Il catechismo non muta neanche se gay è lo scout Agesci

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Segnalazione di Corrispondenza Romana

di Mauro Faverzani 

Agesci è la sigla delle guide e degli scouts cattolici italiani. (conciliari, n.d.r.)

Ed i cattolici, si sa, considerano le relazioni omosessuali «come gravi depravazioni», «atti intrinsecamente disordinati», «contrari alla legge naturale», tali quindi da non poter essere «in nessun caso approvati»: piaccia o non piaccia, al di qua e al di là del Tevere, questo è il n. 2357 del Catechismo della Chiesa Cattolica, mai riformato, né modificato. (ammorbidito ma non sostanzialmente mutato da quello della “Chiesa conciliare”, n.d.r.)

Né potrebbe esserlo. Non è pertanto compatibile col Catechismo, né con la Dottrina e la morale cattolica la cosiddetta “unione civile” celebrata lo scorso 3 giugno tra il capo-scuot dell’Agesci, Marco Di Just, ed il consigliere comunale del PD, Luca Bortolotto, improvvidamente “benedetta” da don Eugenio Biasol, assistente degli scout a Staranzano, arcidiocesi di Gorizia.

Ciò che ha provocato la prevedibile condanna da parte del parroco, don Francesco Maria Fragiacomo, il quale ha inviato una lettera al decano di Monfalcone e parroco di San Lorenzo a Ronchi dei Legionari, don Renzo Boscarol, lettera in cui ha evidenziato come lo stato di Di Just sia da ritenersi incompatibile col suo incarico educativo all’interno dell’Agesci.

Dal canto suo, l’arcivescovo di Gorizia, mons. Carlo Maria Redaelli, in una propria nota ha invitato a «dar tempo», preoccupato del fatto che un proprio pronunciamento potesse «essere visto come autoritario» prima ancora che della necessità di puntualizzare la Verità. Il che si è tradotto, così, in un reiterato silenzio.

Ciò ha consentito a Di Just di continuare a fare il capo-scout in una comunità parrocchiale, lacerata al proprio interno da un’accesa disputa su questa vicenda, oltre tutto di fronte ad un imbarazzante rimpallo di competenze tra i vertici nazionale, regionale e locale dell’Agesci. Chi, invece, non ha atteso è stato il decano don Boscarol, che ha trovato (verrebbe da dire “addirittura”, se la cosa non avesse ormai smesso di stupire…) ospitalità sulle pagine del quotidiano Avvenire. A suo dire, tutta questa vicenda sarebbe «evangelizzazione». Citando papa Francesco, parla della «Chiesa aperta a tutti», quella che «non esclude» ed invita ad «andare all’essenziale», come se l’essenziale non fosse in questo caso la Parola di Dio, che in merito è inequivocabile.

Drammatiche le parole di don Fragiacomo, “reo” solo di aver sollevato la questione nei termini prescritti dalla morale cattolica. Ed è proprio lui a riassumere così la vicenda:  «Che fiducia posso avere dei miei confratelli, che nel momento delle difficoltà, invece di essere vicini e solidali, sono assenti, lontani o addirittura contro? Invece di essere in sintonia sul messaggio del Vangelo, ne sono in piena dissonanza con dottrine, prassi, metodi e stile completamente diversi. Invece di sostenermi in un caso scandaloso, che compromette gravemente il messaggio educativo buono verso i giovani, superficialmente minimizzano, ti accusano, ti sparlano alle spalle o ti canzonano pubblicamente sui giornali nazionali».

E prosegue: «Che razza di Chiesa è questa? Quali grandi ideali presenta ai giovani? Non so se verrò ancora alle prossime riunioni del decanato». Detto, fatto. Le cronache narrano della sua diserzione all’incontro di ottobre. Ma la domanda da lui posta è centrata: che razza di Chiesa è, questa?

NOI LO DICIAMO SEMPRE: NON E’ LA CHIESA CATTOLICA, MA LA CONTRO-CHIESA CHE HA VINTO AL CONCILIABOLO VATICANO II COI SUOI CAPI CHE PER IL MOMENTO CONTINUANO A CHIAMARE “PAPI” (n.d.r.)

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