di Thierry Meyssan – 01/06/2016
Fonte: Megachip
Le riunioni del G7, che in origine erano semplici conversazioni senza schemi tra leader occidentali, hanno aspirato a trasformarsi in un governo mondiale, prima di affondare e di diventare un training di comunicazione. Il vertice di Ise-Shima ha passato in rassegna i principali problemi del mondo definendo – per ciascuno di essi – gli elementi del linguaggio da utilizzare.
Nell’immagine di apertura: La prima riunione del G5 a Rambouillet (1975).
DAMASCO (Siria) – Il G7 si è appena riunito a Ise-Shima (Giappone). Ma mentre eravamo sommersi dai vertici precedenti, questo ha ricevuto a malapena copertura dalla stampa internazionale. Il fatto è che questo incontro ha cambiato obiettivo.
Nel contesto del primo shock petrolifero, nel 1974, cinque ministri delle finanze (Germania federale, Francia, Giappone, Regno Unito, USA) si riunirono senza alcun ordine del giorno nella biblioteca della Casa Bianca, solo per scambiare i propri punti di vista. Era il «Library Group».
Su questo modello, gli unici due sopravvissuti di quel gruppo, Valéry Giscard d’Estaing – che era diventato Presidente della Repubblica francese – e Helmut Schmidt – che era diventato Cancelliere della Germania Ovest – presero l’iniziativa di invitare l’anno successivo (1976), presso il castello di Rambouillet, i capi di Stato e di governo degli stessi paesi, più l’Italia, per uno scambio di opinioni sulle principali questioni del momento. A quel tempo, i vertici internazionali erano rari ed estremamente formali. Il G6 colpiva per la sua mancanza di protocollo, la sua natura semplice, distesa e amichevole, in un’atmosfera da circolo esclusivo. Le discussioni si svolgevano direttamente in inglese, senza traduttori. La riunione era annunciata all’ultimo momento. Non c’era un ordine del giorno né i giornalisti.
Nel 1977 fu anche invitato il Primo Ministro del Canada (G7), e a partire dal 1978 il presidente della Commissione europea. Nel 1994, il presidente russo fu invitato e formalmente integrato nel 1997 (G8). Gli occidentali erano infatti convinti che dopo il crollo dell’URSS la Russia fosse in procinto di unirsi a loro in modo che insieme andassero a creare un mondo unipolare e lo dominassero. Era l’epoca in cui si costituiva una classe dirigente transnazionale caratterizzata da ambizioni senza limiti. Essa immaginava di poter spazzare via il diritto internazionale e di sostituirsi al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite al fine di governare il mondo senza controllo.
Nel 2000 il G8 sostenne la proposta di Paul Wolfowitz e della Banca mondiale di cancellare il debito dei paesi più poveri. C’era tuttavia un piccolo requisito: dovevano liberalizzare totalmente le loro economie, in modo che le multinazionali potessero saccheggiarli senza restrizioni. Su 62 paesi implicati, solo 9 accettarono questo affare per gonzi. La presa di posizione del G8 sollevò un movimento mondiale anti-globalizzazione. In occasione del vertice successivo di Genova (2001), la repressione delle manifestazioni fece un morto. Fu allora deciso che di lì in poi questi vertici si sarebbero svolti fuori dalle grandi città, sotto misure pesanti di sicurezza poliziesca e militare. Così vi si poteva tramare quel che si voleva lontano dagli sguardi.
Ma nel 2013 le cose si si sono guastate: Vladimir Putin era tornato al Cremlino e gli Occidentali avevano appena rilanciato la guerra contro la Siria nonostante gli impegni negoziati da Kofi Annan e confermati dal Comunicato di Ginevra. Il vertice di Lough Erne si trasformò in uno scontro 1 contro 7. Doveva concentrarsi sulla lotta contro i paradisi fiscali, ma la discussione fu catturata dalla giravolta occidentale sulla Siria. L’anno successivo (2014), dopo il colpo di Stato a Kiev, la divisione dell’Ucraina e l’adesione della Crimea alla Federazione Russa, la Germania constatò che la fiducia tra i partecipanti si era rotta e l’incontro non poteva essere tenuto nella sua forma consueta. Gli Occidentali decisero di annullare catastroficamente la loro partecipazione al vertice di Sochi e si ritrovarono senza la Russia, a L’Aia (Paesi Bassi). Il G8 meno 1 ridiventava il G7.
