Falce, sesso libero e martello: così l’Urss distrusse la famiglia

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comunismodi Raimondo Gatto

Comuni, divorzio facile e mercificazione del corpo della donna. Così i rivoluzionari stravolsero la società russa

L’anno prossimo cadrà il centenario delle apparizioni di Fatima, nelle quali la Madonna aveva profetizzato l’avvento e le conseguenze – del comunismo in Russia (il golpe leninista avvenne di lì a poche settimane).

Per l’occasione si è svolto in settembre a Fatima un congresso mariologico internazionale in cui, tra l’altro, è stato presentato il libro Fatima misteries. Mary’s message to the modern age
(I misteri di Fatima. Il messaggio di Maria per l’epoca moderna), di due polacchi, Grzegorz Gorny e Janusz Rosikon, uscito negli Stati Uniti per Ignatius Press, la prestigiosa editrice dei gesuiti. Il primo è un produttore cinematografico e televisivo, il secondo è un famoso fotogiornalista.

Il libro è curioso perché è strutturato come una specie di anti-Decalogo, nel quale si dimostra, punto per punto, come il comunismo ha contraddetto, scientemente e in pieno, tutti i Dieci Comandamenti della religione ebraico-cristiana, costruendo una vera e propria religione atea, un dio artificiale anch’esso onnipotente e onniveggente, il cui unico attributo (volutamente) mancante è la misericordia.

Particolarmente (e tristemente) significativo, per l’attuale contesto di guerra alla famiglia, è il punto riguardante il Sesto Comandamento («Non fornicare», col suo omologo «Non desiderare la donna altrui»). La cosa parte da lontano, perché fin dal Manifesto di Marx-Engels si sapeva che cosa pensavano i comunisti della famiglia, istituzione «borghese» quant’altre mai. Il documento
uscì a Londra semiclandestino nel 1848 e fece il suo outing alla Comune di Parigi nel 1871. E nel 1904 Lenin proclamò senza mezzi termini che condizione per la vittoria del socialismo era la liberazione della sessualità dalle catene della famiglia. L’anno dopo, il proclama fu messo per iscritto al III Congresso del Partito socialdemocratico russo. Ci pensò la minoranza bolscevica, che
affidò a Trotszkij il compito di sviluppare una nuova teoria dei rapporti sessuali, giacché il matrimonio era uno strumento di «sfruttamento» delle donne e la famiglia un istituto «capitalista». Nel 1917, preso il potere, i bolscevichi introdussero, dopo neanche tre mesi, due decreti, uno «Sullo scioglimento del matrimonio» e l’altro «Sulla registrazione del matrimonio civile e i figli». Con essi cadeva ogni differenza tra convivenze e nozze. Per divorziare bastava un avviso per posta all’autorità – non al coniuge! – previo pagamento di tre rubli. Aleksandra Kollontaj, primo commissario per le questioni sociali, lanciò nel contempo la campagna «L’amore è come un bicchier d’acqua», intendendo che copulare equivaleva a dissetarsi: se hai sete, che fai? bevi, e senza tante storie e fronzoli. Quasi subito nelle principali città vennero istituiti i Commissariati del Libero Amore. Questi non solo incoraggiavano a darci dentro, ma punivano a frustate (con la famosa nagajka)
le donne che rifiutavano di concedersi agli uomini indicati dal Commissariato.
A Saratov si arrivò al punto di obbligare tutte le cittadine dai diciassette ai trent’anni, anche sposate, a darsi ai cittadini su semplice richiesta. Ogni lavoratore era tenuto a versare il due per cento del suo guadagno a un fondo apposito per vedersi garantito il sesso trisettimanale con chi voleva (donne, però). Il nudismo venne incentivato e i parchi si riempirono di gente d’ogni età e sesso intenta a prendere il sole, quando c’era, coperta dal solo cappello.

Le carceri, naturalmente, furono il luogo privilegiato per gli esperimenti. Nel 1924 il famigerato Dzerzinskij, capo della Ceka, fece ammassare nelle prigioni di Bolszewo un migliaio di condannati minorenni tra i dodici e i diciotto anni per avviarli al sesso di gruppo. Per ovviare al diffuso analfabetismo venne ideato un «alfabeto erotico» (ovviamente porno) ideato dal pittore Sergeij Mierkurow e insegnato anche tramite i cinegiornali. La sostituzione della «famiglia tradizionale» con la «comune komsomolsk» (una dozzina di componenti) fu proposta (e imposta) da Grigorij Batkis, direttore del moscovita Istituto Sociale e autore del libro La rivoluzione sessuale.

Tale rivoluzione, però, già nel 1922 aveva creato ben sette milioni di meninhos de rua, figli di nessuno che vagavano per le strade bolsceviche. Non solo. Nel 1926 la regressione demografica era divenuta così allarmante che Stalin si vide costretto a revocare ogni sprone alla promiscuità sessuale. Figli alla Patria. Possibilmente con padre e madre certi e certificati. Anche l’Uomo Nuovo, ahimè, doveva fare i conti col Vecchio.

 

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