La Comunione per tutti, il dialogo, l’accompagnamento, il discernimento, la “misericordia”, il pluralismo, il soggettivismo, gli abusi liturgici, e via dicendo, sono davvero il segreto per riempire le chiese? La risposta è senza dubbio: no. Sentenza con dati alla mano: nelle nazioni in cui le conferenze episcopali hanno applicato senza remore queste “aperture” di vario tipo il cattolicesimo è solo un pallido ricordo. Vi proponiamo uno studio del mensile Il Timone sul fallimento della nuova “Chiesa” del nord-Europa. (@anticattocomunismo)
di Stefano Fontana
Il dato è sotto gli occhi di tutti: la religione cattolica sta sparendo proprio là dove è stata maggiormente “aggiornata” in Germania, in Belgio, in Olanda, in Inghilterra, ma anche in Francia. Non solo: «La fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento» (le parole sono di Benedetto XVI) proprio là dove vescovi e arcivescovi si mettono in cattedra e vorrebbero insegnare agli altri, quelli con i seminari ancora parecchio frequentati, come si fa la vera pastorale e come si è veramente Chiesa. È come se uno studente che ha appena preso tre nel compito in classe volesse insegnare la matematica ai suoi compagni. La cosa potrebbe sembrare ridicola o incoerente. Ed invece una sua coerenza interna questa apparente contraddizione ce l’ha, ed è proprio questo che preoccupa. Ma facciamo un passo alla volta.
IL VENTO DELLE NOVITÀ
La prima cosa da notare è che i vescovi che al Concilio Vaticano II portarono avanti le posizioni progressiste provenivano tutti da queste regioni d’Europa. Da là venivano anche i teologi che parteciparono al Concilio come periti e che vi esercitarono una influenza decisiva. Originari di quelle regioni anche i teologi di avanguardia che non parteciparono direttamente al Concilio ma influirono ugualmente su di esso e sulla sua ricezione per la loro presenza nelle librerie, ai convegni, sui media. È il caso, per esempio, di Hans Kung o di Edward Schillebeeckx. Era proprio nell’Europa centrale, tra Amsterdam, Bruxelles, Parigi, Friburgo in Brisgovia, Basilea, Innsbruck, Vienna e le università tedesche che nasceva la nuova teologia dell’incontro su nuove basi tra la Chiesa e il mondo.
Lì sono avvenute allora le più azzardate sperimentazioni, che a paragone con quelle di adesso fanno però sorridere, come un piccolo raffreddore rispetto a una polmonite. Lì è continuata la dura e sorda opposizione al magistero di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Quello che il cardinale Marx, arcivescovo di Monaco e presidente dei vescovi tedeschi, ha detto durante il Sinodo sulla Famiglia del 2014-2015 – «qualunque siano le conclusioni del Sinodo la Chiesa in Germania andrà per la sua strada» – non era una novità, da decenni la Chiesa non solo tedesca, ma di tutta quell’area europea andava per la sua strada.
L’INFLUENZA DELLA TEOLOGIA PROTESTANTE
E qual era questa strada? Per comprenderlo bisogna considerare l’enorme influsso esercitato durante il Concilio e negli anni successivi dalla teologia protestante su quella cattolica. Anche i lavori conciliari, come si sa, furono condizionati dalla spinta pastorale all’ecumenismo, al punto che alcune verità della dottrina della fede furono taciute o espresse in forma attenuata proprio per non dispiacere ai fratelli separati. Ma al di fuori delle mura vaticane, cogliendo il momento favorevole, la teologia protestante condizionò pesantemente il pensiero cattolico. Si apriva la strada della protestantizzazione della fede cattolica.
Dietrich Bonhoffer aveva insegnato che il mondo è ormai adulto e il “cattolico” Johann Baptist Metz ne ricavò l’idea che in esso quindi era giusto che Dio non si incontrasse.