42 anni fa, il vertice si concludeva con una breve dichiarazione che indicava le questioni economiche che erano state discusse e sottolineava la coesione del blocco occidentale. Rapidamente, questi comunicati furono allungati, per rassicurare gli investitori internazionali che nessuna decisione importante veniva presa in questo incontro segreto. A partire dall’invito della Russia e il convenire di molti giornalisti, si aggiunse una dichiarazione politica volta a dimostrare che il mondo si unificava intorno a Washington. Poi si cominciò a pubblicare lunghe dissertazioni sullo stato del mondo e la buona volontà dei potenti di migliorarlo. Ma mai, assolutamente mai, nessuna decisione è stata presa dal G8. Al massimo, vi si annunciavano impegni che ci si affrettava a dimenticare (come sradicare la fame nel mondo) o vi si promulgavano delle solenni Carte che ci si affrettò a violare (sulle Fonti aperte, ad esempio).
A partire dal 2001, il G8, che appare come un governo mondiale parallelo alle Nazioni Unite, diventa in realtà una riunione di consultazione, senza poste in gioco. In questa fotografia la cui pubblicazione fu proibita in diversi paesi, si vede il presidente Dmitry Medvedev ubriaco al vertice del 2011.
© Rete Voltaire
Che fine ha fatto il G7
Dei nove membri ufficiali del G7, 2 hanno una doppia voce: gli Stati Uniti possono contare sul Presidente della Commissione Europea, il lussemburghese Jean-Claude Juncker, che ha dovuto dimettersi da primo ministro dopo che aveva rivelato la sua appartenenza alla Gladio (servizio segreto della NATO). La Germania, nel frattempo, si affida al Presidente del Consiglio europeo, il polacco Donald Tusk, la cui famiglia è legata fin dall’inizio della guerra fredda a quella della Merkel.
Ora, il G7 è un semplice incontro di formattazione. Gli Stati Uniti e la Germania indicano degli elementi del linguaggio che i loro vassalli sono sollecitati ad adottare. Migliaia di giornalisti assistono a questa grande messa. In ultima analisi, il vertice di Ise-Shima ha pubblicato una lunga dichiarazione economica e politica e sei documenti allegati che riflettono il linguaggio delle élite degli Stati Uniti. Tutto è perfetto almeno in apparenza, ma a una lettura approfondita – come vedremo – è al contrario scandaloso.
Nell’introduzione alla loro dichiarazione, i membri del G7 sottolineano i loro valori comuni, di cui i quattro principali sono:
– La libertà
– La democrazia
– Lo stato di diritto
– Il rispetto dei diritti umani.
Poi affermano la loro capacità di garantire:
– la pace
– la sicurezza
– la prosperità del mondo.
Infine, definiscono la loro priorità:
– la crescita economica globale.
Perfino un bambino piccolo capisce senza difficoltà che queste “grandi persone”, quando sostengono che la loro priorità è la crescita economica globale, si prendono gioco degli ideali e degli obiettivi che espongono.
I 9 membri del G7.
La dichiarazione finale del G7
Mi limiterei qui a studiare i passaggi della dichiarazione relativi alla politica internazionale vista da queste 9 persone che aspirano ad essere le più potenti del mondo [1]. Si tratta di un catalogo delle attuali 18 principali bugie occidentali. Offre l’opportunità di passare in rassegna le maggiori materie di conflitto.
– La “lotta contro il terrorismo e l’estremismo violento” [2].
È ormai una cosa purtroppo acquisita nei vertici internazionali: il terrorismo, vi si afferma, sarebbe il frutto dell’estremismo violento. Si tratterebbe unicamente della maturazione di problemi psicologici personali in contesti politici irrisolti. Il terrorismo non sarebbe una strategia militare, nessuno Stato lo metterebbe all’opera, e sarebbe interamente finanziato da donazioni private e da traffici vari. Questa è la teoria difesa dal dicembre 2015 dal Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, che è giunto a unirsi al G7, al fine di fornirgli l’illusione di un consenso globale [3]: l’unico nemico è la “radicalizzazione”. Una formulazione che consente a coloro che organizzano il terrorismo di combattere ogni forma di opposizione, con il pretesto di prevenire il terrorismo.
Come abbiamo spiegato in dettaglio con fiumi di articoli a partire dal 2001, almeno 8 dei 9 membri del G7 sono direttamente impicati nel sostegno ad Al -Qa’ida e a Daesh in Iraq, in Siria e in Libia. Solo il Canada di Justin Trudeau non sembra più partecipare a questa guerra segreta.
