MEDITAZIONE SULLA DIVINA PASSIONE DEL SIGNORE

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imagesL’EDITORIALE DEL VENERDI

di Arai Daniele

Per meditare sulla lacerante realtà della somma violenza e intensità dei dolori sofferti da Nostro Signore nella Passione, iniziata nell’Agonia di Getsemani e finita soltanto con la Sua morte in croce, abbiamo il Vangelo  e la Santa Sindone, sempre più studiata.

Li sono impressi i segni di una sofferenza senza pari. E pensare che il Signore ancora trovava fiato per pronunciare le sante parole registrate nei Vangeli per l’edificazione delle nostre anime e quelle di tutti i tempi.

Torniamo allora a meditare sulla divina agonia che ci ha portato la possibilità di salvarci.

«Gesù entrato in agonia nell’orto del Getsemani – scrive l’evangelista Luca – pregava più intensamente. E diede in un sudore come di gocce di sangue che cadevano fino a terra». Il solo evangelista che riporta il fatto è un medico, Luca. E lo fa con la precisione clinica. Il sudar sangue, o ematoidròsi, fenomeno rarissimo che si produce in condizioni eccezionali. Nel caso di Gesù, l’angoscia tremenda che Lo deve aver oppresso l’anima fino alla morte; sentirsi carico di tutti i peccati più ignobili e odiosi degli uomini. E tale tensione estrema produsse la rottura delle finis­sime vene capillari sotto le ghiandole sudori­pare… Il sangue si mescola al sudore e si raccoglie sulla pelle; poi cola per il corpo fino a terra. E Gesù s’è visto abbandonato perfino dagli apostoli addormentati, sapendo che sarà tradito da Giuda.

Poi, la farsa del tetro processo notturno, tramato dal Sine­drio. Segue quello di Erode e di Pilato che, per soddisfare la sete di sangue dei nemici del Salvatore, ordina la Sua flagellazione alla colonna. Le tracce delle innumerevoli ferite provocate dai flagelli sono sulla santa Sindone, così come i segni dello scherno dell’incoronazione di spine in una specie di corona calcata sul Suo adorabile capo, per ulteriore vergogna umana.

E Pilato, dopo l’«Ecce homo» per esibire Gesù col corpo selvaggiamente stracciato da alto in basso, Lo consegna villanamente alla morte per crocifissione. Così Gesù passa al supplizio della Via Sacra, carico della santa croce. Ti adoriamo, Signore, e Ti benediciamo; ché con la Tua Santa Croce hai redento il mondo.

E così a Gesù è portata la croce che dovrà caricare fino al Calvario. Quale stupore nel sapere che il Signore abbraccia con amore quello che sarà lo strumento della Sua tortura, ma pegno della santificazione di molti e salvezza di moltitudini! E Gesù la porta scalzo per la via dal fondo ruvido che sale al Calvario, mentre i soldati lo tirano e picchiano quando cade sfinito sotto quel legno pesante che Li lacera la spalla piagata.

Sul Calvario i carnefici Lo spo­gliano, strappando la tunica incollata alle piaghe per iniziare la crocifissione. Quei dolori acuti avrebbero provocato in molti una sincope, perché il sangue scorre abbondante con Gesù disteso nella polvere sul dorso. E inizia il supplizio orribile dei chiodi martellati sui polsi nell’incrocio dei nervi, provocando un dolore lancinante, il più insopportabile che uomo possa provare, perché lacera i nervi e di solito provoca una sincope che fa svenire.

Ma veniamo alla questione di come e dove sono stati conficcati i chiodi nelle mani di Gesù. Ormai tutti concordano che la crocifissione nel palmo della mano non è possibile, perché sotto il peso del corpo i tessuti della mano si lacerano: il crocifisso finirebbe presto per cadere dalla croce. Si concorda quindi che il chiodo fu infisso nel polso, cosicché il corpo è trattenuto in posizione dallo scheletro e dai legamenti, che possono reggere agevolmente il peso.

Secondo Barbet, i chiodi furono infissi nello spazio di Destot, una piccola apertura tra quattro ossicini del polso (semilunare, piramidale, capitato e uncinato). Egli ha osservato inoltre che un chiodo infisso in questa posizione lede il nervo mediano: questa lesione provoca al crocifisso un dolore acuto (si tratta dello stesso nervo interessato dalla sindrome del tunnel carpale) e causa la flessione del pollice. Infatti i pollici dell’Uomo della Sindone non sono visibili.

