«La cattiveria dei buoni è pericolosissima», diceva Giulio Andreotti, nume tutelare della prima repubblica di corso democristiano. E forse Matteo Renzi, a cavallo tra la seconda e la terza, dovrebbe stamparselo, questo tweet ante litteram del Divo Giulio, i cui aforismi sono le uniche parole attraverso cui si può raccontare questa crisi non crisi nata all’indomani di un referendum perso e un voto di fiducia incassato in Parlamento. Perché è tra le pieghe dei sorrisi, degli sguardi bonari e melliflui sotto gli occhiali squadrati modello pentapartito che si annidano le trame scudocrociate.Fiammelle accese sotto la bacinella in cui nuota la rana. Che prima ne apprezza il tepore e poi, senza accorgersene, un grado alla volta, finisce bollita.
Prendete ad esempio il governo Gentiloni, già ribattezzato governo fotocopia, o governo bis senza Renzi. Roba da imbarazzare il premier uscente per lo zelo con cui il neopremier e Mattarella hanno garantito continuità con il suo esecutivo. Eppure, a ben vedere, Renzi aveva chiesto una sola cosa: che Luca Lotti, il suo ufficiale di collegamento, stesse a Palazzo Chigi, nel bunker in cui l’ex premier faceva passare ogni dossier, e presidiasse nomine e servizi segreti. E in effetti Lotti è al governo, ma al neonato ministero dello sport, istituito apposta per lui, e comunque si occuperà delle nomine di Eni e Finmeccanica (mantendendo delega al Cipe), oltre che della rielezione di Tavecchio in Figc. I servizi segreti se li tiene Gentiloni: «I miei amici che facevano sport sono morti da tempo», avrebbe commentato Andreotti.
Invece nel governo fotocopia il cane da guardia di Renzi sarà Maria Elena Boschi, fedelissima del giglio magico. Quasi come Lotti. Capofila di quel plotone di ministre che pareva dovesse sparire in una nuvola di fumo per far spazio a Denis Verdini e al plotoncino dei ministri di Ala, la stampella del governo Renzi nelle sue ultime settimane di vita. E invece rimane fuori, il gran commis toscano, e con lui tutti gli altri esponenti di transfughi del centro destra e superstiti di Scelta Civica.
E mentre loro aspettano in anticamera e annunciano di sfilarsi dalla maggioranza di governo, nella foto di gruppo della Sala dei Galeoni entrano il dalemiano Marco Minniti, al posto di Angelino Alfano, (che va alla Farnesina) e Valeria Fedeli, ex sindacalista della Cgil, al posto di Stefania Giannini, colpevole di essere quella della Buona Scuola, evidentemente, una della riforme icona del governo Renzi, la prima a essere parzialmente disconosciuta. L’asse si sposta un po’ più a sinistra di un paio di gradi.