– “Le migrazioni e la crisi dei rifugiati” (e non la crisi dei rifugiati e dei migranti).
Si noterà la distinzione semantica tra il flusso migratorio e la crisi delle persone rifugiate. I migranti scelgono di spostarsi. Essi sono considerati come un flusso, non come individui, a differenza dei rifugiati che sono costretti allo spostamento e hanno diritto a una protezione internazionale.
Ora, vi sono in realtà assai pochi rifugiati reali. La stragrande maggioranza dei siriani che sono fuggiti dal loro paese si è rifiutata di difenderlo contro i jihadisti perché era convinta che la Repubblica stava per essere rovesciata dalla NATO. Altri sono fuggiti dai combattimenti sperando di ritornare dopo la vittoria dei jihadisti e la costruzione di un autentico Stato islamico. Ma il diritto internazionale non riconosce lo status di rifugiati ai renitenti alla leva che si rifiutano di portare armi per difendere la loro patria attaccata dall’estero, né a coloro che sperano di vincere senza combattere.
Non vi è dubbio alcuno che il fenomeno della fuga dei siriani sia stato incoraggiato dagli Stati che attaccano il paese e speravano così di sconfiggerlo svuotandolo dei suoi abitanti. Ora, tutti i membri del G7 hanno partecipato a questo piano.
– La Siria
Il G7 condanna con la massima fermezza le violazioni della cessazione delle ostilità da parte del “regime siriano”. Vero, non dice una parola né sulle violazioni commesse in precedenza dai gruppi armati, né -cosa più importante – sulle violazioni che ha commesso esso stesso per primo. Parlo ad esempio della fornitura di 2.000 tonnellate di armi e munizioni da parte del Dipartimento della Difesa USA, come attestato dalla rivista Jane’s. Armi e munizioni, di cui almeno la metà sono state assegnate ad Al-Qa’ida e a Daesh che il G7 pretendeva di combattere poche righe più in alto [4].
Il G7 condanna anche “il regime” (un termine peggiorativo usato nei confronti di uno Stato membro dell’ONU e mirante a sottolineare che lo scopo della guerra del G7 è attuare un “cambiamento di regime”) per aver bloccato l’accesso umanitario internazionale. Tuttavia, i casi citati dall’ONU corrispondono a un mancato rispetto da parte dell’ONU stessa delle date o dei percorsi precedentemente concordati con il governo siriano. A parte il fatto che il G7 non condanna i gruppi armati per aver bloccato l’accesso di svariate località, annuncia che prenderà a pretesto quello di cui accusa abusivamente il “regime” per consentire al PAM (Programma Alimentare Mondiale) di paracadutare degli aiuti nelle zone jihadiste. Tuttavia, poiché il PAM non possiede i mezzi per questo tipo di operazione, la subappalterà alla US Air Force che non lancia con il paracadute solo cibo e medicinali, ma anche armi e munizioni. Questo tipo di operazione ha solo l’apparenza umanitaria poiché i viveri e i medicinali paracadutati nelle zone jihadiste saranno immediatamente confiscati da gruppi armati che li rivenderanno a peso d’oro alle popolazioni sotto il loro controllo, o li esporteranno verso la Turchia come abbiamo constatato di recente.
Infine, il G7 evoca la questione delle armi chimiche, senza nominare alcun campo; segno che potrà sempre utilizzare questa accusa contro qualsiasi attore, compresi i gruppi armati e la Turchia. Si tratta di un mezzo di ricatto sull’imprevedibile governo Erdoğan.
– L’Iraq
Il G7 sostiene “l’unità, la sovranità e l’integrità territoriale” del Paese. Ha lodato il governo iracheno per la sua lotta contro Daesh e ha annunciato che sostiene già ora gli sforzi di Baghdad per venire in aiuto delle popolazioni nelle zone liberate. Tuttavia, dato che non ha ugualmente elogiato il “regime” siriano per le sue vittorie contro Daesh, possiamo concludere che – in contrasto con le risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU – il suo principale obiettivo non è la lotta contro il terrorismo.
I membri del G7 annunciano che oggi spendono più di 3,6 miliardi di dollari per aiutare le autorità irachene, compresi i curdi. Così facendo, contraddicono quanto scritto poche righe prima: infatti, afferma di sostenere l’unità del paese, ma consegna armi direttamente a una provincia che incoraggia a non obbedire più al governo centrale.
