Segnalazione di Raimondo Gatto
Due notizie sembrano indicare un cambio di rotta della Casa Bianca targata Trump in Siria. Venerdì scorso l’ aviazione irachena ha bombardato postazioni dell’Isis in territorio siriano; è la prima volta che Baghdad interviene contro lo Stato islamico al di fuori dei propri confini.
La notizia, data dal primo Ministro iracheno Al Abadi, è stata confermata da Joint Operation Command. Gli F-16 iracheni hanno colpito “obiettivi terroristici” ad Abu Kamal dove lo Stato islamico avrebbe posizionato parte delle sue centrali operative prima situate a Raqqa e da dove sarebbero partiti i kamikaze dei recenti attentanti a Baghdad.
Secondo fonti d’Israele, l’operazione irachena è stata autorizzata dal governo di Assad e addirittura realizzata in collaborazione con l’intelligence russa e iraniana.
Ora siccome è improbabile che Washington, principale alleato dell’Iraq nella campagna contro lo Stato Islamico, non fosse a conoscenza dell’operazione in atto, è probabile che la Casa Bianca abbia dato il via libera ad un attacco coordinato russo-siro-iracheno.
Il segnale è di fondamentale importanza per capire quanto Trump stia cambiando la strategia americana: La Casa Bianca sembra riconoscere la sovranità dello Stato siriano e la legittimità del governo Assad. La strategia di Trump sembra quella di lasciare a Putin la gestione delle operazioni in questa regione. Ricordiamo che la presenza russa in Siria è in linea con il Diritto Internazionale perché avvenuta su richiesta del legittimo governo di Damasco;
Al contrario Obama, il cui obiettivo non era la lotta all’Isis ma il regime change ha continuato ad autorizzare bombardamenti americani in territorio siriano senza alcun via libera del regime di Assad; bombardamenti che non sempre sono serviti a indebolire il Califfato ma anzi a rafforzarlo.
D’altro canto come Obama abbia considerato l’Isis un potenziale alleato degli Usa è clamorosamente emerso in questo documento di cui abbiamo parlato un mese fa.
Stop armi ai ribelli
A conferma che la strategia di Trump in Siria sembra discostarsi nettamente da quella di Obama, c’è una seconda notizia clamorosa: la Casa Bianca ha dato ordine alla Cia di bloccare gli aiuti militari alle milizie di ribelli anti-Assad del FSA (Free Syrian Army) attive nel nord-ovest della Siria.
Secondo alcuni osservatori lo stop sarebbe solo temporaneo, per evitare che tali aiuti finiscano nelle mani delle componenti jihadiste all’interno di una lotta sanguinosa tra fazioni rivali.
Nel mese scorso Al Nusra, affiliato ad Al Qaeda, ha effettuato una serie di attacchi violentissimi contro il FSA e questo avrebbe portato diversi gruppi ad aggregarsi attorno ai miliziani di Ahrar al-Sham, potente gruppo jihadista finanziato da Arabia Saudita e Qatar.
D’altro canto la strategia Usa di addestrare ribelli anti-Assad (cardine della dottrina Obama in Siria), già in passato ha prodotto situazioni imbarazzanti al limite del ridicolo; come quando nel 2015 la Commissione Difesa del Senato americano scoprì che il milione e mezzo di dollari spesi in tre anni per formare 5mila “ribelli moderati” ne aveva prodotti 5 (testuale!), perché il resto erano passati armi e bagagli con i gruppi islamisti sunniti.
Strategia ancora indecifrabile
Se per Obama la priorità in Siria era la caduta di Assad e non la guerra al terrorismo, per Trump la priorità è la sconfitta dell’Isis. Ma per ora la politica estera della nuova Amministrazione è indecifrabile: da una parte segnali di distensione con la Russia (chiarezza nella lotta all’Isis e in Siria) dall’altra proclami muscolari (l’annuncio sulle armi nucleari e atteggiamenti aggressivi contro l’Iran).
È ancora presto per parlare di una Dottrina Trump; e se appare difficile fare peggio del disastro compiuto in nove anni da Obama è pur vero che il nuovo Presidente americano si muove in una palude di ostilità interna generata da quello Stato Profondo che sta provando a delegittimare la sua visione del ruolo degli Usa nel mondo.
FONTE: IL GIORNALE.IT del 27 febbraio