Una cartina della Germania con gli insediamenti “völkisch” individuati finora
Il movimento degli artamani, i “protettori della zolla”, nacque nel 1926. Si isolavano nelle campagne per costituire un’élite ultranazionalista e antisemita. Dagli anni Novanta sono tornati. Nell’indifferenza della società e della politica
REPORTAGE
Ai bambini è vietato usare parole inglesi. I genitori praticano il ritorno alla terra e l’odio xenofobo. In Germania sono tornati i “protettori della zolla” che tirarono la volata al Führer. Siamo andati a vedere
dalla nostra inviata Tonia Mastrobuoni
KOPPELOW (Germania). Nessuno è benvenuto, nel regno degli econazisti. Dimenticate gli skinhead col bomber o gli hooligan con le svastiche tatuate sul petto. Siamo a Koppelow, nell’idilliaca “Svizzera del Meclemburgo”, nel laboratorio di un esperimento che fa paura. Qui i nazisti fondarono nel 1926 il movimento degli artamani, dei “protettori della zolla”. L’obiettivo era creare un’élite in piena campagna, isolarsi dalla liberale Repubblica di Weimar rendendosi autosufficienti, costruire un’élite völkisch, germanica e antisemita, cacciare i lavoratori polacchi. Prepararsi al Terzo Reich. Ne facevano parte gerarchi delle SS del calibro di Heinrich Himmler o il futuro comandante di Auschwitz Rudolf Höss.
Vent’anni fa, gli artamani sono tornati. Con ambizioni simili. Allora Huwald Fröhlich, tagliaboschi e produttore bio, scrisse varie lettere su riviste di estrema destra come Opposition für Deutschland, invitando i camerati a raggiungerlo nel luogo simbolo dell’avanguardia bruna. Con lui arrivarono il fabbro Jan Krauter, che vende coltelli e rune di ferro, e la rilegatrice Irmgard, sul cui sito web campeggia il Signore degli anelli di Tolkien, mito intramontabile dell’estrema destra.
«C’è nessuno?». Ci incamminiamo verso uno strano camper di legno, accanto all’ingresso. È curioso, sembra piombato qui da un altro secolo. Una gallina sbuca da dietro una ruota, ci guarda perplessa. All’improvviso un uomo vestito di nero esce correndo dalla fattoria. «Che volete?» urla. Ci presentiamo, gli chiediamo se conosce il suo vicino di casa, Huwald Fröhlich. E se conosce i neo-artamani. Abbiamo cercato di bussare anche da Fröhlich, inutilmente. L’uomo scopre i denti con un ghigno: «Leggende. Il mio vicino è un tranquillo boscaiolo. I neo-artamani non esistono». Poi si avvicina: «Ora basta, andatevene».
Niente teste rasate, da queste parti: hanno i capelli lunghi. Niente bronci: sui siti web sorridono gentili. E i vestiti hanno un’aria antica: lana grezza, cuoio. Bussiamo alla fattoria del fabbro Krauter, noto alla polizia per il passato da militante neonazista, a un paio di chilometri da quella di Fröhlich. All’ingresso balle di fieno e un cartello: “Vero miele tedesco”. Entrando scorgiamo il simbolo inequivocabile della nuova avanguardia hitleriana: l’Irminsul, una sorta di colonna alata, un simbolo germanico e pagano che gli artamani e gli econazi mettono all’ingresso delle loro case per riconoscersi a vicenda. Meno spettacolare delle rune o delle svastiche, più in sintonia con il loro culto della segretezza.
Dalla metà degli anni 90 sono almeno venti le famiglie che si sono trasferite nel triangolo Koppelow-Krakow am See-Klaber, su invito di Fröhlich. Con loro ci sono sessanta bambini che vivono in un ambiente soffocante e isolato, educati secondo i precetti del nazionalsocialismo. E Koppelow somiglia a decine di altri posti sperduti nelle campagne della Germania, in Meclemburgo ma anche in Nordreno-Westfalia, Sassonia o nel Baden-Württemberg. Ovunque si sta diffondendo nella quasi indifferenza generale una società parallela, sovversiva, che punta, per dirla con il neonazista Ralph Tegethoff, all’avvento della «libera nazione tedesca del popolo».
Ormai sono migliaia i “colonizzatori” in tutto il Paese. I servizi segreti sono continuamente costretti ad aggiornare al rialzo il numero delle proprietà che comprano, dei villaggi che conquistano. Che purificano, per usare il loro gergo. Le famiglie degli insediamenti völkisch ragionano in termini di generazioni, non di mesi o anni. «La loro strategia è andare in luoghi dove devono temere poca resistenza, dove possono rendersi invisibili, dove possono comprare case, fattorie vicine. Da lì», ed è questo l’aspetto pericoloso, «cominciano a costruire colonie chiuse e a fare proselitismo tra i vicini. Detesto usare termini militari, ma posti come Koppelow sono le loro teste di ponte, le loro basi». Elisabeth Siebert, politologa della Evangelische Akademie der Nordkirche, è una pioniera degli studi sugli insediamenti neonazisti nel Meclemburgo. «Dieci anni fa, quando ho cominciato, nessuno mi credeva». Quando la incontriamo, appena fuori da Rostock, ci chiede di non fare foto: «Ricevo già abbastanza minacce».
Collegati quasi sempre con i neonazi vecchia maniera, i völkischen si considerano un’aristocrazia, e hanno modi di fare opposti. Al lavoro sporco pensano i camerati “classici”, col solito repertorio barbarico di minacce, assalti a migranti, omosessuali o autonomi, teppismi. Nelle colonie nazi invece la parola d’ordine è rendersi autonomi dallo Stato e crescere i figli alla rivoluzione, ma dissimulando. Rimanendo possibilmente fuori dal radar dei servizi segreti. «Sanno come muoversi» spiega Siebert, «partecipano alla vita dei villaggi», organizzano feste per bambini, campeggi, punti di consulenza per i disoccupati. «E tra un’attività e un’altra fanno cadere una battuta sui profughi “invasori”, raccontano una barzelletta sugli ebrei o sugli omosessuali. Tastano il terreno. Sono missionari del nazionalsocialismo e agiscono con enorme prudenza» puntualizza Siebert. Sono gli insospettabili nazi della porta accanto.