– Iran
Con un certo aplomb, il G7 ha accolto con favore l’accordo 5 + 1 raggiunto un anno fa con l’Iran. Ma questo comprendeva la revoca delle sanzioni statunitensi, europee e internazionali, il che avrebbe dovuto permettere all’Iran di godere di nuovo dei 150 miliardi di dollari bloccati in tutto il mondo. Tuttavia, sebbene certi piccoli paesi abbiano effettivamente sbloccato i fondi che erano stati costretti a congelare – ad esempio, la Svizzera per 12 milioni di dollari – l’Iran non ha ancora visto il becco di un quattrino bloccato negli Stati Stati o nell’Unione europea. Peggio ancora, mentre Washington aveva appena finto ufficialmente di sbloccare 450 milioni di dollari, sono stati immediatamente messi sotto sequestro da un giudice statunitense “indipendente” per compensare le vittime degli attacchi dell’11 settembre, evento per il quale gli Stati Uniti non avevano mai accusato l’Iran negli ultimi 15 anni. La presa di posizione dei 9 membri del G7 viene qui in risposta alla denuncia presentata dall’Iran al Consiglio di sicurezza, con il sostegno del Movimento degli Stati Non Allineati [5].
Il G7 prosegue condannando le ricerche iraniane in materia di missili che violerebbero la risoluzione 2231. Tuttavia, questa risoluzione non affronta affatto tale questione. L’ambasciatrice Samantha Power aveva a suo tempo ricordato nel corso del dibattito in seno al Consiglio di Sicurezza che l’Iran avrebbe dovuto non solo rispettare la risoluzione, ma anche applicare altre norme internazionali in materia di missili balistici [6]. Gli Stati Uniti sanno che non possono collegare la questione dei missili balistici a quella del nucleare, poiché dopo l’accordo 5 + 1 non hanno depositato alcuna denuncia contro l’Iran.
– Repubblica popolare democratica di Corea
Il G7 condanna la ricerca nucleare di quella che definisce “la Corea del Nord”, sottolineando in tal modo che gli Stati Uniti sono in guerra contro di essa a partire dal 1950. In realtà, può appoggiarsi su diverse risoluzioni del Consiglio di sicurezza. Tuttavia, in assenza di un trattato di pace e vista la pressione esercitata nel corso di 10 anni contro l’Iran, che non aveva alcun programma nucleare militare, si capisce che Pyongyang non si sia conformata.
– “Ucraina / Russia”
Il G7 ribadisce l’obbligo di rispettare “la sovranità, l’integrità territoriale e l’indipendenza” dell’Ucraina. Poi, condanna l’annessione illegale della Crimea da parte della Russia. Questo è un ulteriore esempio dell’ipocrisia occidentale. Questo perché sono proprio i membri del G7 ad aver organizzato il colpo di Stato a Kiev, violando così la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina. I cittadini che rifiutatavano il golpe hanno tentato all’inizio di entrare in resistenza. Ben presto si sono resi conto che la popolazione si divideva geograficamente tra filo-atlantisti e filo-russi. Le regioni filo-russe, Crimea, Donbass e Luhansk, hanno proclamato la loro indipendenza, ma solo la Crimea ha reagito abbastanza velocemente da chiedere la sua riunificazione alla Federazione Russa.
Si osserverà giusto una frase che critica la corruzione del governo ucraino; segno che i membri del G7 sono assai imbarazzati dal loro nuovo alleato.
– Libia
Il G7 dà sostegno al governo presieduto da Fayez al-Sarraj – unica autorità oggi riconosciuta dall’ONU – in modo da pacificare il paese, consentire il suo sfruttamento petrolifero e lottare contro Daesh.
Poiché il paese non ha più un capo legittimo si è diviso in tribù. Il governo di al-Sarraj è stato costituito dall’ONU in occasione degli accordi di Skhirat (aprile 2015). Ma non ha mai ricevuto l’investitura dalla Camera dei Rappresentanti che era stata creata dalla NATO dopo l’assassinio di Muammar el-Gheddafi. Pertanto non è più legittimo degli altri, anche se è più obbediente. In ogni caso, i membri del G7 annunciano di sostenere la revoca dell’embargo sulle armi solo a a suo vantaggio, cosa che dovrebbe consentirgli sia di massacrare i propri rivali sia di rilanciare la guerra civile.
– Afghanistan
I membri del G7 sostengono ogni “processo di pace animato dagli afghani”, cosa che risulta davvero poco credibile 15 anni dopo l’invasione anglo-statunitense e gli accordi di Bonn imposti dai vincitori. Si rallegrano della partecipazione dell’Afghanistan al vertice NATO il prossimo luglio a Varsavia, il che la dice lunga su questo processo di pace “guidato dagli afghani” e sulla volontà di continuare l’accerchiamento militare della Russia.