Il medico legista americano Frederick Zugibe, professore dell’Università di Columbia, a differenza di Barbet, ritiene, invece, che i chiodi siano stati infissi alla base del palmo, dove c’è parimenti un passaggio tra le ossa del carpo e del metacarpo che permetterebbe al chiodo di trapassare l’arto senza produrre fratture e di uscire nella posizione che si osserva sulla Sindone. E tutti gli studiosi ritengono che la posizione dei chiodi nei polsi sia un altro indizio a supporto dell’autenticità della Sindone.

In Gesù il nervo forse non è tagliato e struscia sul ferro del chiodo quando il corpo di Gesù sarà sospeso sulla croce, in modo straziante perché sensibile a ogni scossa e movimento per fissare la croce, nei dolori di un supplizio che durerà fino all’ultimo, tre ore dopo. È mezzogiorno. Gesù non ha bevuto né mangiato. I lineamenti sono tirati, il volto è una maschera di sangue, la bocca è secca la gola brucia, non può deglutire e ha una sete mortale. Eppure, riesce a pronunciare quelle buone parole il cui culto segna la vita d’ogni cristiano, perché sono di amore e sete della salvezza di molte anime.

Sono sette le frasi di Gesù dette in croce, sollevandosi sui chiodi che premevano sui nervi dei Suoi piedi e polsi. Gesù, colpito d’asfissia, soffocava, ma con sforzo estremo dice: “Padre, perdona loro: non sanno quello che fanno” (Lc 23,34). Tutti i Suoi dolori, la sete, i crampi, l’asfissia, non Gli strappano lamenti, ma parole di cuore, da allora tramandate per l’elevazione delle anime.

E il primo effetto è stato nella mente e nel cuore di Dismas, detto il «buon ladrone», che ha capì essere accanto a una santità che solo poteva essere divina, del «Salvatore», a chi rivolgere con fede un’umile supplica: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno», quello di gioia incalcolabile. Ebbe così la grazia di sentire: In verità ti dico: oggi sarai con me nel paradiso” ( Lc 23,43).

Presso la croce di Gesù agonizzante, c’è la Madre che patisce nel suo Cuore Immacolato il sommo dolore della Passione del Figlio. Con lei c´è Giovanni, il discepolo dal cuore formato su quello di Gesù e quindi capace di amare con totale dedizione, e senza paura. Maria è investita dal Figlio allora di una maternità spirituale e universale con le brevi ma intense parole cariche di significato: Donna, ecco tuo figlio!… Ecco tua madre!” (Gv 19,26-27), di cui Giovanni figura i beneficiati da un supremo testamento d’amore lasciato da Gesù. Giovanni prenderà la Madre con sé per riceverne le cure e ogni luce che testimoni il mistero della Redenzione sgorgata da quella divina Passione.

Dopo aver pronunziato il suo «testamento spirituale» e aver consegnato la Madre al discepolo amato, Gesù è ora totalmente sommerso da un dolore sovraumano, come se mancasse ogni sostegno e grida tutta la sua desolazione e l’angoscia di vero uomo dei dolori: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34). Il grido lacerante dell’Uomo-Dio attraversa le tenebre della storia dell’uomo decaduto; è l’ora culminante dell’agonia in cui Gesù Cristo assume tutti i peccati che devastano l’anima umana. E il pianto di tutto il dolore delle generazioni umane sale dalla terra per toccare il cuore del Padre che aveva ispirato queste parole nell’inizio del Salmo 22, riapertosi col lancinante grido di abbandono. L’ora in cui Colui che è la Vita si consegna alla morte è l’ora della redenzione dalla Caduta originale ottenuta dal Padre con l’agonia del Figlio.

“Ho sete” (Gv 19,28), il gemito di qui muore di sete è – acqua! – ma Gesù ha un’altra sete, e dai Vangeli sappiamo che dal principio e alla fine della sua vita pubblica, Gesù ci chiede con insistenza di sod­disfare la sua sete. È Dio che viene a noi come persona assetata che ci chiede di dissetarLo al pozzo del nostro povero amore, qualsiasi sia la sua qualità e quantità che vuole accrescere alla stregua del suo amore infinito, per cui è morto agonizzante sulla croce.

