Dopo gli attentati in Belgio non combatteremo…perché ormai ci siamo già arresi

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Segnalazione di Redazione BastaBugie
Nel dopo-stragi sempre lo stesso format: gessetti, hashtag, frasi fatte, ma una paura assoluta a chiamare le cose con il loro nome
di Leone Grotti

Erano passati appena pochi minuti dall’attentato all’aeroporto di Bruxelles, ancora non era esploso un nuovo ordigno in metropolitana, ma già i social si riempivano di hashtag: #JeSuisBruxelles e #JeSuisBelge, ma anche #JeSuisTintin, celebre striscia a fumetti belga, e addirittura #JeSuisFrite, in riferimento alle patatine fritte che belgi e olandesi sanno cuocere tanto bene.

DA PARIGI A BRUXELLES: GESSETTI SULL’ASFALTO
Ancora non si conoscevano i dettagli degli attentati, i nomi degli attentatori, le motivazioni degli attacchi, il numero dei feriti e dei morti ma già i media davano conto di giovani scesi in piazza a scrivere sull’asfalto frasi vuote di senso (ma cariche di retorica) come ”Essere ottimisti è un dovere” e ”L’unione fa la forza”, mentre altri incitavano già a rispondere al terrorismo andando a bere una birra al bar «senza cedere alla paura».
Il copione che è stato scritto più o meno spontaneamente dopo gli attentati di Parigi è stato ripetuto in modo identico per Bruxelles, anche se con meno enfasi e più cinismo, un po’ di patriottismo in meno e un po’ di assuefazione in più. Le reazioni del dopo-attentato, buone per tutte le stagioni, si sono susseguite a slogan: da chi ha invocato più integrazione, senza spiegare che cosa questo significhi, a chi ha proposto di cacciare l’islam con tutti i musulmani dall’Europa in modo indiscriminato.

VIETATO L’ODIO
I sentimenti preconfezionati tirati in ballo dai giornali sono stati svuotati di qualunque drammaticità. Così pressoché tutti i giornali belgi stamattina spiegavano che il vero nemico non è il terrorismo, ma l’odio. #TousUnisContreLaHaine recita appunto un altro hashtag che va molto di moda in queste ore. Come se non fosse umano provare rancore o paura in simili situazioni, come se si volesse saltare il trauma a piè pari. Alla fine anche il richiamo ossessivo a riprendere subito a vivere come se non fosse successo niente sembra una giustificazione della (o un invito alla) indifferenza: dopo Charlie Hebdo e Hyper Cacher tutti i leader politici del mondo avevano marciato insieme a Parigi, ieri Barack Obama non ha neanche considerato la possibilità di rientrare a Washington da Cuba.
Anche per quanto riguarda le risposte da dare agli attentati è tutto già scritto: ci vogliono più sicurezza, più intelligence e più prevenzione. Punto. Qualche coraggioso si arrischia a dire che «siamo in guerra», senza però citare il nome del nemico e senza dilungarsi su come potremmo vincerla questa guerra. Ecco perché le parole di Silvio Berlusconi sul Foglio sembrano addirittura anacronistiche: «È tempo di agire con coraggio. Bisogna che i governi dell’Occidente capiscano che c’è un solo modo per risolvere la situazione: andare ad estirpare il cancro dell’Isis alla radice, con una coalizione che, sotto l’egida dell’Onu, riunisca Europa, Stati Uniti, Russia, Cina e i paesi musulmani moderati. (…) Non esistono soluzioni alternative, quando si è chiamati in guerra bisogna combattere e vincere».

CAMPANE SUONANO IMAGINE
Si può discutere se il mezzo bellico sia in grado di risolvere il problema, ma la sola idea che oltre a difendersi bisogna attaccare suona ormai come obsoleta, inconcepibile. Che bisogno c’è di andare a combattere l’Isis in Siria e Iraq, sembra di leggere tra le righe di tanti editoriali pieni di retorica ripetitiva, che bisogno c’è anche solo di porsi il problema: basta scrivere con un gessetto «pace» sull’asfalto per costruirla. L’Europa assomiglia sempre di più alla tartaruga millenaria Morla de La storia infinita, quando avvisata del pericolo mortale, del Nulla che incombe e si avvicina, risponde: «Non ci interessa, anzi, non ci interessa neanche se ci interessa o no, in effetti». Così, alle campane dell’università cattolica di Lovanio non resta che intonare il brano Imagine di John Lennon: «Immagina che non esista paradiso, facile se provi; nessun inferno sotto di noi; sopra solo il cielo; immagina che tutta la gente viva solo per l’oggi. Immagina che non ci siano nazioni, non è difficile da fare, niente per cui uccidere e morire, e nessuna religione. Immagina tutta la gente che vive in pace». Il Nulla è già qui.

