Un articolo del 2015, oggi più che mai di grande attualità.
Quando il movimento sionista dopo la Seconda guerra mondiale fondò lo Stato d’Israele nei territori palestinesi, nel 1948, una parte del nazionalismo catalano, in particolare quella borghese, trovò in Israele un mito da riprendere. Tuttavia, l’uso del termine “ebrei” applicato ai catalani fu un insulto di molti che aborrivano i nazionalisti. Pío Baroja, per esempio, nel 1907 accusò i catalani di essere “gli ebrei di Spagna” (1). Le figure eccezionali catalane furono accusate di essere ebrei, come Companys o Cambó. Anche se i nazionalisti catalani del primo Novecento usavano lo stesso insulto verso i castigliani. Uuna costante del confronto tra politici nazionalisti e non. Josep Huguet, ex- ministro della Generalitat, continua a dire: “nel pensiero della destra radicale spagnola, noi catalani occupiamo il posto degli ebrei” (2). Molti catalani, indipendentemente dalla loro posizione politica, hanno simpatia per lo Stato d’Israele, la cui creazione influenzò sia i franchisti e Josep Pla, meravigliato quando si recò in Israele nel 1950, che l’anti-franchista Salvador Espriu, che presentò Israele “come mitica proiezione della Catalogna” (3). Contro la tradizione di ultra-sinistra di sostegno ai palestinesi, troviamo alcuni radicali nazionalisti identificarsi col mito sionista. È il caso di Toni Gisbert, ex-leader del Partit Socialista di Alliberament Nacional (PSAN), responsabile dell’Azione Culturale del Paese di Valencià e marito di Nuria Cadenas (indipendentista imprigionata per anni per terrorismo). Questo radicale identifica giudaismo e catalanismo con testi ricchi di manipolazioni storiche, vero omaggio al nazionalismo razziale: “I punti in comune con l’ebraismo sono notevoli… una parte importante del nostro popolo rivendica, come anche una parte importante dell’ebraismo, una propria patria. (…) Un territorio dove non siamo solo noi: come gli ebrei, siamo stati convertiti in una minoranza in alcune parti della nostra terra dopo secoli di occupazione. (…) Ma come loro, vi abbiamo vissuto sempre fin dalla nascita come popolo. (…) Né rinunciamo ai territori in cui siamo una minoranza: perché per noi la terra ha valore, ci identifica e ci unisce“(4). Le relazioni tra catalanismo e sionismo iniziarono già sotto il franchismo, forgiate, ad esempio, all’amicizia del padre di Jordi Pujol con l’imprenditore David Tennenbaum, creatore della Banca Dorca de Olot, da cui nacque la futura Banca Catalana (5). Le relazioni tra il nazionalismo dell’alta borghesia (al di là di CiU e PSC) sono il termometro delle vere aspirazioni della Catalogna all’indipendenza. Le pressioni politiche delle élite nazionaliste catalane permisero nel 2005 che le relazioni tra Israele e Catalogna avessero un balzo. Queste relazioni furono mantenute con l’incontro di Maragall con Shimon Peres e il consolidamento della cooperazione tecnologica tra Catalogna e Israele attraverso la Fondazione per la ricerca catalana.
Reti d’influenza politica, giornalistica e culturale
Secondo il quotidiano La Vanguardia (6), i politici dalla maggiore sensibilità verso Israele, riponendovi la fiducia per un possibile sostegno in caso d’indipendenza, sono: l’ex-presidente Jordi Pujol (ora caduto in disgrazia); Josep Lluís Carod-Rovira, quando era presidente di Esquerra Republicana de Catalunya e vicepresidente della Generalitat; Miquel Sellarès, giornalista e ex-capo della sicurezza nei governi del CiU; Joan Oliver, ex-direttore di TV3 e militante dek CiU, e Maria Josep Estanyol, dottoressa di filologia semitica presso l’Università di Barcellona e militante di ERC. Tra i giornalisti più influenti troviamo Pilar Rahola, partigiana viscerale delle politiche radicali di Ariel Sharon (a cui la lobby pubblicitaria ebraica di La Vanguardia chiese di mantenerla come giornalista, a qualsiasi prezzo); il giornalista Pere Bonín; Joan B. Culla, storico dell’Università autonoma di Barcellona e uno degli intellettuali indipendentisti più impegnati; la scrittrice Marta Pessarrodona e Lluís Bassat, di origine ebraica e uno dei catalani più influenti. Vicenç Villatoro merita un’attenzione particolare: fu vicepresidente di Convergencia i Unió (CiU), scrittore, giornalista ed ex-direttore del quotidiano nazionalista Avui e della Catalan Corporation of Radio and Television, che comprende le emittenti della Generalitat. Villatoro ha un impressionante curriculum formato all’ombra del potere e dei posti concessigli. Tra i media più filo-sionisti della Catalogna vanno innanzitutto indicati i quotidiani Avui e La Vanguardia, come abbiamo già detto, con Pilar Rahola come sua polena. Le stazioni radio e televisive pubbliche (TV3, C33 e Ràdio Catalunya), quando Vicenç Villatoro si dimise da direttore, ne rivelarono l’orientamento pro-Israele. Ciò perché una parte del nazionalismo catalano, risentito verso la borghesia, si paragona ai palestinesi (un popolo senza Stato oppresso da Israele). Anche così, nelle trasmissioni di TV3 e C33, Villatoro, Rahola, Joan B. Culla e altri rimangono ospiti fissi. Pilar Rahola era una degli ospiti fissi della rete televisiva controllata dal gruppo Godó (8TV). Anche la Fundació