– “Processo di pace in Medio Oriente”
Il G7 ammette attraverso questa formula che il conflitto israelo-palestinese è in realtà un conflitto arabo-israeliano. Tenendo conto delle cattive relazioni con l’attuale primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, il G7 sostiene l’iniziativa francese per una conferenza internazionale… senza gli israeliani né i palestinesi; solo modo, a suo parere per far avanzare la “soluzione a due Stati”.
– Yemen
Avanzando con cautela, il G7 ha detto che la pace in Yemen passa per la ripresa della transizione politica. formulazione indiretta per significare che sostiene il presidente di transizione cacciato dalla piazza, Abd Rabbo Mansour Hadi, che viene preso a braccetto da Arabia Saudita e Israele.
– Africa
Mentre il G7 aveva discusso in dettaglio degli Stati precedenti, non si è preso la briga di dedicare la stessa attenzione a Burkina Faso, Burundi, Mali, Nigeria, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Somalia e Sud Sudan, così come ad alcuni altri Stati nemmeno nominati del bacino del Ciad, del Sahel e del Corno d’Africa. Tutti sono confinati in un singolo paragrafo che elenca molti problemi e poi li invita a rafforzare le organizzazioni intergovernative per risolverli. Il Pentagono non ha ancora digerito che AfriCom non sia stato accolto a braccia aperte dagli africani in occasione della sua creazione.
Questo paragrafo è stato redatto alla presenza del presidente del Ciad Idriss Deby, che era stato invitato a margine del vertice. La sacrosanta regola statunitense secondo cui nessun capo di Stato dovrebbe stare in carica per più di due mandati consecutivi non si applica a questo paese. Deby, al potere in modo interrotto per più di 25 anni, è accusato di molti reati nel suo paese e nel Darfur, ma è il miglior alleato per un dispiegamento militare nel continente africano.
– Venezuela
Il G7 auspica sia un dialogo tra il governo e i cittadini sia tra il governo e il parlamento. Questa formula suggerisce abilmente che il governo sia un regime autoritario contestato sia dal suo popolo sia dai partiti politici.
In realtà, poiché Washington non è riuscita a organizzare sommosse (il “Guarimba”) nel 2014 [7], né a realizzare un colpo di Stato nel febbraio 2015 [8] ha decretato che il Venezuela costituisse “una minaccia contro la [sua] sicurezza nazionale “[9] e ha costruito un dossier per accusare uno dei principali leader bolivariani, Diosdado Cabello, di essere un trafficante di droga [10]. Nonostante i convenevoli del presidente Obama quando incontrò il suo omologo venezuelano, egli ha rinnovato il suo decreto nel 2016. Il 25 febbraio, il SouthCom e le forze speciali USA redigevano un piano per destabilizzare il paese, che loro malgrado è trapelato [11]. Il suo scopo è, per i prossimi anni, provocare il caos così come è stato fatto nel Levante.
– Sicurezza marittima
Il G7, che si pone come garante della sicurezza marittima, anche se i suoi membri hanno organizzato i pirati del Corno d’Africa negli anni 2009-10 [12], critica le rivendicazioni di Pechino nel Mar Cinese basandosi sul diritto del mare, che però non è assolutamente il problema.
Le rivendicazioni di Pechino sono storicamente legittime e nessuno se ne preoccupava fino alla scoperta dei giacimenti di petrolio. Le isole Spratly e Paracels sono state considerate cinesi fino al XVIII secolo. Ma siccome erano in gran parte disabitate, l’Imperatore non vi aveva inviato mai alcun rappresentante. Furono abbandonate durante la colonizzazione della Cina nel XIX secolo. In realtà, esse possono essere dunque rivendicate oggi tanto da Taipei quanto da Pechino a seconda di come si interpreta la decolonizzazione. E, naturalmente, le ex potenze coloniali non hanno la stessa lettura degli eventi che ha il popolo cinese che le ha sloggiate dal suo paese.
– Non-proliferazione e disarmo
C’è ben da dubitare che il G7 sia favorevole alla non-proliferazione nucleare e al disarmo, poiché il suo discorso è sì sempre pacifico, ma la sua pratica risulta imperialista.
