Emmanuel Macron è il nuovo presidente francese. Netta la sua vittoria, con oltre il 65% dei voti, accolta con un boato dai suoi sostenitori, assiepati nella piazza del Louvre, che ha voluto salutare “trionfalmente” sulle note del celebre “Inno alla gioia”, inno ufficiale dell’Ue dal 1985.
L’euroscetticismo è, ad oggi, un vento a volte anche forte ma non è ancora una tempesta. La sconfitta dei partiti storici francesi al primo turno, non ha significato il ripudio del liberismo e delle sue articolazioni economiche, mediatiche e culturali, capaci di riciclarsi e di sfornare figuranti in grado di raccogliere consensi. Il “fronte repubblicano”, rabberciato e poco credibile quanto si vuole, ha portato a casa il risultato. I fatti sono questi, graditi o poco graditi che siano.
Le fratture, i crolli, le implosioni, gli incendi del sistema di potere attuale, sono da annoverare tra le speranze, previsioni, profezie, possibilità. Ma non sono la realtà attuale.
Marine Le Pen ha raccolto circa 11 milioni di voti, il 35%. Sotto la soglia del 40% e molto al di sotto delle percentuali previste da tifosi opinionisti ed opinionisti tifosi.
Ha doppiato la percentuale raccolta dal padre nel 2002, nel ballottaggio con Chirac, ma ha perso in maniera piuttosto netta. Lo spauracchio del populismo riesce a far presa su molti elettori, le categorie di destra e sinistra, sebbene in crisi, resistono (anche per effetto dell’assenza di categorie più “moderne” altrettanto nitide) e l’antifascismo in assenza di fascismo è un collante ancora efficace.
Vi è poi qualche altro dato che deve far riflettere. L’astensione record in questo secondo turno (al 25,3%), la più alta per un ballottaggio dal 1969, ha premiato anche questa volta il più forte, il favorito. Lo stesso ragionamento potrebbe essere fatto per quel 12% schede bianche e nulle.
Elettori di Fillon e Melenchon? Può essere. L’unico dato certo, al momento, è che gli astensionisti non hanno sbarrato la strada agli Attali, ai Rothschild, al Medef, alla Merkel e al resto della compagnia.
Vinte le presidenziali, il nuovo inquilino dell’Eliseo, consacrato fin da giovanissimo al “Dio Mercato” dai superburocrati dell’ENA, dovrà superare subito una prova durissima: le elezioni legislative di giugno.
Senza una maggioranza in Parlamento, infatti, la squadra di governo che il nuovo presidente varerà, avrà margini di manovra ridotti per guidare il Paese. La “coabitazione” tra presidente e governo di un colore e Assemblea nazionale di un altro, è molto difficile. L’esempio del recente passato vale più di mille ragionamenti accademici.
“En Marche!” è di recente formazione e la sua tenuta alle politiche è tutta da verificare. Inoltre gli sconfitti del 23 aprile difficilmente rinunceranno a candidarsi, anche per un fatto economico. La presenza alle elezioni politiche è indispensabile per ottenere il finanziamento pubblico, necessario ai partiti per mantenere uomini, strutture e spazi.
La strada che conduce a Palais Bourbon s’annuncia irta d’ostacoli per la variegata compagine che ha issato Macron all’Eliseo. Marine Le Pen, al contrario, potrà contare su un partito strutturato che si è già “contato”.
Vi è infine l’incognita Jean Luc Melenchon, desideroso di avere un ruolo da protagonista nell’area della sinistra francese, uscita non proprio bene da queste presidenziali. Il sostegno dato a Macron dai sindacati francesi, dal partito socialista e da decine di associazioni della gauche, dimostra il passaggio di larga parte di questo mondo e dei suoi uomini nel campo del liberismo apolide e del finanziarismo affamatore.
Al servizio di Bruxelles, agli ordini di Macron.
di Ernesto Ferrante
Fonte: l’Opinione Pubblica