Segnalazione di www.vvox.it
Fuortes in scadenza lascia una fondazione in balia di pressappochismi politici e cabaret di improvvisati “privatizzatori”. Ministro Franceschini, dove sei?
Carlo Fuortes, commissario straordinario della Fondazione Arena di Verona, saluterà fra meno di un mese, il 15 ottobre. Considerando i tempi della politica romana e della burocrazia ministeriale (per dire, non lasciano ancora intendere se c’è il via ufficiale al piano di risanamento e all’entrata sotto l’ombrello della legge Bray, e non è davvero dettaglio di poco conto) è quasi sicuro che nell’immediatezza non succederà nulla. Anche perché proprio in quel periodo cade la “serrata” di due mesi della Fondazione, che è tanta e onerosa parte del progettato risanamento. Però una decisione di qualche tipo il ministro Dario Franceschinidovrà pur prenderla. Ed è altamente auspicabile che lo faccia il prima possibile. Dovrà valutare se sono cessati i motivi di urgenza ed emergenza che lo hanno indotto a decretare il commissariamento, ma soprattutto dovrà analizzare, possibilmente in profondità, la situazione veronese.
Le ultime settimane hanno infatti chiarito che dalle schermaglie, dai “ballon d’essai”, dalle provocazioni si sta passando alle grandi manovre, al posizionamento delle truppe, alla preparazione per la battaglia decisiva. In palio c’è il controllo della Fondazione. E il fatto che per arrivarci si metta a rischio il piano di risanamento la dice lunga: l’obiettivo finale ormai conclamato è la rivoluzione gestionale degli spettacoli lirici in Arena, che secondo questa idea deve passare per l’azzeramento di tutto il resto dell’attività in ambito operistico e sinfonico, grimaldello che apre le porte della tanto desiderata privatizzazione. Una situazione del genere è unica nel pur disastrato panorama delle Fondazioni lirico-sinfoniche italiane. Per questo è quanto mai opportuno che Franceschini faccia mente locale il prima possibile. Avendo chiaro che lo stratega di questo progetto è stato fin dall’inizio e continua essere Flavio Tosi.
Dopo mesi di minuetti dialettici, di positive considerazioni a denti stretti per Fuortes, di risibili tentativi di sostenere che tutto o molto di quello che il commissario ha progettato per la salvezza era già stato proposto prima, non appena sono stati resi noti i risultati del festival estivo, discreti economicamente, desolanti per il continuo calo di pubblico, il sindaco ha dato il via alle ostilità. In rapida successione, sono diventati pubblici i “mal di pancia” di vari contributori istituzionali, le cui sovvenzioni sono ovviamente strategiche nel piano di risanamento. Se le difficoltà della Camera di Commercio, motivata anche dalla riforma generale del comparto e dal dimagrimento economico oggettivo da cui tutte sono state colpite, comportano in realtà spostamenti poco sensibili nelle strategie perché non si tratta di cifre particolarmente rilevanti (ne avevamo parlato qui), il recentissimo attacco dell’Agsm, azienda multiservizi interamente controllata dal Comune di Verona, ha ben altro peso non solo economico ma anche politico. Perché sono in ballo 7,5 milioni in tre anni, ed è chiaro che uno smarcamento significherebbe mandare a fondo il risanamento. E perché, in perfetto stile politichese, è stata sollecitata una “verifica” sull’andamento della gestione.
In pratica, è come se questa cosa l’avesse chiesta Tosi in persona, visto che era stato lui a mettere in campo il contributo straordinario Agsm per provare a salvare i conti, quando ancora il commissario non era arrivato. Ora il presidente della multiservizi, il suo fedelissimo e possibile candidato sindaco alle Comunali 2017, Fabio Venturi, si dichiara non soddisfatto del ritorno d’immagine. Immaginiamo il sospiro di Fuortes, che tuttavia questa verifica dovrà rassegnarsi a farla. Se non altro per amor proprio, per non vedere afflosciarsi il suo progetto. Mentre accadono queste vicende ben poco ordinarie, non cessa nel frattempo ilpolverone intorno alla privatizzazione. Ultimo arrivato il patron di Calzedonia, Sandro Veronesi, che si sente legittimato a dire la sua, forse perché promoter di uno show in Arena dal seducente titolo di “Intimissimi On Ice” (no, la lirica quest’anno non l’ha seguita, lo farà l’anno prossimo). Trattasi dell’imprenditore che ha reso possibile, sborsando 100 mila euro, il Grande Diversivo del sindaco Tosi, il concorso di idee per la copertura dell’Arena.
Per Veronesi, la privatizzazione dev’essere dura e pura, senza Comune o altri enti in società, perché l’intervento pubblico è comunque deleterio. Se lo dice lui: lo Stato (il pubblico, tutti noi), ottemperando a un preciso dettato costituzionale sulla derelitta cultura, l’ultima volta ha versato 11,7 milioni nelle esauste casse della Fondazione Arena. I privatizzatori ne faranno meno, tanto la torta della lirica estiva in Arena vale 22-24 milioni di euro, e risparmiando sulle produzioni, il guadagno è sicuro: purché non ci siano 280 dipendenti fissi fra coristi, orchestrali, tecnici, impiegati e via dicendo. Tutti necessari per fare lo spettacolo chiamato opera, per farlo tutto l’anno, e non solo in luglio e agosto. Ma non è questo che si vuole. E aspettiamo di vedere come sarà “Intimissimi Aida”, o “Agsm Tosca”, così il ritorno d’immagine è sicuro.
Resta il cabaret, ammesso che qualcuno abbia ancora voglia di ridere. La sortita di Veronesi ha avuto l’immediato soddisfatto appoggio del suo collega imprenditore Giuseppe Manni, il leader del triumvirato che ha ideato e sostiene Arena Lirica Spa. Lui ha sempre parlato di una società privata con dentro il Comune e altri enti (se nel frattempo il progetto non è cambiato), ma tant’è, il principio di non contraddizione non lo sfiora nemmeno. Fra poco la triade organizzerà un convegno non aperto al pubblico “per evitare strumentalizzazioni” e quindi “consegnerà il progetto alla città”. No, non fa ridere per niente. Prima il ministro Franceschini se ne accorge, meglio è.