di Fabio Isman
A Porta Pia, non c’è nessuna lapide. Per trovarne una, si deve andare al cimitero di Chieri, in Piemonte, nella zona ebraica. Giacomo Segre era un capitano (1839 – 1894); quel giorno, aveva 31 anni: comandava la V batteria pesante del IX reggimento di artiglieria. Alle 5.20 del fatidico 20 settembre 1870, ordina d’aprire il fuoco contro Porta Pia. Subito dopo sparano anche la II e l’VIII batteria del VII reggimento, dirette dai capitani Buttafuochi e Malpassuti. I loro 888 colpi creano la breccia da cui i bersaglieri irrompono nella capitale dei papi, trasformandola in quella dell’Italia Unita.
Appena dieci giorni prima, racconta il conte Ponza di San Martino, latore dell’ultima lettera di re Vittorio Emanuele II a Pio IX Mastai Ferretti, questi aveva detto: «Non sono profeta né figlio di profeta; ma in realtà vi dico che non entrerete a Roma». Aveva anche scomunicato chi avesse ordinato d’assalire la città santa. Si sa: tutto invano. Anche la difesa delle 150 bocche da fuoco del papa, e dei suoi 10.915 uomini in armi: contrapposti ai circa 50 mila uomini del generale Raffaele Cadorna.
30 METRI
Segre spara per primo, una storia poco nota, proprio per la scomunica di Pio IX: a lui non interessava molto, perché era un ebreo. Come del resto interessava poco anche a Nino Bixio, noto «mangiapreti» attestato sul Gianicolo, a tre miglia da Porta San Pancrazio: e infatti apre pure lui il fuoco. Proprio nelle ore dell’assalto, Pio IX ricordava ai diplomatici dei 17 Paesi accreditati che «Bixio, all’epoca della Repubblica Romana, voleva affogare nel Tevere il papa e tutti i cardinali». Ma il primo colpo verso il tratto di mura tra Porta Pia e Porta Salara, dove verrà aperta una breccia di 30 metri attraverso cui passano i bersaglieri, è stato di un capitano ebreo: forse, proprio in quanto tale. Era il nonno materno dello storico Paolo Alatri, il quale ricordava: «In seguito, fece un po’ di carriera; divenne colonnello, ma non andò oltre, perché morì giovane». Aveva 55 anni.
GIORNATA CALDA
L’anno dopo Porta Pia, Segre sposa Annetta; nasceranno nove figli. Uno, Ippolito, cade sul Carso nella Prima guerra; un altro, Roberto (1872 – 1936) fa carriera: è con il Duca d’Aosta, Emanuele Filiberto, nella prima Guerra, poi libera Gorizia; quindi, dirige la missione italiana a Vienna, e ne seguono un oscuro processo e un arresto che gli troncano, pare ingiustamente, il «cursus honorum». Di Giacomo non si sa troppo: diventa direttore dell’Arsenale di Torino; una foto ce lo tramanda con una medaglia al petto, fiero, in divisa. Il 20 settembre era appostato a Villa Torlonia, il suo comandante era il maggiore Luigi Pelloux: dirigeva 12 cannoni di grande calibro; ne ottiene una medaglia d’argento, per la «splendida direzione data al fuoco della sua batteria». E l’indomani scrive alla fidanzata: «Ieri fu giornata abbastanza calda. Contro la mia aspettazione, le truppe pontificie fecero resistenza, e si dovette coi cannoni aprire la breccia che fu poi presa d’assalto dalla fanteria e bersaglieri.
La mia batteria prese parte all’azione e se ne levò con onore. Rimase morto un caporale, ferito gravemente il mio tenente, che morì stamane». Feriti pure «un altro caporale che forse non camperà fino a stasera e più leggermente altri quattro cannonieri. Roma è nostra, e domani andrò a visitarla. Fu un talismano che mi preguardò da quel nuvolo di palle che mi fischiavano d’attorno».
CHIERI
A Chieri gli ebrei sono scomparsi. Fino al 1931 era una delle più forti comunità del Piemonte: dal XV secolo. Nel 1724, i 73 abitanti ebrei, rinchiusi nel nuovo ghetto. Nel 1937, smantellata la sinagoga: gli arredi trasferiti nel tempietto sotterraneo di quella di Torino; ne resta solo lo scalone monumentale, a Palazzo Villa. Nel cimitero c’è una lapide con due cannoni incrociati ed il ricordo di Porta Pia; dal 2008, sul muro esterno, un’altra è dedicata a lui. Pochi lo ricordano; ogni 20 settembre, la Consulta torinese per la laicità delle istituzioni gli rende omaggio: anche stavolta. Di Giacomo, in tanti tacciono.
Il più autorevole testimone del 20 settembre era un ufficiale di 24 anni, già direttore de «L’Italia militare», che scriveva sulla «Nazione»: Edmondo De Amicis. Ma stava nelle retrovie: «Non ricordo che ora fosse quando ci fu annunziato che una larga breccia era stata aperta vicino a Porta Pia». Era totalmente diroccata; ne restava in piedi, intatta, dietro, soltanto un’immagine della Madonna. Era nata l’Italia unita: merito anche di questo ebreo, che non temeva la solenne scomunica papale.
Fonte: http://m.ilmessaggero.it/pay/articolo-596418.html