“È compiuto!” (Gv 19,30). Il grido di Ge­sù non è semplicemente per dire che tutto è finito e morirà, ma per significare che il fine della sua Passione è piena; resa perfetta nella dimostrazione soprannaturale di un amore senza limiti per le anime umane, create all’immagine e somiglianze di Dio, che dovevano essere redente. L’evangelista Giovanni ci dice all’inizio dell’Ultima Cena cosa sia questa volontà divina: “avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”; all’estremo delle possibilità della Sua natura di perfetto uomo e perfetto Dio, che sulla croce vediamo arrivate all’estremo della perfe­zione dell’amore, compiuto nel colmo del dolore.

“Padre, nelle Tue mani consegno il Mio Spirito” (Lc 23,46). Gesù pronuncia le ulti­me parole che invocano la consegna del Suo Sacrificio divino al Padre, la cui Volontà ha compiuto fino alla fine e all’ultima goccia del Suo Sangue, che sarà trasmesso nel segno della Nuova e eterna Alleanza per la nuova creazione della Chiesa, Regno dell’Amore divino in terra, per sempre benedetto nei secoli dei secoli. Fu la settima e ultima prima di qual riposo della nuova creazione senza tra­monto, che completa la prima: “Allora Dio nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fat­to e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro” (Gen 2,2).

Prima ho ricordato gli studi del chirurgo e medico legista francese Barbet, per cui «si poteva ormai essere certi che la morte di Gesù in croce era avvenuta per contrazione tetanica di tutti i muscoli e per asfissia…» Lo diceva il base a studi su impiccati.

Barbet è stato successivamente contraddetto dalla principale e più recente autorità nel campo della crocifissione, il patologo americano Frederick Zugibe. Egli evitò di servirsi di cadaveri e lavorò con volontari che legava a una croce nel suo garage misurando le funzioni vitali più importanti: le pulsazioni, la pressione sanguigna e la respirazione. Alla fine stabilì che Gesù non morì per asfissia, ma per shock traumatico e ipovolemico, cioè dovuto alla diminuzione della massa sanguigna circolante. E cioè, l’insieme delle tanti sofferenze che iniziarono nell’agonia del Getsemani.

È impossibile immaginare un tesoro, una eredità che possa avere un valore vicino alla conoscenza della profondità della salvifica Passione divina espressa in queste parole per amore degli uomini. Solo l’Uomo-Dio nella Sua perfezione integrale avrebbe potuto reggere tale supplizio per amore; un amore divino, che rende la Sua Passione segno della Sua natura, rivelatasi perfino in un corpo straziato dalla più completa sofferenza patita da uomo.

Se è la Risurrezione a dare al mondo il segno finale dell’intervento divino in terra, già la meditazione di questa Santa Passione de Gesù alimenta la nostra fede nella presenza dell’Amore di Dio che è Via della Bontà, Verità e Vita eterna tra noi.

 

7 Risposte

  • Tanto Barbet (La passione secondo il chirurgo) quanto Zugibe potrebbero aver ragione. Il primo ipotizza una crocifissione senza il suppedaneum, il secondo con questo. Ma i vangeli non ne parlano. I piedi inchiodati, secondo l’usanza romana, drebbero ragione a Barbet. Buona e serena Pasqua a te Daniele e a tutti gli amici.

  • Sulla Passione di N.S. Gesù Cristo vi sono pure gli scritti di Santa Caterina Emmerich da cui Mel Gibson ha tratto lo splendido ed impressionante film “Passion” andato in onda ieri sera.
    Buona Santa Pasqua a tutti.

  • Visto ieri , il miglior film su Cristo ed è uno scandalo che non sia la televisione pubblica a trasmetterlo !

  • La Passione del Signore, che il film di Mel ha voluto rappresentare quanto possibile, è l’esatto contrario di quanto l’uomo moderno, di questa inciviltà edonista, vuol vedere e alla quale vuole pensare come unica via di salvezza. E si capisce perché: perché fa di tutto per scordare di avere un’anima da salvare.
    A causa di quanti lo ricordano il mondo non è ancora schiacciato da quelli che non ne vogliono sapere, ma capeggiano!

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