L’ipocrisia occidentale è qui incarnata da Barack Obama che ricevette il premio Nobel per la pace per aver annunciato la sua intenzione di porre fine alle armi nucleari, ma che – una volta al potere – ha al contrario modernizzato e ampliato l’arsenale nucleare USA. Subito dopo il vertice, è andato a Hiroshima, dove ha pronunciato un discorso. Naturalmente, non ha chiesto scusa – non è responsabile di ciò che il suo predecessore aveva fatto – ma non ha risposto alla domanda sulla legittimità del bombardamento atomico, il che non lascia in dubbio la sostanza del suo pensiero.
Il G7 finge di ignorare che l’anno scorso una famiglia è riuscita a ottenere la bomba atomica e ha utilizzato almeno due bombe tattiche in Yemen [13]. Eppure si tratta di un pericolo tangibile, molto più grave di quello rappresentato dai test nordcoreani. Inoltre, il fatto che i Saud avessero acquisito la tecnologia a titolo privato e non per conto del loro Stato, l’Arabia Saudita, causa una violazione supplementare nel Trattato di non proliferazione.
– Riforma delle Nazioni Unite e delle operazioni di pace
Come dovuto, il G7 è a favore di una evoluzione delle Nazioni Unite. Ha colto l’occasione per ribadire il suo sostegno alle decisioni del vertice sulle operazioni di mantenimento della pace che il presidente Obama aveva presieduto all’ONU.
Il problema è che lo stesso principio delle operazioni di mantenimento della pace è contrario alla Carta dell’ONU. Quando fu creata, i fondatori avevano previsto missioni di osservazione per verificare l’attuazione degli accordi di pace. Erano possibili e utili solo in caso di accordo tra le parti in conflitto. Invece, oggi, il Consiglio di Sicurezza impone la sua soluzione alle parti, ossia si schiera da una parte o dall’altra, e dispiega la forza militare per costringere a rispettarla. Si tratta semplicemente dell’abito fornito a una pratica coloniale.
– Diritti umani
Questo breve paragrafo illustra perfettamente il fondo del mio intento: chi mai sarebbe in contrasto con i diritti umani? Nessuno. Tuttavia, il testo mostra il rispetto di tali diritti come “una collaborazione tra Stati membri e le società civili”. In tal modo, riprende la definizione britannica di tali diritti e quella di Immanuel Kant per la società civile.
Secondo il G7, i diritti umani sono una protezione per gli individui di fronte alla ragion di Stato. Ciascuno deve poter andare in tribunale contro gli abusi che ritiene di aver subito. “La società civile”, ossia gli attori politici -un tempo, i plebei – che non partecipano alla vita dei partiti politici, dovrebbero quindi essere in grado di rappresentare i cittadini contro lo Stato. Questo borborigmo è la negazione delle Rivoluzioni francese, russa, cubana e iraniana per le quali il primo diritto umano sta nel mettere in discussione la legittimità del potere e non di proteggersene. Così facendo, il G7 afferma che la nuova classe dirigente internazionale non ha intenzione di lasciarsi rovesciare.
– Sicurezza nucleare
Il G7 distingue qui la sicurezza delle tecniche (safety) dalla sicurezza politica degli impianti (security). Fa appello agli azionisti delle multinazionali interessate affinché rispettino la convenzione internazionale che regola la loro attività. E ha accolto con favore il vertice organizzato dalla Casa Bianca sulla prevenzione del furto di armi nucleari da parte di gruppi terroristici.
Distinguendo la questione di eventuali armi atomiche possedute dai terroristi da quello della non-proliferazione, il G7 dimostra chiaramente che non persegue seriamente nessuno di questi obiettivi. La non-proliferazione è solo il divieto per le potenze non nucleari di entrare nel club nucleare. Il vertice della Casa Bianca è stato un pretesto affinché il Pentagono potesse “aiutare” ogni Stato e dunque controllarlo meglio.
Il futuro del G7
La storia del G7 riflette l’evoluzione delle relazioni internazionali. Durante la guerra fredda, era un club di capi di Stato e di governo che riservatamente si riunivano per imparare a lavorare insieme. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, si trasformò in vertice dei grandi di questo mondo che intendevano governarlo al di fuori delle Nazioni Unite. Paradossalmente, il crollo attuale non è dovuto a una causa politica, la rivolta russa, ma a una distinzione sociologica: i leader russi sono dello stesso calibro di quelli precedentemente al potere in Occidente, non hanno nulla in comune con la nuova classe dirigente che si riunisce a Davos.
Thierry Meyssan
Traduzione a cura di Matzu Yagi.