Nella prossima legislatura, con un parlamento balcanizzato e bloccato, le chance dell’attuale Primo Ministro di continuare a Palazzo Chigi sono sempre più alte. Con buona pace del Segretario del Partito Democratico
Non ci sarà un’investitura vera e propria. Non ci sarà una lista “civetta” centrista che porti il suo nome. Non ci sarà alcuna congiura. Come impone lo stile del personaggio – quello stile che l’ha portato ad essere l’uomo politico più amato o, per meglio dire, il meno disprezzato dagli italiani – sarà un processo lento ma inesorabile. Il processo, a dire il vero, è già iniziato. E Paolo Gentiloni, anche se non ufficialmente, è di fatto il candidato premier del Partito Democratico. (e forse non per forza del Partito Democratico…n.d.r.)
È stato lo stesso Renzi a prenderne atto, tanto che nelle sue ultime uscite pubbliche, pur rivendicando il suo ruolo di leader legittimato dal voto delle primarie, ha sostanzialmente lasciato capire che sarà molto difficile – impossibile secondo gli ultimi sondaggi – un suo ritorno a Palazzo Chigi. Quello che doveva essere un presidente del Consiglio di passaggio, un uomo silenzioso, schivo, fuori moda (ma mai una parola fuori posto) è diventato la maggiore risorsa nelle mani del Partito Democratico, in questo momento storico così avaro di soddisfazioni.
I primi a rendersene conto sono stati i suoi più stretti collaboratori, vale a dire i ministri. Con Marco Minniti, Dario Franceschini, Anna Finocchiaro, Andrea Orlando e Roberta Pinotti la sintonia è massima. I renziani di ferro sono rimasti solo Luca Lotti, Maria Elena Boschi e il vicesegretario del Pd Maurizio Martina. Graziano Delrio e Valeria Fedeli sono equidistanti, Giuliano Poletti, Marianna Madia e Claudio De Vincenti sempre più defilati. A dimostrazione del fatto che, se dietro il riposiziamento post-referendum della Boschi nel ruolo di sottosegretario alla presidenza del Consiglio ci fosse stata una qualche velleità di imporre una sorta di Palazzo Chigi 2 che ”controllasse” l’originale, questa operazione è da considerarsi fallita.
Pur non venendo mai meno alla promessa di lealtà fatta a Renzi, Gentiloni ha costruito una rete di rapporti e di credibilità che lo ha via via reso sempre più autonomo. È vero, ha dovuto subire la decisione renziana di forzare sulla legge elettorale, piegandosi alla raffica di voti di fiducia sul Rosatellum. Ma, al tempo stesso, è riuscito a tenere la barra dritta – in sponda con Mattarella – sul caso Bankitalia e sulla richiesta di rimozione del governatore Ignazio Visco fatta piombare (a sua insaputa) dal Pd sulla sua scrivania.
Quello che doveva essere un presidente del Consiglio di passaggio, un uomo silenzioso, schivo, fuori moda (ma mai una parola fuori posto) è diventato la maggiore risorsa nelle mani del Partito Democratico, in questo momento storico così avaro di soddisfazioni.
Il rapporto ottimo con il presidente della Repubblica è un altro elemento di non poco conto. Davanti ad un prevedibile Parlamento balcanizzato, la prima scelta di Mattarella sarà quella di proseguire con Gentiloni. In questo senso pesa (positivamente) anche la buona opinione del premier che si sono fatti esponenti di spicco del berlusconismo storico e moderato, da Gianni Letta a Fedele Confalonieri. Lo stesso Cav, raramente, ha parlato male o attaccato direttamente Gentiloni, se non per dovere di campagna elettorale. Se governo di larghe intese sarà, quindi, non c’è dubbio che l’ex ministro degli Esteri di Renzi partirà in pole position per la riconferma a Palazzo Chigi. Non è un caso che Carlo Calenda (che un posto in quell’eventuale governo ce l’ha già prenotato) continui a ripetere che «Gentiloni sa come muoversi e l’ha dimostrato in più di una occasione».
Anche molti parlamentari del Pd – sull’orlo di una crisi di nervi per il caos sulle candidature e quindi pronti a saltare da un carro all’altro – stanno prendendo atto del processo, ormai considerato irreversibile. «Paolo è quello che vogliono adesso gli italiani, in primis i nostri», ragiona un renziano di medio corso e medio rango. «È riuscito a conquistare la fiducia della gente comportandosi da anti-eroe, con serietà e rispetto. Non è mai caduto nella trappola dell’autoreferenzialità, non ha mai risposto agli attacchi, ha centellinato le sue uscite pubbliche. Ha capito perfettamente che era molto meglio concentrarsi davvero sui problemi reali, senza l’ansia da prestazione che ha contraddistinto gli anni di Renzi al governo. Matteo ha fatto bene da premier, ma ha completamente distrutto la sua immagine pubblica».
E allora ecco che la “riserva della Repubblica” per eccellenza diventa, prima del previsto, una riserva del Pd. Una bandiera da sventolare con orgoglio, a cominciare da sabato prossimo quando sarà sul palco di Reggio Emilia insieme a Renzi e ai ministri. Più si riuscirà a far passare l’idea che il modello Gentiloni è quello che si vuole contrapporre ai vari Berlusconi, Di Maio, Grillo e Salvini, più possibilità avrà il Pd di evitare l’annunciata debacle. E di giocarsi le sue carte al Quirinale, quando ci sarà da decidere chi andrà a sedersi a Palazzo Chigi.