di Alessio Mannino
Quattro dubbi (con qualche certezza) sull’affaire BpVi-Vb dopo l’arresto dell’ex ad della banca trevigiana
L’ex dominus di Veneto Banca, Vincenzo Consoli, arrestato ai domiciliari; il suo omologo in Banca Popolare di Vicenza, Gianni Zonin, no. Al primo son stati sequestrati beni milionari, al secondo neanche un soprammobile. Con l’azione della Procura romana di ieri, il numero degli indagati per ostacolo alla vigilanza e aggiotaggio sale in tutto a quindici, compresi gli ex presidenti Flavio Trinca e Francesco Favotto, ex sindaci e una serie di imprenditori che sarebbero stati favoriti col «piacerino» di finti acquisti di bond e “finanziamenti baciati” per permettere la ripatrimonializzazione imposta dal torchio Bce. Con l’avviso di garanzia a fine luglio, la Procura di Vicenza ha allargato a 8 gli indagati per le stesse ipotesi di reato, comprendendo, oltre a Zonin, all’ex dg e ad Samuele Sorato, a due ex consiglieri d’amministrazione e due ex dirigenti, un altro dirigente e due altri ex componenti del cda, fra cui il presidente di Confindustria Veneto, Roberto Zuccato. A Montebelluna, sede centrale dell’istituto trevigiano, i cittadini (soci e clienti) brindano al giro di vite giudiziario, dopo un anno e mezzo di indagine. A Vicenza, i cittadini soci e clienti masticano ancora una volta amaro perché identica sorte non é toccata a Zonin.
Nel frattempo, il consigliere regionale indipendentista e zaiano Antonio Guadagnini dà voce ad una tesi in cui non raramente si rifugia chi intende scampare ad accuse che lo inchiodano nei fatti: passare per fessi, piuttosto che per colpevoli. Noi Veneti, intesi come classe dirigente economica e politica, siamo «minchioni», sostiene Guadagnini. Perché non abbiamo saputo difendere gli interessi delle nostre banche dalla riforma-capestro del governo Renzi che ha trasformato le due popolari in spa azzerandone il capitale. Perciò, secondo lui, le responsabilità dei vertici bancari sono tutto sommato secondari, rispetto ad un artificiale tsunami pilotato dall’alto. Un’idea che fa pendant con quella, cara a qualche difensore d’ufficio del mitologico “territorio”, del complotto dell’alta finanza internazionale che ha il suo braccio armato a Francoforte, negli uffici della Banca Centrale Europea egemonizzata dalla politica di potenza tedesca.
Questo il quadro. Ora mettiamo in fila un po’ di dati e di domande.
1) Perché Consoli sì e Zonin no? Per un’interpretazione differente fra la Procura di Treviso e quella di Vicenza. Quest’ultima, per bocca del suo capo Antonino Cappelleri, ritiene che il luogo finale dei reati ipotizzati si sia consumato a Vicenza, “capitale” del gruppo BpVi. Quella di Treviso, invece, ha girato tutto a Roma, in quanto sede della Banca d’Italia. Se fosse così, tutte le inchieste sulle banche che includano l’accusa di aver ostacolato la vigilanza di Bankitalia dovrebbero trasferirsi sul Tevere. E se dovesse essere coinvolta anche la Consob, come infatti é, perché non anche Milano?
2) Perché gli inquirenti romani decidono l’arresto di Consoli solo ora? Dall’esame delle carte dovrà venire fuori una spiegazione in merito. Quanto a Zonin, per Cappelleri é la diversità sta nello sfasamento fra gli inizi delle due indagini: «A Roma hanno un anno di vantaggio rispetto a noi». Da queste parole potremmo essere autorizzati a pensare che dobbiamo aspettarci almeno un altro mezzo anno per vedere lo stesso esito. Il che autorizza a prefigurare un percorso simile. Il che darebbe un’anticipazione del futuro dell’indagine. Il che creaun’aspettativa, nell’opinione pubblica, pericolosa, in caso di “delusione”.
