Adesso è un’autentica bufera, di cui, oltre agli scatenati mass-media, si occupano con allarmata urgenza il Consiglio dei Ministri e il Consiglio Superiore della Magistratura, ma fino a ieri il buonismo istituzionale, laico ed ecclesiastico, aveva silenziato ogni cosa, nonostante che il Procuratore della Repubblica di Catania, Carmelo Zuccaro, ora accusato di parlare troppo e autorevolmente invitato ad esprimersi non con opinioni, ma con atti giudiziari, avvisi di garanzia e capi d’imputazione, avesse già dato notizia in sede ufficiale di quanto stava emergendo dalle indagini dell’ufficio di cui è a capo, e che ad analoghe indagini stessero provvedendo almeno altre due Procure: Palermo e Cagliari.
In realtà una parte della notizia era stata data anche da Luca Donadel, un giovane ricercatore, che, utilizzando Marine Traffic in grado di mostrare quasi in tempo reale le posizioni dei mezzi naviganti attraverso i dati provenienti dal sistema di tracciamento AIS in uso sulle navi, aveva dimostrato l’infondatezza delle notizie che collocano nel Canale di Sicilia la quasi totalità dei viaggi dei migranti, del loro salvataggio e della loro morte. Al contrario i percorsi evidenziati da Marine Traffic provano come le navi di molte Organizzazioni non governative (il ricercatore ha fornito il nome di alcuni battelli) non navighino quasi mai in questo Canale, ma vadano invece a raccogliere i migranti molto più a sud-est, a ridosso delle coste libiche, per portarli verso qualche porto italiano mentre la legge del mare prescrive di sbarcare i naufraghi nel porto sicuro più vicino, nel caso quelli tunisini e non i siciliani distanti oltre 200 miglia marine (il pretesto è che i primi non sarebbero sicuri, ma l’affermazione contrasta con la vulgata corrente sulla Tunisia, ritenuta l’unica democrazia uscita dalle primavere arabe). Notizie non in grado di interessare mass-media che hanno dimostrato una singolare indifferenza perfino per quelle, solitamente divulgate con grande clamore anche quando non si potrebbe, provenienti dal mondo della magistratura inquirente
Dal momento che il M5S è al centro della competizione politica e molti sondaggi lo designano come primo partito alle prossime elezioni politiche il messaggio lanciato da Grillo, poi ripreso e implementato da altri esponenti grillini (Luigi Di Maio vi ha aggiunto l’attacco alla “schiera di ipocriti che ha sempre finto di non vedere il business dell’immigrazione“) non poteva essere ignorato. Più sollecita dei concorrenti dell’informazione, la Stampa di domenica 22 aprile ha dedicato, sotto il titolo “Contatti diretti tra alcune ong e criminali libici”, l’articolo di fondo, una corrispondenza da Catania e due intere paginate alle “indagini condotte dalla Procura della Repubblica di Catania su possibili legami fra i network criminali ed alcune organizzazioni non governative”. Immediate la reazione sia del mondo politico di governo, sia delle stesse Ong, incluse quelle indicate come certamente estranee al fenomeno sotto indagine, sia da alcuni esponenti del mondo cattolico come mons. Giuseppe Perego, direttore della fondazione Migrantes della Cei e Don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco. Per il primo “in attesa riscontri che al momento non ci sono“, le accuse alle Ong sono “una visione ipocrita e vergognosa di chi non vuole salvare in mare persone in fuga e di chi non vuole fare canali umanitari attraverso i quali le persone potrebbero arrivare in sicurezza”. Il secondo va oltre: “poiché” dice “non è possibile affermare “lasciateli affogare”, si aggira l’ostacolo mettendo in dubbio la correttezza delle ong impegnate nei salvataggi. Si insinua che possa esserci correità tra le ong e gli scafisti. Un dubbio raffinato quanto infame. I destinatari del messaggio non sono – come potrebbe sembrare – le ong, ma coloro che sono convinti di non avere alcun dovere nei confronti di rifugiati: è diventato un comune sentire in tempi di crisi e di rabbia” per concludere apoditticamente “le ong che operano nel mare sono fuori da ogni collusione e correità con i