Ius soli? Non regge da solo

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di Marcello Veneziani 

Ius soli? Non regge da solo

Ma cos’è questa frenesia di approvare lo ius soli in un momento in cui gli italiani si sentono assediati, circondati, invasi da imponenti flussi migratori? Perché un Paese col più pesante deficit della sua storia, afflitto da mille piaghe urgenti, deve dare la priorità al varo di questa norma prima che il governo vada a casa?

Che razza di Paese è questo se governo, parlamento ed establishment danno la priorità assoluta non agli italiani ma agli stranieri? Che segnale diamo al mondo se non di cedimento, disponibilità e di accoglienza prima di ogni altra realistica considerazione?

Stanno scherzando col fuoco, non si rendono conto di quanto costerà il loro” bel gesto”, quali effetti produrrà nel tempo. E ancor più disgusta vedere il panorama uniforme dei media dove non trovi rappresentate le due opinioni divergenti ma solo una, sempre la stessa, ripetuta all’infinito da tutti i pappagalli finto-pensanti e i loro ripetitori automatici.

Chi è contrario o solo perplesso sullo ius soli, o magari si limita a dire che non è la priorità assoluta prima di finire la legislatura, si becca del fascista, razzista, disumano. La stessa cosa si ripete su ogni altro tema sensibile.

Fatta questa premessa, proviamo a ragionare fuori da ogni partito preso.

Di chi siamo figli? In primo luogo dei nostri genitori e tramite loro dei nostri avi, della terra e della storia da cui provengono. Poi diventiamo figli del luogo e del tempo in cui siamo nati.  In linea di principio lo ius soli regge su una negazione e un inganno.

La negazione riguarda l’identità del neonato e la famiglia in cui nasce, perché considera irrilevante o comunque meno rilevante il ruolo del padre e della madre rispetto al luogo in cui si trovano a vivere.

L’inganno è che lo ius soli non evoca un legame col suolo, con la patria o la madre terra, non riguarda il popolo, la nazione, la cultura e la religione, la civiltà da cui origina il neonato, ma semplicemente lo stato, il territorio, l’ospedale in cui si è trovato a nascere.

Il retropensiero è che l’identità non conta, vale solo la situazione. Il suolo è un alibi perché subito dopo aggiungono che siamo cittadini del mondo, non abbiamo territorio, siamo delocalizzati.

Sul piano pratico possiamo pure ammettere che chi nasce in Italia e qui cresce, va a scuola e ha come sua prima lingua l’italiano, debba essere considerato a tutti gli effetti cittadino italiano. Ma non semplicemente in virtù del fatto di essere nato, da genitori stranieri, su suolo italiano; lo è diventato perché a quel dato di partenza, che non attiene a nulla di costitutivo della sua identità, si è aggiunto un percorso di vita e un’adesione via via consapevole alla cittadinanza italiana.

Insomma lo ius soli in sé non basta, non è un criterio sufficiente per determinare diritti e doveri, va correlato allo ius sanguinis e coltivato tramite lo ius culturae che trasforma un fatto occasionale in un’appartenenza consapevole.

Ma è inutile ragionare, qui si procede per impulsi emotivi, anatemi e riflessi condizionati. Altro che ius soli, siamo alla desolazione.

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