilio e che, da questo punto di vista, egli non si sarebbe mai dimesso dalla carica di Metropolita, anzi rivendicava quella di Patriarca. Perciò Paolo 6º, il 23 dicembre 1963, lo dichiarò «Arcivescovo maggiore» con «Poteri quasi patriarcali». In seguito, il 25 gennaio 1965, lo nominò cardinale.
Il vecchio Cardinale istituì una università cattolica e la bella chiesa di Santa Sofia, in Roma, e prese molte altre iniziative per il rinnovamento della Chiesa ucraina in esilio, basata sulla istituzione di un Patriarcato cattolico ucraino. Mentre i sovietici e il Patriarcato di Mosca pensavano di aver liquidato per sempre la questione cattolica ucraina, le iniziative del Cardinale Slipyj, anche senza appoggio da Roma hanno mirato alla sua rinascita.
Il metropolita ortodoxo Nikodim di Leningrado, durante una sua visita a Roma nel 1969, dov’era di casa come ospite – e l’attuale Kirill era il suo secondo -, si mostrò indignato contro tale opera «contraria all’ecumenismo»!
La mia testimonianza è successiva e legata alle mie visite a Santa Sofia e ai molti incontri che ho avuto con il segretario del Cardinale, monsignor Khoma. Qui mi limito a quanto lui mi ha confidato: che il Cardinale Slipyj ha voluto consacrare due vescovi a Roma senza il consenso di Paolo 6º. Loro, però accettarono in seguito di ritener sospese tali consacrazioni. Uno era lui, l’altro era Ljubomyr Huzar, che ho visitato nell’Abbazia di San Nilo, conosciuta anche col nome di Santa Maria di Grottaferrata, monastero esarchico gestito da monaci basiliani. Il vescovo Huzar mi ha ricevuto e confermato la consacrazione fatta nel 1976 per ragioni di fede, poiché il Cardinale Slipyj sentiva di dover affrontare una situazione di gravi deviazioni dottrinarie.
Dovrò raccontare il seguito con più particolari poiché era il tempo che anche Mgr Lefebvre aveva deciso di consacrare dei vescovi. Infatti, in partenza dal monastero un monaco mi è venuto dietro per dire che anche lui era d’accordo con l’Arcivescovo Lefebvre.
Quel che voglio lasciare registrato qui è l’esistenza di una successione apostolica della linea resistente del «Patriarca» Slipyj, anche se sospesa e tradita dalle successive nomine di Lubomyr Huzar. A lui, infatti, Giovanni Paolo 2º conferì il titolo cardinalizio di Santa Sofia a Via Boccea.
La consacrazione è forse quella continuata dagli attuali vescovi ucraini che anatemizzarono i «papi conciliari». Essi purtroppo non hanno dichiarato la loro linea, ma se è questa citata, ha tutta legittimità cattolica e valore per una vera resistenza.
L’apertura di un dibattito sull’eleggibilità papale deve includerli. In verità la conversione della Russia è partita proprio da quelle terre, l’antica Rus.
Tutto in Gesù, Maria. Giuseppe!
Molto interessanti notizie !
Carissimo Daniele: c’è da rammentare quella nefasta Commissione Internazionale mista per il dialogo tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Ortodossa che, nel periodo 17-24 giugno de 1993, regnando GP II, si riunì a Balamand (Libano) dove decretò che “lo zelo delle chiese cattoliche orientali uniate per la conversione di coloro che tuttora permangono nello scisma è stato errato e deplorevole. . .per legittimare questa tendenza, fonte di proselitismo, la Chiesa cattolica sviluppò la visione teologica secondo la quale essa presentava se stessa come unica depositaria della salvezza”. Hai capito il perché del bergogliano “il proselitismo è una sciocchezza?”.
Grazie carissimo per ricordarlo. Infatti, dicevo che nei “miei ultimi contatti con la Chiesa cattolica «uniata» a Roma, di qualche anno fa, la vera resistenza si è rivelata in pericolo”. Si trattava di rifiutare quest’andazzo suicida o continuare come se niente fosse. Sono prevalsi le poltrone e i poltroni!
Grazie Benedetto per il suo commento che è un esposto lucido sulle condizioni ecclesiali in cui ci troviamo; prova durissima per quest’ultimo «resto» diviso e senza pastori. Io credo che ci sarà una ripresa del Papato dopo il presente dominio della rivoluzione anche in Ucraina, ma in condizioni umane così estreme che avrà bisogno di un grande segno per essere creduto legittimo nel mondo. Allora potrà manifestarSi il Signore con quella conversione promessa che farà riconoscere a tutti l’intervento soprannaturale esclamando: è stupendo ai nostri occhi! Una meraviglia dei Sacri Cuori che riempirà il mondo di sereno stupore.
Mi congratulo con Mardunolbo e Luciano Pranzetti che hanno capito l’interesse che la resistenza ucraina ha e merita. Ma il problema è sempre lo stesso: siamo troppo pochi tra un già molto scarso piccolo resto!