Era l’accettazione cattolica della secolarizzazione come derivava dalla riforma luterana, ossia la separazione tra la ragione e la fede prevista dalla dottrina luterana dei due regni. Su questa scia, il “cattolico” Karl Rahner sosteneva che Dio si rivela nel mondo e non nella Chiesa. Egli inaugurava una nuova visione del rapporto della Chiesa col mondo non più di annuncio ed evangelizzazione, ma di accompagnamento reciproco nella comune ricerca della verità. Chiesa e mondo erano intesi come “paritetici”, quando non fosse la Chiesa a doversi subordinare al mondo, dove Dio – secondo questa visione – era già all’opera e da là interpellava la Chiesa. Se oggi vediamo che il mondo è entrato così potentemente a dettare legge nella Chiesa è perché da decenni la teologia cattolica ha subito questi condizionamenti di origine protestante.
Il teologo riformato Rudolf Bultmann sosteneva che i racconti evangelici sono dei miti che vanno smitizzati perché ciò che conta è solo il Cristo della fede. Il “cattolico” Rahner sostiene infatti che il peccato originale o i miracoli sono dei racconti mitici, compresa la creazione. In questo modo, viene meno il rapporto tra la ragione e la fede e il Creatore viene separato dal Salvatore. Non esiste più una verità naturale (per esempio sul matrimonio o sulla sessualità) e di conseguenza la fede non può più ambire a fare un discorso pubblico, rivolto a tutti. Deve ritirarsi dall’ambito pubblico, rinunciando alla sua Dottrina sociale, per non dare l’impressione di voler “manipolare il mondo”.
Il luterano Jurgen Moltmann, sulla scia del filosofo marxista Ernst Bloch, sostenne che la fede cristiana è storica e quindi inaugurò il concetto di futuro come rivoluzione, ossia come negazione della natura, subito rilanciato dal protestante Richard Schaull e poi dalla cattolica teologia della liberazione. Nasce il progressismo cattolico che consiste nel tendere al futuro (tutti ricordiamo la fortuna del concetto di “utopia” o di “prassi” negli anni Settanta) senza tener conto di un ordine naturale delle cose su cui il futuro deve innestarsi se non vuole diventare arbitrario e violento.
UN DESERTO RELIGIOSO
Nel 1974 Karl Rahner proponeva una Riforma strutturale della Chiesa come compito e come chance. Prevedeva una Chiesa democratica e che si edifica dal basso, de-clericalizzata e laicizzata (con i laici che assumono decisioni deliberative e non solo consultive), femminilizzata (anche nella forma del sacerdozio alle donne), non moralista, pluralista anche dal punto di vista dottrinale oltre che filosofico e teologico, senza chiari confini con le eresie.
Già allora egli non vedeva ostacoli all’ammissione all’Eucarestia dei divorziati-risposati, alla possibilità di votare una legge che prevede l’aborto, a non ritenere un obbligo il precetto festivo. Le chiese del centro Europa, e non solo quelle, da molto tempo sono su questa strada.
La situazione attuale delle chiese dell’Europa centrale assomiglia molto a un deserto religioso. Nel 2016 nel Seminario di una diocesi vasta e importante come quella di Monaco-Freising guidata dal cardinale Marx è entrato un solo seminarista. L’apertura ai preti sposati viene sollecitata portando i casi dell’Amazzonia, dove le distanze sono enormi e i preti sono pochi, ma in realtà la si vuole per cercare di salvare la situazione in Germania o in Belgio. Tutto ciò è stato voluto, programmato e teorizzato come un necessario aggiornamento, che però non ha ottenuto i risultati sperati. Così si pensa, ma proprio qui sta l’errore. Agli occhi di chi lo ha teorizzato, questo risultato non è negativo. Risulta tale – secondo loro – solo a chi ha ancora in mente la vecchia concezione di una Chiesa di popolo e di tradizione. Per il progressismo cattolico di origine luterana, la disastrosa situazione di quelle chiese è un successo. Non una cosa di cui lamentarsi, ma qualcosa di cui andare fieri. Ecco perché pretendono di insegnarlo anche agli altri e considerano arretrati i polacchi e gli africani perché parlano ancora di indissolubilità del matrimonio o vorrebbero una riforma della riforma liturgica. Del resto, come non gioire, se l’obiettivo era di dissolvere la Chiesa nel mondo, ritenendo che fosse essa a dover imparare dal mondo e non viceversa?
Se l’obiettivo era eliminare qualsiasi elemento di cristianità, si può dire che sia stato un obiettivo raggiunto in pieno, purtroppo.
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