Dopo le multe a chi fa l’elemosina, un altro esempio della tendenza del sindaco di Verona a recuperare l’anima originaria. Per coprire il resto
Tutto era cominciato durante la prima esperienza amministrativa di Flavio Tosi, quando il sindaco era un leghista duro e puro. Allora nei centralissimi giardini di Piazza Indipendenza, a due passi da Piazza Erbe a Verona, dove nel 1300 erano i Giardini degli Scaligeri, fecero la loro comparsa le nuove panchine di ferro cosiddette “anti-barbone”, con la barra in mezzo per impedire ai senzatetto di turno di stendersi per dormire. Le proteste furono accompagnate da azioni eclatanti di disturbo con l’uso di potenti cesoie in grado di tranciare e danneggiare il ferro delle barre divisorie.
Di quella stagione restano i tabelloni del Comune di Verona che elencano i divieti in vigore nei giardini. Curiosamente, a dimostrazione che la burocrazia è spesso autolesionista, campeggia ancora perché nessuno si è preoccupato di toglierla, l’insegna che indica la splendida location come area picnic. Solo le tavole in pietra per appoggiarsi e mangiare sono state tolte. I tabelloni rimasti si contraddicono tra di loro: quelli in blu fissano i divieti, quello marrone invita al picnic. Per l’occasione i giardini, che i veronesi chiamano “delle poste”, avevano anche ospitato le cosiddette “Piazze dei Sapori”, ma a quanto pare i pochi ma influenti veronesi che abitano nei pressi le avevano fatte sloggiare in Piazza Bra. Da allora, per tener lontani barboni e senzatetto, i giardini sono stati abbandonati a se stessi.
Poi la scorsa estate, fallito il primo progetto di un parcheggio pertinenziale del 2002 e un concorso di idee del 2012, è stato presentato in circoscrizione centro storico uno nuovo, di un giardino in Piazza Indipendenza. Si ispira all’Orto Botanico creato ai primi dell’Ottocento e gestito dall’Accademia di Agricoltura, Scienza e Lettere. E lì sono nate le prime perplessità, legate alla scelta di pavimentare gran parte dell’area attorno al monumento a Garibaldi con pietre della Lessinia. Ai più non è sembrato prudente scavare e impermeabilizzare il terreno nel raggio di influenza delle radici dei due giganteschi Ginco, piante diventate l’emblema del posto e ricercatissime dai pittori.
Ma del progetto, quello che interessa di più al Comune pare sia stata la cancellata alta due metri che, per questioni di sicurezza dovrebbe chiudere metà del parco. È documentato che anche l’ottocentesco orto botanico era chiuso, ma è ovvio che questo non sarà un vero orto botanico, che richiede ben altre strutture. Insomma, la cancellata dovrebbe servire a impedire la cosiddetta frequentazione delle brutte compagnie. Come al solito era partita la polemica politica, visto il costo previsto di 300 mila euro. Il giudizio dei detrattori della cancellata era stato tagliente: dopo l’invenzione delle panchine con il manico, con la scusa di combattere il degrado ora si vuole chiudere in una gabbia l’unico giardino sull’ansa dell’Adige. E 300 mila euro per una cancellata non sembrano pochi.
Dopo i primi rilievi Tosi ha confermato che dalla sovrintendenza è arrivato l’ok per chiudere la piazza. Così ora si procederà con la gara d’appalto. Con buona pace dei pittori che con il giallo delle foglie dei due Ginco dovranno fare i conti con la ruggine della cancellata, senza contare che gli eventuali “ospiti” non graditi si trasferiranno comunque da qualche altra parte. Ma Tosi potrà sbandierare la “difesa della sicurezza”. Dopo le multe a chi fa l’elemosina, un sistema sicuro, molto sicuro per coprire le difficoltà della sua maggioranza e l’ambiguità della sua politica verso Renzi.
Fonte: http://www.vvox.it/2016/03/08/tosi-ma-a-che-serve-spendere-tanto-per-una-cancellata/