3) Perché a Consoli il sequestro dei beni e a Zonin no? Secondo Cappelleri, perché bisogna prima «studiare quale possa essere il patrimonio che costituisca il profitto del reato di aggiotaggio che è stato contestato». Ma per la quantificazione quanto tempo ci può volere? Se lo scopo é cautelativo, il fattore tempo é decisivo. Ma qui il dubbio investe anche i pm romani, secondo la tempistica da chiarire di cui al punto 2. Va bene che esistono le revocatorie, ma nel frattempo Zonin ha passato proprietà e quote a moglie e figli…
4) C’è qualcuno meno colpevole di altri, sul piano non giudiziario, ma economico, politico e morale? Certo che c’é. Ma non secondo il teorema, che sa di alibi, enunciato da Guadagnini. I meno colpevoli sono i piccoli soci, gli “scavalcati” nella vendita delle azioni prima del tracollo nel 2015, i lavoratori, imprenditori e famiglie che si fidavano, ciecamente e sprovvedutamente. Attenzione: non sono incolpevoli, sono meno colpevoli. Perché una colpa, sia pur senza dolo, ce l’hanno anche loro: quella di essersi fatti soggiogare da un accerchiante e condizionante clima di consenso verso i grandi timonieri. Un unanimismo di massa che é stato possibile per la creduloneria della massa. Se ci fosse stato più senso critico – che, inutile girarci intorno, spesso manca del tutto nel Veneto profondo, specie nei paesi – forse il disastro non sarebbe stato di queste proporzioni. Certo, quelle assemblee plebiscitarie di azionisti si sono succedute per vent’anni anche perché noi della stampa locale non abbiamo fatto abbastanza, e anzi alcuni illustri colleghi hanno dato prova di un servilismo da camerieri. Ma se negli ultimi anni il valore delle azioni delle altre banche (quotate in Borsa) crollava, mentre in queste due invece planava verso l’alto, bastava poco per farsi venire quanto meno un dubbio. Sono loro, semmai, gli zebedei.
Ma con molte attenuanti. I banchieri non sono della suddetta categoria, perché si presume che sapessero quel che stavano facendo. Non lo sono neppure i politici veneti, anche se qui non saremmo così sicuri che tutti coloro che applaudivano alle assise di BpVi e Vb capissero quel che c’era da capire. Ma non possono ora venire a dire che sono un branco di minchioni. Perché se lo sono, dovrebbero avere il buon gusto di farsi da parte, per manifesta e per giunta rivendicata inadeguatezza. E invece restano lì a pontificare, persino contro se stessi. Sicuri che passata la buriana, con le elezioni che fortunatamente non cadono quest’anno, gli elettori si faranno minchionare un’altra volta.
Quanto al disegno di papparsi la torta del risparmio veneto, ordito dai famosi “mercati” della finanza tramite le severissime regole dei vari accordi di Basilea, agente la Bce e operante in loco il decreto Renzi di riforma 2015, ipotizzarlo é più che lecito. Anzi, diamolo pure per buono. Ma alcuni problemi in BpVi erano stati sollevati fin dal 2001, e per entrambe le ex popolari l’autocertificazione del valore azionario era una pratica tutta interna.Autoreferenziale, appunto. Senza contare la disparità di trattamento di Bankitalia fra l’una e l’altra: mentre per BpVi si é dovuto attendere la lente Bce per vederci chiaro sugli scambi fidi-azioni, per Veneto Banca già prima Palazzo Koch aveva intimato l’esautorazione del management. Al netto di quelle penali, nella scala delle responsabilità gestionali i manager locali e i controllori nazionali si posizionano senz’altro in cima. Che poi all’origine ci sia un diktat europeo-governativo, ciò può influire sulle cause a monte, ma non sulla quota parte di responsabilità nella catena a valle.
Tutti colpevoli, dunque? Sì, tutti colpevoli. Che non significa tutti innocenti. Significa, ciascuno secondo diverse e graduate responsabilità, e fatta eccezione per quei pochi che avevano contrastato l’andazzo o avevano per tempo capito, tutti colpevoli.