«Dall’età di 6 anni mi sento prigioniera di un corpo che non è il mio». Il tribunale le dà ragione e l’anagrafe si adeguerà
TREVISO. «Dopo tanti anni di sofferenza, ora posso dire di sentirmi realizzata come persona». È commossa Claudia, 45 anni, residente in un comune della Marca, all’indomani della sentenza della prima sezione civile del tribunale di Treviso con la quale le viene riconosciuto il diritto di modificare il nome e il sesso all’anagrafe prima ancora di sottoporsi ad alcun intervento chirurgico per adeguare i caratteri sessuali da maschili a femminili. Assistita dall’avvocato Silvia Berta, Claudia è riuscita a vincere una lunga battaglia che ha ingaggiato prima con sè stessa, da quando all’età di 6 anni s’era accorta di essere nata “in un corpo che non era il mio”, e poi con la diffidenza di chi le stava attorno, dai familiari, ai compagni di scuola e agli amici. I giudici trevigiani (presidente Daniela Ronzani a latere Laura Ceccon e Clarice Di Tullio), con la sentenza depositata pochi giorni fa, le hanno riconosciuto il diritto di cambiare il suo nome originario Giuseppe (nome di fantasia, ndr) in quello di Claudia senza la necessità di completare le cure ormonali, a cui si sta sottoponendo, e andare in sala operatoria.
La sentenza di Treviso, come quella di altri tribunali italiani, si richiama alla pronuncia della Corte Costituzionale 221 del 2015, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale della legge 164 del 1982 che, fino a pochi mesi fa, prevedeva il cambiamento solo “a seguito di intervenute modificazioni dei caratteri sessuali”. Modificazioni finora intese dai giudici come, appunto, il cambio di sesso in sala operatoria. Rispetto ad altri tribunali, inoltre, quello di Treviso ha ritenuto superfluo disporre qualsiasi perizia, ritenendo sufficiente il certificato medico rilasciato da una struttura pubblica che attesta che Claudia, “che riferisce sin dalla prima infanzia un’identificazione con il genere femminile, rimasta costante nel tempo, presenta una Disfonia di Genere Primaria, non secondaria a psicopatologia”.
Per il tribunale di Treviso, Claudia «ha iniziato l’assunzione di terapia ormonale femminilizzante e, a seguito di tale terapia, si è già verificata la modifica dei caratteri sessuali secondari, avendo assunto egli anche esteriormente sembianze femminili e venendo ormai identificato nelle relazioni interpersonali con il nome femminile di Claudia. La rettificazione chirurgica sessuale andro-ginoide costituisce dunque l’ultimo intervento indispensabile per consentire» a Claudia «che rappresenta tale esigenza, di superare il conflitto fra i connotati fisici e gli aspetti individualizzanti di ordine psichico sessuale e pertanto per raggiungere un pieno equilibrio e benessere psicofisico».
Ora Claudia, sentenza del tribunale di Treviso alla mano, potrà andare nel suo Comune di residenza e notificare all’ufficiale di stato civile la decisione dei giudici. «Corono il mio sogno: ora mi sento davvero realizzata».
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di Marco Filippi