mercenari”. A parte l’ipse dixit, parole imprudenti da parte di entrambi (e di altri schierati sullo stesso fronte). Difatti, se può essere vero che Grillo e Di Maio sono mossi anche dall’intento di trovare voti, questo intento era certamente estraneo al direttore esecutivo dell’Agenzia europea Frontex, Fabrice Leggeri, quando il 12 aprile ha riferito ai senatori della Commissione Difesa che l’Agenzia ha i nomi (riservati all’autorità giudiziaria) delle Ong che intrattengono rapporti telefonici diretti con gli scafisti. Ancor più significative, inquietanti e difficilmente contestabili le dichiarazioni del Procuratore Carmelo Zuccaro, riportate dalla Stampa: “Su Ong come Medici senza frontiere e Save the Children davvero c’è poco da dire. Discorso diverso per altre, come la maltese Moas o come le tedesche, che sono la maggior parte”. E ancora: “Abbiamo evidenze che tra alcune Ong e i trafficati di uomini che stanno in Libia ci sono contatti diretti. Non sappiamo ancora se e come utilizzare processualmente queste informazioni, ma siamo abbastanza certi di ciò che diciamo: telefonate che partono dalla Libia verso alcune Ong, fari che illuminano la rotta verso le navi di queste organizzazioni, navi che all’improvviso staccano i trasponder sono fatti accertati”. Affermazioni perentorie poi ribadite in un intervento ad Agorà (il programma di Rai Tre), dove il Procuratore ha precisato di “sapere di contatti”, ovviamente delle Ong, connessi ad “un traffico che oggi sta fruttando quanto quello della droga“, aggiungendo: “forse la cosa potrebbe essere ancora più inquietante, si perseguono da parte di alcune Ong finalità diverse: destabilizzare l’economia italiana per trarne dei vantaggi”. Senza dubbio – come ha precisato – non ancora prove sufficienti per promuovere azioni penali, ma comunque “fatti accertati”, forse insufficienti per mons. Perego e don Albanesi, ma, fortunatamente, non per l’Osservatore Romano, che ha raddrizzato il tiro scrivendo: “Non bastano gli orrori della guerra, gli stenti di fughe interminabili, i rischi del mare aperto, lo sfruttamento economico e sessuale. Sulla pelle dei migranti sta emergendo un ennesimo scandalo: il sospetto, che purtroppo non sembra totalmente privo di fondamento, di una manipolazione a fini economici e politici anche delle operazioni di salvataggio“, e conclude: “la paura che venga meno lo sforzo generoso di molti per il salvataggio dei migranti non deve portare a semplificare il problema negandone l’esistenza“. Una conclusione corretta (del resto un politico come Renzi, evidentemente più prudente di mons. Perego, pur attaccando i Cinque Stelle, ha riconosciuto che “il problema esiste”) che giustifica le domande che, “leggendo queste notizie”, si è posto Luigi Di Maio: “chi ci mette i soldi? Quanti? E perché? Chi paga questi Taxi?”.
Domande fondamentali, perché verosimilmente dipende dalle risposte se le ipotesi investigative si trasformeranno in concrete ipotesi di reato e nell’esercizio di azioni penali. L’ipotesi privilegiata dal Procuratore capo di Catania, secondo il quale – riferisce la Stampa – “segnali in questo senso sono stati raccolti” – è che i finanziamenti provengono dagli stessi network criminali, cioè gli scafisti e chi li organizza. Senza dubbio la raccolta di un adeguato materiale probatorio non sarà facile. Tutte le Ong, quelle oggetto di indagine e quelle “storiche” e insospettabili, vivono di finanziamenti privati, ma
E’ evidente che l’individuazione di tutti i veri finanziatori consentirà anche di accertare i veri scopi perseguiti dalle Ong oggetto di attenzioni investigative: il generoso desiderio di prestare assistenza a uomini in fuga dalla guerra o dalla miseria (un desiderio che ad ogni buon conto potrebbe giustificare la presenza di ignari volontari operanti a bordo di navi altrimenti motivate), la destabilizzazione dell’economia italiana (e magari – perché no? – dell’Europa) o, più semplicemente, il lucro, la partecipazione ai proventi di un traffico che rende miliardi. Come sempre, Mammona.
Di Francesco Mario Agnoli
Fonte: Arianna editrice