Catalunya Oberta, nel cui patronato troviamo figure indipendentiste cooptate da TV3 come Xavier Sala i Martin, è sempre a favore delle tesi israeliane sui palestinesi. C’è anche una rete mediatica impegnata a sostenere lo Stato d’Israele a tutti i costi. È la Tribuna Catalana, pagina dedicata alla politica generale che ha collegamenti con ilCentre d’Estudes de Catalunya (CEEC) diretto da Miquel Sellarès, e la rivista Debat Nacionalista, che soprattutto pubblica interviste allo storico Joan B. Culla a cui dedica la copertina. Il Centre d’Estudis Estratégici de Catalunya, mostra una chiara linea anti-jihadista e a favore delle tesi israeliane. Quando la NATO invase l’Afghanistan, il CEEC parlò di “opzione che potrebbe sembrare “dura”, ma in verità realistica” (7). Ad esempio, in un altro articolo, la politica estera di Zapatero veniva attaccata come antiamericana, anti-israeliana e pro-araba. Con tale posizione, un altro articolo lamentava la decisione (finalmente revocata) di vendere aerei e navi al Venezuela del governo Zapatero, che avrebbe compromesso l’amicizia con gli Stati Uniti (8). Alcune pagine del sito web riportano articoli importanti come: “La Spagna si oppone al governo d’Israele?” o giustificano gli attacchi preventivi israeliani (9). Tribuna Catalanapubblica articoli anti-palestinesi, come quelli contro la vittoria elettorale di Hamas o gli aiuti europei all’Autorità palestinese. Ci sono anche dichiarazioni sorprendenti contro la posizione filo-palestinese di parte della sinistra israeliana. L’argomento avanzato da Tribuna Catalana è denunciare: “l’auto-odio dell’estrema sinistra israeliana avvicinatasi ai gruppi palestinesi” (10). Un altro media totalmente sovvenzionato dalla Generalitat, ma con sede a Valencia, è la rivista El Temps, chiaramente filo-Israele e contraria ai palestinesi. In essa, Pilar Rahola ha scritto una relazione sulla comunità ebraica dei “Paissos Catalans”, giustificando i massacri israeliani in Libano a seguito alla cattura di soldati israeliani per mano di Hezbollah.Dall’opinione… alla repressione
Vicenç Villatoro, quando era responsabile della radiotelevisione catalana, licenziò il giornalista Eugeni García, corrispondente a Gerusalemme di Ràdio Catalunya. Il comitato dei giornalisti della stazione radio denunciò con un comunicato che il licenziamento era dovuto alla “ripetuta pressione della comunità ebraica di Catalogna, che s’interroga sull’imparzialità delle informazioni nella redazione e del suo corrispondente a Gerusalemme” (12). Un’altra famosa polemica nel mondo del giornalismo catalano si ebbe quando Vicenç Villatoro attaccò il giornalista Antoni Bassas, di Radio Catalunya, con una lettera al giornale Avui, per non aver silenziato un ascoltatore che chiamando il programma di Bassas disse che “ebrei e Israele sono l’asse del male“. Altri attacchi, ad esempio dalla Tribuna Catalana, furono diretti contro l’infantilismo di TV3 nel trattare la guerra in Iraq o le informazioni su USA e Israele, accusandone il giornalista Joan Roura (13). Roura fu attaccato anche su La Vanguardia da Joaquim Roglán, che “denunciò” il giornalista televisivo per non essere “imparziale” nel conflitto arabo-israeliano, riferendosi in “modo sproporzionato” alle violenze dello Stato d’Israele.
La divisione nell’ERC sulla posizione palestinese
ERC è un partito che ha tradizionalmente favorito le tesi israeliane, coincidenti col pulpito di Pilar Rahola. Ma dato che l’ERC viene soverchiata dal nazionalismo di ultra-sinistra del PSAN e di Terra Lliure, le tesi pro-palestinesi guadagnano terreno. Ciò ha portato a conflitti interni sempre più o meno latenti. Carod-Rovira, quando era presidente, ebbe un forte scontro su questo argomento con Rosa Bonàs e Joan Puigcercós. La JERC, gioventù dell’ERC, seguendo questa posizione di ultrasinistra, manifestò ripetutamente a favore della causa palestinese. Tuttavia, l’ERC non si è mai espresso pubblicamente a favore della Palestina. Un esempio dell’influenza israeliana nell’ERC può essere verificato sul nº 70 (aprile-maggio 2006) di Esquerra Nacional, rivista ufficiale dell’ERC. Nella prima pagina di questo numero viene intervistato Jaime Fernández, storico e attivista dell’ERC, spiegando l’equilibrio di una conferenza su sionismo e catalanismo in cui partecipavano i consiglieri della Generalitat. Secondo Fernández, che per una “curiosa” coincidenza è anche membro del CEEC, la conferenza denunciava il “pensiero unico” contro Israele, “ancorato a una posizione ideologica ereditata da un marxismo esagerato” (15). Quando Carod-Rovira visitò Israele insieme a Maragall nel maggio 2005, per rendere omaggio a Yitzhak Rabin, ucciso da un ebreo ultraortodosso, polemiche esplosero nella sinistra sulla solidarietà con la causa palestinese, anche se la stampa ufficiale mantenne il silenzio assoluto sulla questione. Il collettivo Palestina Resisteix ricordò a Carod il passato terrorista di Rabin, quando ordinò alle unità militari di svolgere operazioni di pulizia etnica (16). Sembra che Carod fosse più simpatizzante del Partito laburista israeliano, e in alcune delle sue manifestazioni elettorali, ad esempio nel 2006, invitò l’ambasciatore israeliano.