Nota di BastaBugie: Peppino Zola nell’articolo dal titolo ”La banale risposta al male di un’Europa codarda” spiega che quasi tutti rimangono alla superficie, come i servizi segreti di Belgio e Francia, preoccupati solo di non apparire ”islamofobi”. I ghetti si formano perché mettiamo insieme persone a cui non abbiamo il coraggio di annunciare i criteri di una vita nuova, scaturita dall’appartenenza a Cristo.
Ecco l’articolo integrale pubblicato da La Nuova Bussola Quotidiana il 28-03-2016:
Non c’è solo la ”banalità del male”, c’è anche la banalità della risposta al male, come si è visto e sentito in questi giorni, in risposta alla ennesima strage dei terroristi islamici dell’ISIS. Abbiamo sentito le stesse banalità già udite dopo le stragi di Madrid, Londra, Parigi, Tunisi e di molti altri tragici luoghi.
Tutti a ripetere che si devono unificare i servizi segreti (ma il summit dei ministri di questi giorni non ha deciso nulla), che le nostre abitudini non devono cambiare (ma Bruxelles è militarizzata), che siamo in guerra ma non troppo, che i terroristi non sono veri islamici, e così via banalizzando. C’è, poi, l’ineffabile D’Alema che chiede di rispondere al terrorismo aumentando il numero delle moschee con l’8 per mille, ci sono le piazze che rispondono alle micidiali bombe con i gessetti e con sentimentalate musicali, ci sono quelli che fanno finta di non avere paura per non darla vinta ai criminali.
Quasi tutti rimangono alla superficie del fenomeno in atto, come sono rimasti alla superficie i servizi segreti del Belgio e di Francia, il che non è avvenuto a caso, essendo il frutto diretto di uno stupido buonismo, che rende Belgio e Francia più preoccupati di non apparire ”islamofobi” che di assumere forti decisioni a tutela della sicurezza e della libertà dei propri popoli. Dentro questa imbelle banalità generale, si intravedono alcuni segni di resipiscenza da parte di Ferrara (che chiede decisioni e non analisi), di Berlusconi (che, inascoltato, chiede che si formi un’alleanza mondiale per fermare definitivamente l’Isis) di Galli della Loggia (che sul Corriere chiede una cosa ovvia e cioè che si applichino le leggi anche nei confronti dei munsulmani!).
Ma la banale e codarda superficialità domina, malgrado i continui bla bla.
Anche i cristiani hanno gravi responsabilità su questo fronte, perché si stanno arrendendo al pensiero unico dominante, venendo meno alla responsabilità di essere una presenza originale, che scaturisca dall’appartenenza alla vita attiva delle loro comunità, che abbia al centro la persona ed il pensiero di Cristo.
Cito, a titolo di esempio, quanto avvenuto all’Università Cattolica di Lovanio, la quale, per ricordare i morti causati dalle bombe islamiche, ha fatto suonare anch’essa la canzone di John Lennon Imagine, le cui parole sognano un mondo senza religioni e senza paradisi. Forse i responsabili di quella università non si erano resi conto di tali parole; ma forse è più probabile che sapessero tutto e che abbiano scelto un canto palesemente massonico, invece che riproporre una delle tante stupende musiche della tradizione cristiana che fanno memoria dei morti e delle ingiustizie commesse in questo povero mondo. Quanto accaduto a Lovanio costituisce una sintesi fedele di quanto sta avvenendo all’interno della cultura e della esperienza dei cristiani oggi in Europa (e non solo).
Siamo alle solite. I cristiani stanno dimenticando che Cristo ci invita a vivere l’appartenenza a Lui, con la carità, con la cultura e con la missione. I cristiani pensano di esaurire il proprio compito con la dimensione della carità (di cui, peraltro, vediamo esempi eroici e straordinari), dimenticando che quando accogliamo l’ospite non possiamo e non dobbiamo nascondere il motivo profondo per cui lo facciamo. In altre parole, siamo colpevoli se non comunichiamo il giudizio di Cristo e se rinunciamo ad annunciare la bellezza ed il fascino di Gesù.
I ghetti si formano anche perché mettiamo insieme delle persone, a cui non abbiamo il coraggio di annunciare i criteri di una vita nuova, scaturita dall’appartenenza a Cristo. Appariamo, così, gente senza fede e finiamo anche con l’essere disprezzati da parte di coloro che hanno una fede integralista, che poi strumentalizzano, uccidendo in nome del loro Dio.
Ma nessuno ha mai osato dire loro che il Dio dell’Amore ci può far vivere in modo diverso. In questo senso, la passività dei cristiani costituisce una grave responsabilità circa quanto sta accadendo in Europa. Certo è che questa passività è favorita da un clima generale, per il quale, Belgio e Francia in testa, si è voluto fare a meno di Dio nella costruzione del bene comune, tradendo l’origine stessa dell’Unione Europea: i tre fondatori erano cattolici credenti e praticanti e per questo erano autorevoli e creativi. Senza Dio si diventa banali e aridi.
Nella liturgia ambrosiana del Venerdì Santo, ho letto parole durissime di Isaia a proposito di chi vuole fare a meno del Signore: «Si ubriacheranno del proprio sangue». E’ quello che sta accadendo: la banale Europa si sta esaurendo correndo dietro ai propri idoli ed al proprio saccente ed autonomo pensiero. In questi giorni particolari, preghiamo per i morti innocenti, ma anche per gli insensati europei che stanno distruggendo i loro popoli, affinché abbiano a ravvedersi in tempi rapidi. ”Signore, vieni presto in mio aiuto”.
Rimane, comunque, una certezza: Cristo continua a risorgere e le tenebre non prevarranno.

Titolo originale: Le campane dell’Università cattolica di Lovanio che intonano ”Imagine” sono la nostra marcia funebre
Fonte: Tempi, 23 marzo 2016

Una Risposta

  • Sì è analisi spietata e reale ! ” Il Nulla è già qui.”
    Che poi Berlusconi dica parole giuste dopo una serie di azioni sconnesse, nulla toglie alla incapacità cronica sua e di altri politici, nel comprendere DAPPRIMA la gravità delle situazioni.

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