Rosa Bonàs, la rappresentante della dissidenza anti-israeliana
Rosa Bonàs, che fu deputata al Parlamento spagnolo per l’ERC, è una delle eccezioni nel panorama nazionalista catalano filo-ebraico. Il suo merito è anche di aver sposato un israeliano, avendo figli di quella nazionalità e di aver trascorso diversi anni in Israele, Paese da cui fuggì, come spiega: “Poiché gli insediamenti si moltiplicavano a Gaza e Cisgiordania, l’esercito israeliano da difesa divenne d’occupazione con tutto ciò che comporta. (…) nel 1989, nostro figlio aveva dieci anni, sapevamo che aveva due opzioni: essere un soldato di un esercito di occupazione o passare la gioventù in prigione, come tanti amici che si rifiutarono di prestare servizio nei territori occupati” (17). Rosa Bonàs fu nell’occhio del ciclone sionista quando propose al Congresso dei Deputati, insieme a Puigcercòs, la sospensione di tutti gli aiuti statali spagnoli ad Israele, inclusa la cooperazione culturale, in segno di protesta contro la politica genocida di Ariel Sharon e l’occupazione dei territori palestinesi di Gaza e Cisgiordania, proprio mentre Carod e Maragall omaggiavano Rabin. Ciò sollevò le proteste irate dell’ambasciata israeliana e gli insulti gutturali di Pilar Rahola, accusandola di essere una nazista. Carod e Rovira risolsero la questione chiedendo scusa con una lettera in cui descrissero l’iniziativa di Rosa Bonàs come “grave errore politico che peraltro non è in alcun modo conforme alle nostre convinzioni” (18).
Se si hanno dubbi
Il quotidiano El País pubblicò il seguente articolo il 29 ottobre 1988: “Tutti sanno che sono interessato alla causa sionista e che sostengo gli ebrei dal 1950“, ricordò Jordi Pujol nel gennaio 1986 commentando il ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra Spagna e Israele. Ma la devozione di Pujol alla causa d’Israele può essere spiegata solo dalle sue convinzioni e concezioni religiose del nazionalismo. “Dobbiamo avere (noi catalani) la mistica collettiva del popolo israeliano e anche di più. Solo chi crede in se stesso e ha una profonda convinzione nella storia può sopravvivere“, disse nel maggio 1987 ai membri della maggiore organizzazione ambientale israeliana durante una visita di cinque giorni in Israele. Il viaggio si concluse con la firma di un documento di cooperazione agraria, ufficialmente una lettera d’intenti, tra la Generalitat catalana e il governo israeliano; l’impegno a creare una cattedra di catalano presso l’Università di Tel Aviv; la realizzazione di un’altra sull’uso del catalano nella comunità ebraica; un accordo per scambiare le produzioni televisive tra TV-3 e televisione israeliana, e la promessa di donare mezzo milione di lisas, un pesce d’acqua dolce, per ripopolare il lago di Tiberiade. Un anno dopo, nel maggio 1988, CiU impedì la votazione al Parlamento della condanna della repressione israeliana a Gaza e Cisgiordania. Il governo Pujol concesse la croce di Sant Jordi all’ex-ambasciatore d’Israele in Spagna, Samuel Hadas.Note:
1) Jordi Rovira. Legami vivi tra Israele e Catalogna. La Vanguardia, 15/01/2006
2) Idem
3) Idem
4) Indymedia
5) Jordi Rovira. Legami vivi tra Israele e Catalogna. La Vanguardia, 15/01/2006
6) Idem
7) CEEC
8) CEEC
9) CDC
10) Tribuna
11) Xevi Camprubí, L’altro lato del conflitto. El Temps, n. 1555, 1/8/2006
12) Jordi Rovira, Legami vivi tra Israele e Catalogna. La Vanguardia, 15/01/2006
13) Tribuna
14) Tribuna
15) Esquerra n°70
16) Palestina Resisteix
17) Rosa Maria Bonas
18) Desde Sefarad
Traduzione di Alessandro Lattanzio
Fonte: https://aurorasito.wordpress.com/2017/10/05/relazioni-tra-catalanismo-e-sionismo/